mercoledì 31 dicembre 2025

 Jonathan Franzen



Da "Le Correzioni"


Alfred

 

Per un momento Chip pensò che suo padre fosse diventato un simpatico vecchio sconosciuto; ma sapeva che Alfred, sotto sotto, era un uomo che urlava e puniva. L’ultima volta che era andato a trovare i suoi genitori a Saint Jude, quattro anni prima, aveva portato con sé la sua ragazza, Ruthie, una giovane marxista ossigenata che veniva dall’Inghilterra del Nord e che, dopo aver inflitto innumerevoli offese alla sensibilità di Enid (si era accesa una sigaretta in casa, era scoppiata a ridere davanti alle vedute ad acquarello di Buckingham Palace che Enid amava tanto, si era seduta a tavola senza reggiseno, e non aveva assaggiato neppure un boccone dell’«insalata» di castagne d’acqua, piselli e cubetti di formaggio con maionese densa che Enid preparava nelle occasioni speciali), aveva punzecchiato ed esasperato Alfred fino a fargli dichiarare che «i neri» sarebbero stati la rovina del paese, che erano incapaci di convivere con i bianchi, pretendevano che il governo si prendesse cura di loro, non sapevano cosa significasse lavorare duro, non avevano un briciolo di “disciplina”, che sarebbe andata a finire con un massacro nelle strade, “un massacro nelle strade”, e che se ne fregava di quello che Ruthie pensava di lui, era ospite nella “sua” casa e nel “suo” paese, e non aveva il diritto di criticare ciò che non capiva; e allora Chip, che le aveva preannunciato che i suoi genitori erano le persone più reazionarie d’America, aveva sorriso come a dire, “Hai visto? Proprio come ti avevo detto”. Quando lo piantò, tre settimane dopo, Ruthie dichiarò che Chip assomigliava a suo padre molto più di quanto s’immaginasse.

 

***

Era vero che secondo Alfred l’unico problema della pena di morte era quello di non essere usata abbastanza spesso; era vero anche che gli uomini per cui invocava la camera a gas o la sedia elettrica, a cena, quando Chip era bambino, erano di solito i neri dei quartieri poveri nella parte settentrionale di Saint Jude. (- Oh, Al, – gli diceva Enid, perché la cena era «il pasto di famiglia», e lei non capiva perché dovessero trascorrerlo parlando di camere a gas e massacri nelle strade). E una domenica mattina, dopo che era stato alla finestra a contare gli scoiattoli, valutando i danni che avevano provocato alle querce e alle zoysie proprio come i bianchi dei quartieri periferici tenevano il conto di quante case erano finite in mano ai «neri», Alfred aveva compiuto un esperimento di genocidio. Esasperato dal fatto che gli scoiattoli del suo non-grande giardino non fossero abbastanza disciplinati da smettere di riprodursi o quantomeno da pulire quello che sporcavano, scese nel seminterrato e tornò su con una trappola per topi alla cui vista Enid scosse la testa ed emise un sommesso mormorio di diniego. – Sono diciannove! – disse Alfred. – Diciannove! – Gli appelli al sentimento non potevano competere con la disciplina di un dato così esatto e scientifico. Come esca usò un pezzo dello stesso pane integrale che Chip aveva mangiato, tostato, a colazione. Poi tutti e cinque i Lambert andarono in chiesa, e tra il Gloria Patri e la dossologia un giovane scoiattolo maschio, dedito al comportamento ad alto rischio tipico dei disperati, cercò di prendere il pane e la trappola gli schiacciò il cranio. Al rientro la famiglia trovò un nugolo di afidi verdi che banchettavano con sangue e materia cerebrale e con il pane integrale masticato fuoruscito dalle mandibole fracassate del giovane scoiattolo. La bocca e il mento di Alfred si contrassero nell’espressione di ripugnanza che assumeva sempre durante particolari esercizi di disciplina, come sculacciare un bambino o mangiare rutabaga. (Era del tutto ignaro di lasciar trasparire tale avversione per la disciplina). Andò in garage a prendere una pala e ficcò la trappola e il cadavere dello scoiattolo in un sacchetto di carta mezzo pieno dell’erba sanguinella che Enid aveva strappato il giorno prima. Chip seguiva la scena a una ventina di passi dal padre, e così lo vide entrare nel seminterrato dal garage con le gambe che gli cedevano un po’ di lato, urtare la lavatrice, superare di corsa il tavolo da ping-pong (lo aveva sempre spaventato vedere suo padre correre, gli sembrava troppo vecchio, troppo disciplinato) e scomparire nel bagno; e da allora gli scoiattoli furono liberi di fare tutto quello che volevano.

