lunedì 27 febbraio 2017

Da "Pao Pao" di Pier Vittorio Tondelli




Un lungo viaggio dentro alla notte, in piedi davanti
alla ritirata della carrozza con il sacco di tela blu
pieno di cose e oggettuncoli e souvenirs, qualche mia
foto con gli amici, qualche libro di Le Carré, un po' di
angoscia che trattiene il respiro ogniqualvolta
mando il pensiero a ciò che m'attende, ma anche
tanta curiosità e voglia di non sottomissione e dirmi
sempre che dopo i trip e gli amori buchi e le paranoie
della vita in provincia non può accadermi nulla di
peggio, ormai sono temprato, un po' di paura che fa
sempre bene sentirsi vibrare addosso nell'entrare in
storie sconosciute, ma anche calma e se è possibile
serenità, insomma sono pronto.
Il treno dondola dentro alla notte, la carrozza è
zeppa, mi stendo in terra a fumare, tiro una canna
con del nero ottimissimo che hanno regalato gli
amici del borgo qualche sera prima, non ho fatto
nessuna festa d'addio, non mi piacciono gli addii, ho
imparato a scantonarli; non esiste nulla di definitivo
figuriamoci gli addii e i fazzoletti e le strizzate di
mano. 
 Ho preso il treno a mezzanotte e venti su consiglio
del fratello che ha decretato solenne: «Prima arrivi
nella bolgia e meglio è. Se sei già lì di mattino presto
puoi essere selezionato coi primi, sceglierti la branda
e l'armadietto, avere già i vestiti e soprattutto
iniziare dall'inizio». 
Sublime tautologia che ha reso
però l'entrata nell'esercito d'Italia nient'affatto
violenta, ma una sorta di penetrazione soffusa
assonnata, sono arrivato a Orvieto alle sei e mezzo
del mattino, ho atteso con altri pochi sventurati
l'arrivo del camion militare, ho declinato le mie
generalità e sono stato portato su alla rupe quando
ancora la caserma doveva svegliarsi e quindi è stato
una specie di risveglio lento, sono entrato in
purgatorio e non all'inferno come invece è successo
a tanti altri arrivati di sera o di notte, attesi dalle
grida dei najoni e dei vecchi, strapazzati, urtati,
scaricati da un ufficio all'altro, senza lenzuola e
senza branda, tutti per terra sui loro sacchi, come
bestie, gente che aveva il fiato corto e la gola secca e
insomma avevi in pieno il senso di una nuova storia
che ci avrebbe invischiati per tanti mesi e poi ancora
altri e altri ancora, a distanza di anni dal congedo,
sarebbero riemerse certe immagini e scattati quei
benedetti flash che ogni militare ha, devi tornare a
soldato. 
Ma io sono arrivato presto nella nebbiolina
di Orvieto-Scalo senza salutare nessuno al borgo,
partendo come un fuggiasco al culmine della notte,
come un ladro già deciso a lasciarmi tutto dietro alle
spalle.
 E già sul convoglio ho fiutato immediatamente altri visi e altre storie, ragazzi che
partivano come me per la prima volta e soldati che
tornavano in caserma per l'ultima licenza, si
sarebbero congedati da lì a qualche giorno. 
Ma ero
molto sicuro di me e mi facevo forte dicendomi non
permetterò certo ai militari di distruggermi, oh non