 

***

 

Alfred, dal telefono, osservava l’orologio sopra il lavandino. Era quell’ora maligna intorno alle cinque, quando l’ammalato di influenza si sveglia dopo i sogni febbrili del tardo pomeriggio. Quelle cinque passate da poco che erano una beffa delle cinque. Sul quadrante degli orologi il conforto dell’ordine – due lancette che indicavano con precisione due numeri interi – giungeva soltanto una volta ogni ora. Tutti gli altri momenti che non quadravano erano potenziali portatori dei tormenti dell’influenza.

E soffrire così senza alcuna ragione. Sapere che non c’era nessun ordine morale nell’influenza, nessuna giustizia nei succhi dolorosi prodotti dal cervello. Il mondo non era altro che una materializzazione della Volontà cieca ed eterna.

(Schopenhauer: “Una parte considerevole del tormento dell’esistenza è il fatto che siamo continuamente incalzati dal Tempo, che non ci lascia mai prendere fiato e ci corre sempre dietro come un sorvegliante con la frusta”).

 

***

La vita come Enid la conosceva ebbe fine quando si infilò attraverso la porta semiaperta. La quotidianità cedette il posto a un rigido susseguirsi di ore. Enid trovò Alfred nudo, con la schiena appoggiata alla porta, sopra uno strato di lenzuola distese sulle pagine del giornale di Saint Jude. Aveva disfatto il letto, e sul materasso spoglio erano disposte in bell’ordine le mutande, una giacca sportiva e una cravatta. Il resto delle coperte era accatastato sull’altro letto. Alfred continuò a chiamarla anche dopo che Enid ebbe acceso la luce e occupato il suo campo visivo. Il primo obiettivo di Enid era quello di calmarlo e mettergli il pigiama, ma ci mise parecchio, perché Alfred era terribilmente agitato e non finiva le frasi, non riusciva nemmeno a concordare verbi e sostantivi. Era convinto che fosse mattina e che dovesse lavarsi e vestirsi, e che il pavimento davanti alla porta fosse una vasca da bagno, la maniglia un rubinetto e che niente funzionasse. Eppure insisteva a fare tutto a modo suo, finché, fra spinte e strattoni, colpì Enid a una spalla. Lui si infuriò e lei pianse e lo coprì d’insulti. Le mani impazzite di Alfred riuscivano a sbottonare la giacca del pigiama alla stessa velocità con cui lei gliela abbottonava. Enid non l’aveva mai sentito pronunciare le parole «s*****o» o «m***a», e la scioltezza con cui ora le usava faceva luce su anni di precedente uso silenzioso nella sua testa. Mentre Enid cercava di rifargli il letto, lui buttava all’aria il suo. Lei lo implorò di stare fermo. Lui gridò che era tardi ed era molto confuso. Nemmeno adesso Enid poteva fare a meno di amarlo. Forse specialmente adesso. Forse aveva sempre saputo, per cinquant’anni, che c’era quel bambino dentro di lui. Forse tutto l’amore che aveva dato a Chipper e Gary, in cambio del quale alla fine aveva ricevuto così poco, era stato soltanto un allenamento per il più esigente dei suoi figli. Per più di un’ora lo consolò e lo rimproverò e maledisse in silenzio le medicine che lo scombussolavano, e finalmente Alfred si addormentò, mentre la sveglia da viaggio di Enid segnava le 5:10, e alle 7:30 accese il rasoio elettrico.

 


 David Foster Wallace



Da “Infinite Jest”

 

Quando usi la sostanza..

 

 

Ancora una volta, Identificarsi significa provare empatia. Identificarsi, a meno che tu non abbia un motivo particolare per Fare Confronti, non è una cosa difficile da fare, qui. Perché se ti siedi in prima fila e ascolti attentamente, le storie di declino, caduta e rinuncia degli oratori sono praticamente tutte uguali, e uguali alla tua: il divertimento quando usi la Sostanza, poi molto gradualmente meno divertimento, poi notevolmente meno divertimento perché ti vengono come dei black-out e all'improvviso ti trovi a guidare su un'autostrada a 145 km all'ora insieme a gente che non conosci, notti in cui ti risvegli in un letto che non ti è familiare accanto a qualcuno che non assomiglia a nessuna specie conosciuta di mammifero, black-out di tre giorni che quando ne esci devi comprare un giornale per sapere in quale città ti trovi; sì, gradualmente provi sempre meno vero divertimento e un po' di bisogno fisico per la Sostanza, ora, invece del piacere volontario di prima; poi a un certo punto improvvisamente molto poco piacere, e un bisogno terribile, tutti i giorni, e ti tremano le mani, poi il terrore, l'ansia, le fobie irrazionali, i ricordi indistinti del piacere come un lontano canto di sirena, problemi con autorità varie, mal di testa che ti fanno cadere in ginocchio, attacchi leggeri, e la litania di quelle che gli Aa (ndr Alcolisti Autonomi) di Boston chiamano Perdite -

«Poi arriva il giorno in cui ho perso il mio lavoro per il bere».

 «Ho perso il mio dannato lavoro», dice. «Voglio dire che sapevo ancora dov'era. Solo che un giorno sono andato là come sempre e c'era qualcun altro al mio posto» e questo provoca un'altra risata.

- poi ancora Perdite, e la Sostanza sembra essere la sola consolazione contro la pena delle Perdite sempre più numerose, e naturalmente sei in fase di Rifiuto e non ammetti che proprio la Sostanza che ti aiuta a consolarti dalle Sconfitte ne sia invece la causa -

«L'alcol distrugge lentamente ma completamente è quello che mi disse uno la prima sera che Venni, su a Concord, e quel tipo alla fine è diventato il mio sponsor».

- poi le crisi molto meno leggere, il Dt durante i tentativi di smettere troppo velocemente, i primi incontri con insetti e roditori soggettivi, poi un'altra crapula e altri insetti; poi forse la terribile scoperta di aver passato qualche limite, e i pugni-al-cielo, e i voti del tipo Giuro-su-Dio di mettermi d'impegno e di rimediare a questa storia, smettere per sempre, poi forse qualche giorno di successo iniziale che hai passato con le mani strette a pugno, poi uno scivolone, poi ancora promesse, gli occhi sull'orologio, autodisciplina barocca, altri scivoloni nel sollievo dato dalla Sostanza dopo quasi due giorni di astinenza, terribili postumi di sbornia, sensi di colpa schiaccianti e disgusto per se stessi, superstrutture di ulteriori autodiscipline (per es.: non prima delle 0900h, mai nelle sere in cui lavori, solo con la luna crescente, solo insieme a svedesi) che falliscono regolarmente -

«Quando ero ubriaco volevo essere sobrio e quando ero sobrio volevo ubriacarmi», dice John L. «Ho vissuto in quel modo per anni, e vi dico che non è vivere, non è altro che una fottuta morte-in-vita».

- poi un dolore psichico incredibile, una specie di peritonite dell'anima, un'agonia psichica, la paura della pazzia che incombe (perché non riesco a smettere se voglio così tanto smettere, a meno che non sia pazzo?), apparizioni nei reparti di disintossicazione e riabilitazione degli ospedali, litigi domestici, crolli finanziari, eventuali Perdite familiari -

«Poi ho perso mia moglie per il bere. Voglio dire che sapevo ancora dov'era. Solo che un giorno andai a casa e c'era qualcun altro al mio posto», e questa battuta non fa ridere tanto, solo un mucchio di assensi addolorati: è sempre così, con le Perdite familiari.

- poi gli ultimatum vocazionali, l'impossibilità di trovare un lavoro, la rovina finanziaria, la pancreatite, i sensi di colpa opprimenti, vomitare sangue, la nevralgia cirrotica, l'incontinenza, la neuropatia, la nefrite, le depressioni più nere, il dolore bruciante, e la Sostanza che ti permette di vivere dei momenti di sollievo sempre più brevi; poi alla fine non trovi più sollievo da nessuna parte; alla fine è impossibile farsi così tanto da riuscire a capire come ti senti, a stare così; e ora odi la Sostanza, la odi, ma nonostante tutto non riesci a smettere di farti, della Sostanza, scopri che vuoi smettere più di ogni altra cosa al mondo e non provi più nessun piacere a farlo e non puoi credere che ti sia mai piaciuto farlo eppure non ti puoi fermare lo stesso, è proprio come se ti stessi bevendo il cervello, come se ci fossero due te; e quando venderesti la mamma per smettere e ti accorgi che nonostante tutto non puoi smettere, allora l'ultimo velo della maschera allegra e festosa cala dal volto della tua amica di un tempo, la Sostanza, ora è mezzanotte e cadono tutte le maschere, e a un tratto vedi la Sostanza come veramente è, per la prima volta vedi il Disagio come realmente è, come è stato per tutto questo tempo, guardi nello specchio a mezzanotte e vedi cosa è che ti possiede, che è diventato te -

«È come essere dei morti viventi, vi giuro che non sembra neanche di essere vivi, alla fine non ero né morto né vivo, e vi giuro che l'idea di morire non era niente in confronto all'idea di vivere in quel modo per altri cinque o dieci anni e solo poi morire», le teste degli ascoltatori annuiscono nelle file come un campo spazzato dal vento; cazzo, sono proprio bravi a Identificarsi.