mi ridurrò come Vinny mai più uscito dal trip in
divisa, ormai cariatide di se stesso che si ficca dentro
di tutto e tratta le sue braccia come bidoni della
spazzatura buttando ero, anfetamine, valium, roipnol
con le siringhe, stravolgendosi con supposte micidiali
a base di morfina e oppio che danno ai malati di
cancro al retto, pasticcandosi di acidi ed eccitanti,
iniettandosi sotto la lingua con aghi sottilissimi,
facendosi nelle gengive, nei piedi, sulle mani, dietro
ai ginocchi, sul cazzo, sul collo, ovunque senta un po'del suo marcio sangue pulsare Vinny sa che quello è
il posto giusto, povero Vinny che ha iniziato a farsi
proprio in quei mesi in divisa a Pordenone, scoppiato
fatto per via delle guardie stressanti una dietro
all'altra, settimane senza riposare né dormire e
allora giù con gli eccitanti almeno per star sveglio in
quelle garitte solitarie come la cella di un
condannato a morte e poi le anfetamine in vena che
smaltiva correndo nel piazzale con gli altri
bersaglieri, la fatica, la spossatezza, correre, correre
e non dormire e allora dentro gli acidi e la polvere e il
brandy dello spaccio e il cordiale del perfetto
militare, Vinny ha cominciato così spacciando poi
nelle camerate, gli hanno trovato un giorno un bel po' di roba, l'ispezione è passata, Vinny davanti al
suo armadietto che tremava e tremava e sudava e si
diceva bè almeno mi cacceranno via di qua, meglio la
galera che l'altana, e invece il capitano apre Fantina,
il tenente fruga tra gli abiti, le bustine sono lì,
evidenti, che brillano alla luce davvero come neve,
Vinny che sta crollando, loro che abbassano gli occhi,
fingono di non vedere niente, richiudono e passano
avanti e Vinny la sera alle cinque torna a montare di
guardia, così per sempre... Vinny che vedo pochi
giorni avanti la mia partenza e ancora mi racconta
chiuso nei cessi del bar sottocasa di come trafficava
e di come passava le licenze rincorrendo i pusher per
mezzitalia e io che dentro a quel cesso ignobile gli
reggo il braccio e glielo tiro e lui che non becca la
vena, io che sudo e gli dico fai presto fai presto e lui
che spreca mezza siringa tentando di eliminare le
bolle e io fisso nella testa il pensiero non mi ridurrò
come Vinny, no, non lo permetterò, non sarà certo il
militare che mi farà scoppiare così... E allora benché
conoscessi di queste allucinanti storie sulla vita in
divisa, storie date di prima mano e nelle situazioni
più impensate, sapevo che il rischio maggiore che
avrei corso non sarebbero stati i militari ma gli stessi
compagni.
 Con loro avrei avuto a che fare giorno e
notte, ufficiali e marescialli allora non mi
impensierivano, credevo di sapere come cavarmela
con loro, per questo ero molto calmo in
quell'ingresso di naja, e forse ingenuamente anche
un po' contento per il fatto che avrei conosciuto gente nuova e forse bella
 e che quindi sarebbe stato
come sempre un anno con i suoi dolori, ma anche
con i suoi amori. Cosa che puntualmente è giunta.
.....