- poi hai dei grossi problemi, degli enormi problemi, e lo sai, alla fine, che hai degli enormi problemi, perché la Sostanza che credevi fosse la tua sola vera amica, per la quale hai rinunciato a tutto senza pensarci, che per così tanto tempo ti ha dato sollievo dal dolore delle Perdite causate dal tuo amore per quel sollievo, tua madre e la tua amante e il tuo dio e il tuo compadre, alla fine si è tolta la maschera sorridente per rivelare gli occhi senza pupilla e la mascella vorace, e i canini lunghi fino a qui, è la Faccia sul Pavimento, la faccia bianca sogghignante dei tuoi incubi peggiori, e quella faccia è la tua faccia nello specchio, sei tu, la Sostanza ti ha divorato o ti ha sostituito ed è diventata te, e la maglietta piena di vomito, bava e Sostanza che tutti e due avete indossato per settimane ora viene lacerata e tu te ne stai lì a guardare e nel tuo petto bianco dove dovrebbe battere il cuore (che tu hai dato a Lei), nel centro del tuo petto nudo e negli occhi senza pupilla c'è un buco oscuro, altri denti, e una mano con gli artigli che culla qualcosa di irresistibile, e ora capisci che sei fregato, inculato a sangue, spogliato e fottuto e buttato da una parte come una bambola di pezza, condannato a rimanere per sempre nella posizione in cui atterrerai. Ora vedi che Lei è il tuo nemico e il tuo incubo personale peggiore e il problema nel quale Lei ti ha infilato è innegabile, eppure non ti puoi fermare. Ora farsi della Sostanza è come partecipare a una Messa Nera ma comunque non ti puoi fermare, anche se la Sostanza non riesce più a farti star bene. Sei, come si dice, Finito. Non riesci a ubriacarti e non riesci a stare sobrio; non riesci a farti e non riesci a non farti. Sei dietro le sbarre; sei in una gabbia e in ogni direzione vedi solo sbarre. Sei in quella specie di inferno che può stroncare la tua vita o cambiarla completamente. Sei al bivio che gli Aa di Boston chiamano il tuo Fondo, sebbene il termine non sia corretto perché tutti qui sono d'accordo nel dire che assomiglia più a un posto molto in alto e tu non hai nessun sostegno: sei in vetta a qualcosa di alto e ti sporgi in avanti...