Così che arrivato alla
caserma guardando i muri mi dico: mi affezionerò a
queste pietre, soffrirò su questa piazza gelida,
fumerò e mi innamorerò sotto al porticato e tutto
insomma scorrerà via senza tanti intoppi fra pene,
amori e delusioni e tutto finirà come è iniziato, un
altro treno e via pronti per la solita storia... Faccio i
conti con me stesso, potrei essere a lavorare, in
carcere, in colonia o a scuola, è la stessa storia,
esattamente identica, che c'è di diverso fra un
capitano e un capufficio, un professore e un
maresciallo? Nulla. Sempre nell'istituzione, sempre
gente a controllarti, sempre dover rendere conto,
non sono mai stato libero e non lo sarò mai, il mondo
mi può cadere addosso fra un momento e allora che
vado fantasticando? Di che cianciando? Ero già del
tutto preso dai miei bisogni di diffusione d'amore per
le stanze e gli oggetti e le atmosfere, già curiosavo
tra gli alberi e i cespugli, già sognavo e fantasticavo
e mentre scendevo dal camion, volgevo lo sguardo
attorno come un matto, volevo vedere e sapere e
digià conoscere, non seguivo la fila degli altri che
parevano mezzi condannati a morte con la testa
bassa e lo sguardo spento, io mi sentivo un fuoco di
curiosità e soprattutto la voglia di cominciare e di andare dentro, prima si fa meglio è, prima ci si dice
questa è la mia storia e non c'è niente al mondo che
possa scostarla di tanto così, prima ci si mette la
coscienza in pace e allora si possono aprire gli occhi
e guardare e curiosare e allacciare immediatamente
sguardi di complicità, scrutare i muri, sbirciare i
cessi, odorare le camerate e i corridoi, leggere gli
annunci e i doveri del soldato, piazzarsi all'interno
dell'ambiente, circondarlo del tuo self, allungare e
protendere la propria storia per inscenarla lì, d'ora in
poi è tutto lì, sarà tutto lì.
Ho addocchiato immediatamente i luoghi in cui avrei
potuto fare canne. Dopo ho imparato che non
esistono luoghi appositi in caserma, è tutta la
caserma che è una fumeria peggio di Istanbul dalle
cucine alle latrine, dai dormitori ai consultori, dai
magazzeni agli uffici alle garitte alle panchine al
monumento al prode granatiere, tutto va bene, tutto
fa brodo, tutto è fumo con l'arrosto.
 Ma questo non
potevo saperlo allora quando avevo in tasca quelle
caccole di nero che stavo già immaginando dove
piazzare. Insomma guardavo e curiosavo, non
parlavo, questo assolutamente no, non ero loquace
quella mattina, c'ero solo io e volevo essere solo io.
Dovevo fare tutte le mie cose e distribuire attorno i
pezzetti del mio dissennato senso come in un
giochetto di costruzioni, là andrò a bere, là a
pisciare, qui a dormire e li ahimè a soffrire.
Camminavo con gli altri nuovi nel piazzale, ci hanno
rinchiusi nella grande palestra e lì c'è stato più niente da fare.
 Sono crollato di botto negli occhi di
Lele. E non ho più potuto fingere d'essere solo.
Lo stanzone palestra in cui resterò per quasi due ore
insieme a gruppi sempre nuovi di reclute ha delle
strette e alte finestre che guardano verso la strada.
Ci sono alcuni materassini ginnici polverosissimi sui
quali molti si sdraiano; c'è un cavallo con maniglie, ci
sono funi e pertiche, ma soprattutto c'è questo
grande disagio che serpeggia nelle chiacchiere
stupide dei ragazzi, tutti hanno un generale che li
protegge, uno zio maresciallo che li sorregge, i
napoletani hanno i compà, i sardi i fratelli della lega
sarda, i milanesi hanno amici altolocati, i romani
hanno gente, i bolognesi fingo di non sentirli, i
calabresi hanno sorrete e mammete, i pugliesi non si
capisce che cazzo abbiano se una confraternita o una
congrega di zitelle, i toscanacci hanno una parlata da
ghigliottina, antipaticissima e sbracata, i livornesi
poi questa «s» che par tutta uno scivolo lascivo, i
piemontesi hanno grandi occhi spalancati, insomma
nel giro di due minuti dal timido silenzio iniziale
scaturisce tutta la babele dell'Italia rustica e
regionale, ognuno raccolto fra quelli della sua terra
cosicché salta fuori un casino poliglotta, una
sarabanda del dialetto e del falsetto, tutta una
kermesse del vocio nazional-popolare da dare i
brividi. Io guardo al di là della finestra sbarrata.
Scorgo un signore che esce di casa col cagnolino al
guinzaglio. Ho il primo spiazzamento da che son
partito, dico vedi, tutto questo per un anno non sarà
tuo, non ci saranno spese o compere da fare, non ci
sarà libertà di andare e vagare, non ci sarà mai un
gesto così automatico e per questo così
immensamente libero e slegato e autonomo come
quello di quel signore che si sta aggiustando il
cappello, che sorveglia il barboncino, che esce a
passeggio. Potrai fingere, oh questo sì, ma ora sei un
soldato e tutto per te è archiviato.
Ma non sono l'unico a tacere. C'è Lele. Il primo
sguardo che ho incontrato e che mi lascerà soltanto
un anno esatto dopo a Roma, il sei di aprile in una
trattoria di Trastevere. Emanuele. Come Renzu, Elio,
Tony, Gianni, Michele, Maurizio, Giulio, Renato,
Antonio, Raffaele, Stanislao, Paolo. Come Beaujean,
Miguel, Pablito, Enzino, Baffina, Bella Perotto, tutti i
volti della nostra combriccola in divisa che ora, in
quest'altro e terzo aprile da che son partito io sogno
e inseguo e ricalco e descrivo, gente che ho amato e
a cui ho voluto granbene, gente che non m'ha
lasciato, ragazzi bellissimi e altissimi, poiché questa
che state leggendo è tutta una storia di gente alta e
gente bella, di eroi da romanzo, impervi, granitici,
sublimi. Questo è il racconto trafelato di come ci
siamo incontrati e di tutte le intensità che ci hanno
travolto per quei dodici mesi.
Voglio molto bene ai
miei amici. E' per loro, gli altissimi, che ricordo
questa storia che una volta c'era e ora non più. In
onore al glorioso e gayoso 4/80 che riprendo a raccontare.