Se cerchi delle similitudini, tutte le carriere nella Sostanza di questi oratori sembrano terminare sull'orlo dello stesso dirupo. Ora sei Finito, come consumatore di Sostanza. Sei arrivato al punto dal quale si salta giù. Ora hai due scelte. O ti fai fuori una volta per tutte - le lamette sono le migliori, oppure le pillole, oppure ti puoi attaccare al tubo di scarico della tua macchina in leasing nel garage di proprietà della banca della tua casa senza famiglia. Qualcosa di sommesso e non chiassoso. Meglio qualcosa di pulito e tranquillo e (dato che la tua carriera è stata una lunga e futile fuga dal dolore) indolore. Anche se tra gli alcolizzati e i tossici, che rappresentano più del settanta per cento dei suicidi in un anno, ce ne sono alcuni che vogliono uscire di scena con un ultimo grande gesto eclatante tipo Balaclava: una signora prognata che fa parte del Gruppo della Bandiera Bianca da molto tempo e si fa chiamare Louise B. cercò di eliminare la sua mappa tuffandosi dal vecchio Hancock Building nell'anno 1981 a.S. ma fu presa in una corrente ascendente di aria calda dopo sei piani di caduta libera e venne rispinta su e poi dentro l'edificio attraverso i vetri scuri della finestra dell'ufficio di una finanziaria al trentaquattresimo piano, e finì sdraiata prona su un lucido tavolo da riunione solo con qualche lacerazione e una frattura composta dell'osso del collo e un'esperienza di autoannientamento volontario seguita da un intervento esterno che l'ha rabbiosamente trasformata in cristiana - rabbiosamente davvero, con la bava alla bocca - e per questo viene ignorata ed evitata quando si fanno dei paragoni sebbene la sua storia, uguale a quella di tutti gli altri ma molto più spettacolare, sia diventata un mito degli Aa dell'area metropolitana di Boston. E quindi quando arrivi al trampolino che sta al Traguardo della tua carriera con la Sostanza puoi prendere una Luger o la lametta e farla finita una volta per tutte - il che può accadere quando hai sessanta, o ventisette, o diciassette anni - o puoi consultare le prime pagine delle Pagine Gialle o il sito Psych-Svce su Internet e fare una telefonata singhiozzante alle 0200h e ammettere a una gentile voce da nonno che hai dei problemi, dei problemi molto seri, e la voce cercherà di calmarti tenendoti a parlare al telefono per un paio di ore finché un po' prima dell'alba suonano alla tua porta due tipi sorridenti, seri, calmi, vestiti con abiti classici, e parlano con te per delle ore e alla fine non ricordi niente di quello che hanno detto se non che stranamente erano come te, dove sei ora tu, nella merda come te, e ora però in qualche modo non lo sono più nella merda come te ora, almeno non sembrava lo fossero, a meno che tutta questa storia degli Aa non sia una truffa, e comunque rimani seduto nell'alba color lavanda su quel solo mobile che ti è rimasto e ti rendi conto che per ora non hai letteralmente nessun'altra scelta se non provare questa storia degli Aa o farla finita per sempre, allora passi il giorno a consumare ogni minimo iota di Sostanza in un'ultima amara crapula di addio che non ti dà nessun piacere e decidi, il giorno dopo, di andare avanti e ingoiare il tuo orgoglio e forse anche il tuo buon senso, e provare a partecipare agli incontri di questo «Programma», che nel migliore dei casi sarà una stronzata di quelle Tutti Insieme Amichevolmente e nel peggiore una copertura per una di quelle storie furbe tipo setta, dove ti faranno star sobrio tenendoti occupato venti ore al giorno a vendere fiori finti avvolti nel cellofan sullo spartitraffico delle strade più trafficate. E la cosa che ti fa decidere tra queste due sole scelte che hai, questo miserabile bivio che gli Aa di Boston chiamano il Fondo, è che a questo punto ti sembra che vendere fiori sugli spartitraffico non sia poi così male, paragonato a quello che ti succede ora, personalmente, in questo momento. E questo, in fondo, è ciò che accomuna gli Aa di Boston: alla fine viene fuori che questa rassegnata, miserabile disperazione tipo fatemi-il-lavaggio-del-cervello-e-sfruttatemi-pure-se-questoè-quello-che-ci- vuole sia stata il punto di partenza per quasi tutti quelli che si incontrano negli Aa, è questo che emerge, non appena ti sei del tutto convinto che non puoi più entrare e uscire come un fulmine dagli incontri e inizi a trattenerti un po' e allunghi la tua mano umida per fare conoscenza con qualcuno degli Aa di Boston. Come dicono quello strano tipo anziano con la faccia da duro o quella signora, che ti fanno paura ma ti attirano allo stesso tempo, nessuno si decide a Venire Qui perché le cose andavano bene o perché voleva fare qualcosa di diverso la sera. Tutti, ma proprio tutti quelli che si decidono, arrivano qui con gli occhi spenti e le facce bianche e sbattute e a casa tengono a portata di mano un catalogo spiegazzato per l'acquisto di armi da fuoco per corrispondenza, e l'hanno già sfogliato tante volte, come una specie di mappa, nel caso in cui questa disperata ultima spiaggia di abbracci e frasi fatte non si rivelasse altro che una stronzata. Tu non sei solo, ti diranno: questa mancanza di speranza iniziale accomuna ogni anima in questa enorme, fredda sala mensa. Sono come i sopravvissuti dell' Hindenburg. Ogni incontro è come una rimpatriata, dopo un po' che sei negli

Aa.

….

Solo agli Aa di Boston si può sentire la storia di un immigrante di cinquant'anni che racconta in maniera lirica la sua prima defecazione solida da adulto.

«Ero stato un insozzatore di cessi per anni e anni e anni. Non mi facevano più entrare nei cessi delle fermate dei camion da qui a Nork per tanti anni. C'erano schizzi dappertutto: sulla carta delle pareti del cesso a casa, sulle lenzuola, sul muro. Ma ora non ci sono più... ma lo ricorderò per sempre. Quando mi alzai dopo che ero stato pulito per novanta giorni. Ero stato sobrio davvero. Ero là sul trono a casa, lo sapete anche voi, vero. E feci tutto come sempre... ed ero così sorpreso che non credevo alle mie orecchie. Era un suono che non era familiare e all'inizio pensavo che avevo fatto cadere il portafoglio nel cesso, lo credevo davvero. Pensavo che avevo buttato il portafoglio nel cesso, lo giuro su Dio. Allora mi piego tra le ginocchia e il buco nel profondo del cesso, e non posso credere ai miei occhi. Allora, amici, abbasso la testa tra le ginocchia e c'era un tronco nel buco. Un tronco meraviglioso, davvero. Era così bello per me che non so come fare a dirlo. C'era uno stronzo nel cesso. Un tronco di stronzo. Era cacato bene e preciso e tutto unito. Era dentro il cesso tutto intero invece di una spruzzata. Nel cesso, non capisci cosa vuol dire uno stronzo nel cesso per il mio cuore. Amici miei, era come se a questo stronzo gli battesse il cuore. Mi sono messo in ginocchio e ho ringraziato Har Par che ho deciso di chiamare Har Par Buono, e ho ringraziato Har Par in ginocchio tutte le mattine e tutte le sere e più mi abbasso e meglio è, per il mio peccato»

 


 Victor Hugo



Da “L’uomo che ride”

 

Il discorso di Gwynplaine

 

«Io sono colui che viene dalle profondità . Mylords, voi siete i grandi e i ricchi. È pericoloso. Voi approfittate della notte. Ma state attenti, c’è una grande potenza, l’aurora. L’alba non può essere vinta. Arriverà . Sta già venendo. Essa ha in sé il getto irresistibile della luce. Chi impedirà a questa fionda di lanciare il sole nel cielo? Il sole, cioè il diritto. Ma voi, voi siete il privilegio. Abbiate paura. Il vero padrone di casa sta per bussare alla porta. Chi è il padre del privilegio? Il caso. E chi è suo figlio? L’abuso. Né il caso né l’abuso sono solidi.

Un brutto futuro li aspetta entrambi. Io voglio avvertirvi. Denuncio davanti a voi la vostra felicità . È fatta con l’infelicità degli altri. Voi avete tutto, ma questo tutto è composto del nulla degli altri. Mylords, io sono l’avvocato senza speranza, io difendo una causa persa. Questa causa sarà Dio a vincerla. Io non sono niente, sono solo una voce.

Il genere umano è una bocca di cui io sono il grido. Voi mi ascolterete. Io voglio aprire davanti a voi, pari d’Inghilterra, le grandi assisi del popolo, questo sovrano che è vittima, questo condannato che è il giudice. Ciò che devo dire mi schiaccia. Da dove inizierò? Non so. Ho raccolto la mia interminabile arringa sparsa nel vasto caos delle sofferenze. Che fare ora? Essa mi opprime, e io la riverso davanti a me, lasciandole la sua confusione. Avevo previsto tutto cio? No.

Voi siete stupiti, ma anch’io lo sono. Ieri ero un saltimbanco, oggi sono un lord. Giochi profondi. Di chi? Dell’ignoto. Tutti dobbiamo tremare. Mylords, l’azzurro è tutto dalla vostra parte. Di questo immenso universo voi non conoscete che la festa; sappiate che c’è anche l’ombra.

Per voi io sono lord Fermain Clancharlie, ma il mio vero nome è un nome da povero, Gwynplaine. Io sono un miserabile creato con la stoffa dei grandi per il capriccio di un re. Ecco la mia storia. Molti di voi hanno conosciuto mio padre, ma io no. Egli vi appartiene per quanto c’era in lui di feudale, io condivido il suo essere proscritto.

Ciò che Dio ha fatto è giusto. Sono stato gettato nell’abisso. Per quale scopo? Perché ne vedessi il fondo. Io sono un sommozzatore che riporta la perla, la verità . Parlo perché conosco. Voi mi capirete, mylords. Io ho provato. Ho visto. La sofferenza, no, non è una parola, signori felici. La povertà , io vi sono cresciuto; l’inverno, mi ha fatto battere i denti; la fame, ne ho conosciuto il sapore; il disprezzo, l’ho subito; la peste, l’ho avuta; la vergogna, l’ho bevuta.

E la rivomiterò davanti a voi, e questo vomito d’ogni miseria infangherà i vostri piedi, e arderà . Ho esitato prima di lasciarmi condurre al posto dove sono, perché altrove ho altri doveri. E il mio cuore non è qui. Ciò che ho provato non vi riguarda; quando l’uomo che voi chiamate l’usciere dalla verga nera è venuto a cercarmi da parte della donna che voi chiamate regina, per un istante ho pensato di rifiutare.

Ma è stato come se l’oscura mano di Dio mi spingesse da questa parte, e io ho obbedito. Ho sentito che era necessario che venissi tra voi. Perché? Per i miei stracci di ieri. Dio mi aveva mescolato agli affamati perché prendessi la parola tra i sazi. Oh! Abbiate pietà ! Oh! Voi non conoscete il mondo fatale in cui credete di vivere; siete così in alto, da esserne fuori; vi dirò io come è fatto.

Non mi manca l’esperienza. Io vengo da dove si sopporta la pressione. Posso dirvi quanto pesate. Voi che siete i padroni, lo sapete? Vedete quello che fate? No. Ah! È terribile. Una notte, una notte di tempesta, piccolissimo, abbandonato, orfano, solo nell’immensità della creazione, io ho fatto il mio ingresso in quella oscurità che chiamate società . La prima cosa che ho visto è la legge, sotto le forme di una forca; la seconda è la ricchezza, la vostra ricchezza, sotto le forme di una donna morta di freddo e di fame; la terza è l’avvenire, sotto forma di un bambino che agonizzava; la quarta è stata la bontà , il vero e il giusto, sotto le sembianze di un vagabondo che aveva come compagno e come amico solo un lupo».

….