domenica 26 febbraio 2017

Da "La Bastarda di Istanbul" di Elif Shafak




Non maledire ciò che viene dal cielo.
 Inclusa la pioggia. 
Non importa cosa ti precipiti addosso, non importa quanto violento il nubifragio o gelida la grandine: non rifiutare quello che il cielo ti manda.

*****

Donami l'oblio dell'ignoranza oppure dammi la forza per sopportare la conoscenza. 
Per la tua scelta ti sarò grata, ma ti prego di non lasciarmi impotente e insieme consapevole

*****

Allah, dammi la conoscenza, perché non posso resistere all'impulso di sapere, ma dammi anche la forza di sopportare quella conoscenza.

*****
«C'era una volta, o forse non c'era, una terra non troppo lontana, dove gli uomini
si comportavano male e i tempi erano duri. Dopo aver osservato a lungo quello
scenario desolante, Allah decise di inviare un messaggero, Noè, affinchè gli uomini
imparassero a comportarsi meglio e avessero modo di pentirsi. Ma quando Noè
apriva bocca per predicare la verità, nessuno lo ascoltava, e le sue parole venivano
interrotte dalle imprecazioni. Lo prendevano in giro chiamandolo pazzo, invasato,
eccentrico...»
Asya scoccò a zia Banu uno sguardo divertito, sapendo dove colpire: «Ma più di
ogni altra cosa, a devastare Noè fu il tradimento di sua moglie, vero zia Banu? Non è
forse vero che anche sua moglie si unì alle schiere dei pagani?»
«In verità è proprio quello che fece, quella serpe in seno!» rispose zia Banu,
combattuta tra il dovere di narrare un racconto religioso nel modo più acconcio, e il
desiderio di aggiungere un po' di pepe per conto suo.
«Noè cercò di convincere la moglie e la sua gente per ottocento anni... E non
chiedetemi perché ci mise tutto quel tempo» raccomandò zia Banu «perché il tempo
non è che una goccia nell'oceano, e non si può paragonare una goccia con l'altra e
decidere qual è la più grossa o la più piccola. Così Noè trascorse ottocento anni a
pregare per la sua gente, cercando di ricondurli sulla retta via. Un giorno Dio gli
mandò l'angelo Gabriele. "Costruisci una nave" gli sussurrò l'angelo "e imbarca una
coppia per ogni specie."»
La voce di Banu si abbassò di un tono, perché quella era la parte che le piaceva
meno.
«Alla fine sull'arca di Noè c'era gente di tutte le fedi» continuò zia Banu. «C'erano
Davide e Mosè, Salomone, Gesù e anche Maometto, la pace discenda su di lui. Così
equipaggiati, si imbarcarono e cominciarono l'attesa.»
«Ben presto arrivò l'inondazione. Allah ordinò: "Oh cieli! Il momento è venuto!
Liberate le vostre acque. Non trattenetevi più, e liberate la vostra acqua e la vostra
rabbia!". E poi ordinò alla terra: "Oh terra! Trattieni l'acqua, non assorbirla". L'acqua
salì così velocemente che nessuno sopravvisse fuori dall'arca.»
A quel punto la voce dell'interprete risalì di tono, perché era la sua parte preferita.
Le piaceva immaginarsi l'acqua che saliva, travolgendo villaggi e civiltà.
«Per giorni e giorni continuarono a navigare, e c'era acqua ovunque. Presto il cibo
cominciò a scarseggiare, e non ce n'era più a sufficienza per mettere insieme un
pasto.
Allora Noè ordinò: "Portate ogni cosa che avete!" E così fecero, animali e umani,
insetti e uccelli, gente di fede diversa, portarono ciò che era rimasto loro. Cucinarono
tutti gli ingredienti insieme, e così prepararono un gran calderone di ashure.» Zia
Banu sorrise orgogliosa in direzione della pentola sul fornello, come se fosse proprio
quello l'ashure della leggenda. «Ecco la storia di questo dessert.»
Secondo zia Banu tutti gli eventi significativi nella storia del mondo erano
accaduti il giorno dell'ashure. Era quello il giorno in cui Allah aveva accettato il
pentimento di Adamo, Yunus era stato sputato dal delfino che lo aveva ingoiato,
Rumi aveva incontrato Shams, Gesù era stato assunto in cielo, e Mosè aveva ricevuto
i Dieci comandamenti.
L'Urlo di Allen Ginsberg





L'Urlo

a Carl Solomon

Ho visto le migliori menti della mia generazione distrutte dalla

follia, affamate isteriche nude,

trascinarsi nei quartieri negri all'alba

in cerca di un sollievo astioso,

alternativi dalle teste d'angelo in fiamme per l'antica celeste

connessione con la dinamo stellata nel meccanismo

della notte,

che in povertà e stracci e occhi vuoti e fatti sedevano

fumando nell'oscurità soprannaturale di

appartamenti con acqua fredda galleggianti tra le cime delle città

contemplando il jazz,

che esponevano i cervelli al Cielo sotto l'El e

vedevano angeli maomettani barcollare illuminati su tetti

condominiali,

che attraversavano università con freddi occhi splendenti

allucinando l'Arkansas e la tragedia della Blake-light 

fra gli studiosi della guerra,

che venivano espulsi dalle accademie per estremismo &

pubblicazione di odi oscene sulle finestre del

cranio,

che si annidavano in stanze non sbarbate in mutande, bruciando

i loro soldi in cestini dei rifiuti e ascoltando

il Terrore attraverso il muro,

che venivano perquisiti nelle barbe pubiche tornando via

Laredo con una cintura di marijuana per New York,

che mangiavano fuoco in alberghi riverniciati o bevevano trementina a

Parco Paradiso, morte, o purgatoriavano i propri

busti notte dopo notte

con sogni, con droghe, con incubi a occhi aperti,

alcol e cazzo e palle infinite,

incomparabili vicoli ciechi di nuvola vibrante e

fulmine nella mente scagliata verso i poli di

Canada & Paterson, che illumina tutto l'immoto

mondo del Tempo in mezzo,

solidità di Peyote di saloni, albe di cimitero dell'albero verde del

cortile, ubriachezza di vino sui tetti,

borghi commerciali di giretto da fumati semaforo lampeggiante

al neon, vibrazioni di sole e luna

e albero nelle ruggenti foschie invernali di Brooklin,

proclami Ashcan e luce mentale di re gentile,

che si incatenavano a metropolitane per l'interminabile

corsa da Battery al benedetto Bronx sotto benzedrina

finché il rumore di ruote e bambini li faceva scendere

tremanti con la bocca convulsa e abbattuti il cervello inaridito

tutti drenati di splendore nella sconfortante luce di Zoo,

che si immergevano tutta la notte in luce sottomarina di Blickford's

emergevano e sedevano a smaltire la birra svaporata dopo

mezzogiorno in un desolato Fugazzi's, ascoltando il frastuono

d'inferno dal jukebox a idrogeno,

che parlavano senza interruzione settanta ore da parco a

casa a bar a Bellevue a museo al Ponte

di Brooklin,

battaglione disperso di conversazionalisti platonici che saltavano

fuori da scalinate da uscite di sicurezza da davanzali

dall'Empire State dalla luna,

chiacchiericciando strillando vomitando sussurrando fatti

e ricordi e aneddoti e pugni nell'occhio

e traumi di ospedali e carceri e guerre,

interi intelletti degurgitati in flusso di coscienza per sette giorni

e notti con occhi brillanti, carne per la

Sinagoga gettata sul pavimento,

che svanivano nel nulla Zen New Jersey lasciando una

pista di ambigue cartoline illustrate dell'Atlantic

City Hall,

soffrendo calure orientali e artriti Tangerine

e emicranie della Cina durante astinenze da roba

in una camera squallidamente arredata di Newark,

che giravano e giravano a mezzanotte nello

spiazzo della ferrovia domandandosi dove andare, e andavano,

senza spezzare nessun cuore,

che accendevano sigarette a camionate camionate camionate arrancando

nella neve verso fattorie solitarie nella notte

del nonno,

che studiavano Plotino Poe San Giovanni della Croce telepatia

e bebop cabbala perche il cosmo vibro'