«Dunque», gridò, «voi insultate la miseria. Pari d’Inghilterra, silenzio! Giudici, ascoltate l’arringa. Oh! Vi scongiuro, abbiate pietà ! Pietà per chi? Pietà per voi. Chi si trova in pericolo? Voi. Non vedete che siete su una bilancia e che su un piatto c’è il vostro potere, e sull’altro la vostra responsabilità ? È Dio che vi pesa.

Oh! Non ridete. Riflettete. L’oscillazione della bilancia divina è il tremito della coscienza. Voi non siete malvagi. Voi siete uomini come gli altri, né migliori, né peggiori. Vi credete degli dei, ma se un giorno vi ammalerete, vedrete la vostra divinità rabbrividire dalla febbre. Tutti noi ci equivaliamo. Io mi rivolgo agli spiriti onesti, ce ne sono anche qui; mi rivolgo alle intelligenze superiori, ce ne sono; mi rivolgo alle anime generose, anche di queste ce n’è.

Voi siete padri, figli e fratelli, dunque spesso provate la tenerezza. Chi tra voi, questa mattina, ha guardato il risveglio del proprio figlioletto, è buono. Tutti i cuori sono uguali. L’umanità non è che un cuore. La differenza tra gli oppressori e gli oppressi risiede nel luogo dove si trovano. I vostri piedi calpestano teste, non per colpa vostra. È colpa della Babele sociale. Una costruzione mancata, tutta a strapiombo. Un piano schiaccia l’altro.

Ascoltatemi, devo parlarvi. Oh! Siete potenti, siate fraterni; siete grandi, siate dolci. Se sapeste quello che ho visto! Ahimè! Che tormento c’è in basso! Il genere umano è in prigione. Quanti dannati, che sono innocenti! Manca la luce, manca l’aria, manca la virtù; non c’è speranza; e, cosa terribile, c’è attesa.

Prendete atto di queste difficoltà . Ci sono creature che vivono nella morte. Ci sono bambine che iniziano a otto anni con la prostituzione e finiscono a venti con la vecchiaia. La severità della legge è poi spaventosa, parlo un po’ a caso, non seguo un ordine. Dico ciò che mi suggerisce la coscienza.

Non più tardi di ieri, io, quello che ora vedete qui, ho assistito alla morte per tortura di un uomo incatenato e nudo, che aveva delle pietre sul ventre. Lo sapete? No. Se sapeste quello che accade, nessuno di voi oserebbe essere felice. Chi è mai andato a Newcastle-on-Tyne? Ci sono uomini nelle miniere che masticano il carbone per riempirsi lo stomaco e ingannare la fame.

Prendete Ribblechester, nella contea di Lancastre, che a forza di miseria da città è diventata villaggio. Io non trovo che il principe Giorgio di Danimarca abbia bisogno di centomila guinee in più. Preferirei accogliere negli ospedali i malati poveri senza far loro pagare in anticipo la sepoltura. Nel Caërnarvon, a Traith-maur come a Traith-bichan, lo sfinimento dei poveri è orribile. A Strafford, per mancanza di denaro, non si possono prosciugare le paludi. In tutto il Lancshire le fabbriche tessili sono chiuse. Disoccupazione dovunque. Sapete che i pescatori d’aringhe di Harlech quando manca la pesca mangiano l’erba? Sapete che a Burton-Lazers ci sono ancora dei lebbrosi braccati, ai quali si spara se escono dalle loro tane? A Ailesbury, città di cui uno di voi è lord, c’è carestia in permanenza. A Penckridge, nel Coventry, di cui avete appena dotato la cattedrale e arricchito il vescovo, non ci sono letti nelle capanne, e si scavano delle buche nella terra per farvi dormire i bambini piccoli, così che, invece di iniziare dalla culla, essi iniziano dalla tomba.

Io ho visto queste cose. Mylords, sapete chi paga le imposte che voi votate? I moribondi. Ahimè! Voi vi sbagliate. Siete sulla strada sbagliata. Per accrescere la ricchezza del ricco, voi aumentate la povertà del povero. Bisognerebbe fare il contrario. Come, prendere a chi lavora per dare a chi ozia, prendere allo straccione per dare a chi è sazio, prendere al miserabile per dare al principe!

Oh! Sì, nelle mie vene c’è del vecchio sangue repubblicano. Tutto ciò mi fa orrore. Questi re li detesto! E che donne sfrontate! Mi hanno raccontato una triste storia. Oh! Odio Carlo II! Una donna amata da mio padre, mentre egli moriva in esilio, si è data a quel re, come una prostituta!

Carlo II, Giacomo II; dopo un buono a nulla, uno scellerato! Cosa c’è in un re? Un uomo, un essere debole e meschino, soggetto ai bisogni e alle malattie. A cosa serve un re? Voi rimpinzate questa regalità parassita. Di un lombrico fate un boa. Fate diventare drago una tenia. Grazia per i poveri!

Voi appesantite l’imposta a profitto del trono. Fate attenzione alle leggi che decretate. Fate attenzione al formicolio doloroso che disperdete. Abbassate lo sguardo. Guardate ai vostri piedi. O grandi, ci sono anche i piccoli! Abbiate pietà . Sì! Pietà per voi! Perché le moltitudini agonizzano, ma quando ciò che sta in basso muore, muore anche ciò che sta in alto. La morte è un venir meno che non risparmia alcun membro. Quando giunge la notte, non c’è luce per nessuno. Siete forse egoisti? Salvate gli altri. Se la nave affonda nessun passeggero può restare indifferente. Non c’è naufragio per alcuni senza che gli altri vengano inghiottiti. Oh! Sappiatelo, l’abisso ci attende tutti».

«Cosa ci faccio? Io sono terribile. Io sono un mostro, dite voi. No, io sono il popolo. Io sono un’eccezione? No, io sono come tutti. Voi, siete l’eccezione. Voi siete la chimera, io sono la realtà . Io sono l’Uomo. Io sono lo spaventoso Uomo che Ride. Di cosa ride? Di voi. Di sé. Di tutto. Che cos’è il suo riso? Il vostro delitto e il suo supplizio. Il delitto ve lo getta in faccia; il supplizio ve lo sputa in viso. Io rido, ciò vuol dire: Io piango».

Si fermò. Si fece silenzio. Le risate continuavano, ma sottovoce. Egli poté credere a un certo ritorno d’attenzione. Respirò, e proseguì:

«Il riso che porto in volto, ce l’ha messo un re. Questo riso esprime la desolazione dell’universo. Questo riso vuol dire odio, silenzio forzato, rabbia, disperazione. Questo riso è il frutto delle torture. Questo è il riso della violenza. Se Satana ridesse in questo modo, il suo riso condannerebbe Dio.

Ma l’eterno non ha nulla in comune con la caducità ; in quanto assoluto, è giustizia; Dio odia ciò che fanno i re. Ah! Voi mi prendete per un’eccezione! Io sono un simbolo. O stupidi onnipotenti, aprite gli occhi. Io incarno tutto. Io rappresento l’umanità così come l’hanno fatta i suoi padroni.

L’uomo è mutilato. Quello che mi hanno fatto, l’hanno fatto al genere umano. Gli hanno deformato il diritto, la giustizia, la verità , la ragione, l’intelligenza, come a me gli occhi, le narici e le orecchie; come a me, gli hanno messo nel cuore una cloaca di collera e di dolore, e sulla faccia una maschera di contentezza.

Dove si era posato il dito di Dio, si è appoggiato l’artiglio del re. Mostruosa sovrapposizione. Vescovi, pari e principi, il popolo è quella profonda sofferenza che mostra una superficie sorridente. Mylords, vi dico che il popolo sono io. Oggi voi l’opprimete, oggi mi schernite. Ma l’avvenire è un tetro disgelo. Ciò che era pietra diventa flutto. L’apparente solidità viene sommersa. Uno scricchiolio, ecco tutto. Verrà il momento in cui una convulsione spezzerà la vostra oppressione, e ai vostri scherni risponderà un ruggito.

Questo momento è già venuto - tu c’eri, padre mio! - quell’ora divina è venuta, e si è chiamata Repubblica, è stata cacciata, ritornerà . Nell’attesa, ricordatevi dell’ascia di Cromwell che ha interrotto la serie dei re armati di spada. Tremate. Si avvicinano soluzioni incorruttibili, le unghie tagliate ricrescono, le lingue strappate volano via e diventano lingue di fuoco sparse nel vento delle tenebre, e urlano nell’infinito, quelli che hanno fame mostrano i loro denti a riposo, vacillano i paradisi costruiti sugli inferni, si soffre, si soffre, si soffre, e ciò che sta in alto si china, ciò che sta in basso si schiude, l’ombra vuole diventare luce, il dannato mette in discussione l’eletto, è il popolo che viene, vi dico, è l’uomo che sale, è l’inizio della fine, è la rossa aurora della catastrofe, ecco cosa c’è in questa risata che vi fa ridere! Londra è una festa perpetua. Bene. L’Inghilterra, da un capo all’altro, è tutta un’acclamazione.

Sì. Ma ascoltate: Tutto cio che vedete, sono io. Le vostre feste, è la mia risata. I divertimenti pubblici, è la mia risata. Matrimoni, consacrazioni, incoronazioni, è la mia risata. Le nascite dei principi, è la mia risata. Il tuono che vi sta sulla testa, è la mia risata».