istintivamente ai loro piedi in Kansas,

che si aggiravano solitari per le strade dell'Idaho cercando

angeli indiani visionari che fossero angeli indiani

visionari,

che pensavano di essere solo pazzi quando Baltimora

risplendette in estasi soprannaturale,

che saltavano in limousine con il Cinese dell'Oklahoma

ispirati dalla pioggia invernale di semaforo di paesino

a mezzanotte,

che si aggiravano affamati e soli per Houston

cercando jazz o sesso o zuppa, e seguirono lo

spagnolo brillante per conversare sull'America

e l'Eternità, un'impresa disperata, e così si

imbarcarono per l'Africa,

che sparivano nei vulcani del Messico lasciando

dietro di se' nient'altro che l'ombra dei jeans

e la lampada lava e cenere di poesia sparpagliata nel

camino Chicago,

che riapparivano nel West investigando

sull'FBI in barbe e pantaloncini e grandi occhi

pacifisti sexy con la loro pelle abbronzata mentre

distribuivano incomprensibili volantini,

che si procuravano bruciature di sigarette sulle braccia per protesta

contro foschia narcotica di tabacco del Capitalismo,

che distribuivano pamphlet Supercomunisti a Union

Square piangendo e spogliandosi mentre le sirene

di Los Alamos li lamentavano via, e lamentavano

via Wall, e il traghetto di Staten Island pure

si lamentava,

che scoppiavano in lacrime nella palestra bianca nudi e

tremanti di fronte al meccanismo di altri

scheletri,

che mordevano ispettori sul collo e strillavano con gioia

in macchine della polizia per non aver commesso alcun crimine salvo

la propria pederastia in selvaggia ebollizione e intossicazione,

che ululavano in ginocchio nella metropolitana e venivano

trascinati via dal tetto agitando genitali e

manoscritti,

che si lasciavano fottere in culo da motociclisti

santi, e urlavano di gioia,

che pompavano e venivano pompati da quei serafini umani,

i marinai, carezze dell'Atlantico e amore

Caraibico,

che scopavano la mattina la sera in giardini

di rose ed erba di parchi pubblici e

cimiteri spargendo il loro seme liberamente per

chiunque volesse venire,

che singhiozzarono all'infinito provando a ridacchiare ma se la cavarono

con un gemito dietro un separé di un bagno turco

quando il biondo & nudo angelo venne a infilzarli

con la spada,

che perdevano i ragazzi per le tre vecchie maledizioni del destino

la maledizione con un occhio solo del dollaro eterosessuale

la maledizione con un occhio solo che ammicca dall'utero

e la maledizione con un occhio solo che non fa nient'altro che

star seduta tutto il giorno a tagliare i fili d'oro

intellettuali del telaio dell'artigiano,

che copulavano estatici e insaziabili con una bottiglia di

birra un fidanzatino un pacchetto di sigarette una

candela e cadevano giù dal letto, e continuavano sul

pavimento e nel soggiorno e finivano collassati

sul muro con una visione di troiaggine perfetta e orgasmo

che eludeva l'ultimo sprazzo di coscienza,

che addolcivano le fiche di un milione di ragazze tremanti

al tramonto, e avevano gli occhi rossi la mattina

ma erano preparati ad addolcire la fica del sole

nascente, chiappe balenanti nei fienili e nude

al lago,

che andavano a puttane per il Colorado in una miriade

di auto civette rubate, N.C., eroe segreto di questi

versi, amatore e Adone di gioia-di-Denver

alla memoria delle sue innumerevoli trombate di ragazze

in parcheggi vuoti e retri di tavole calde, sedili traballanti

di cinema, su cime di montagne in grotte o con

cameriere ossute in sollevamenti di sottane solitarie

ai bordi di strade familiari & specialmente solipsismi segreti

di gabinetti di stazioni di servizio & pure parchi di paese natio,

che sfumavano via in vasti film sordidi, erano sostituiti

nei sogni, si svegliavano a un inatteso manhattan, e

si tiravano fuori da sottoscala intossicati

di tocai senza cuore e orrori di sogni di ferro

da Terza Strada & vagavano verso uffici di

disoccupazione,

che camminavano tutta la notte con le scarpe piene di sangue sulle

banchine di neve aspettando che una porta dell'East

River si aprisse su una stanza piena di vapore

e oppio,

che creavano grandi drammi suicidi sui cornicioni

d'appartamento dell'Hudson sotto il riflettore blu

da coprifuoco della luna & le loro teste saranno

incoronate con l'alloro nell'oblio,

che mangiavano lo stufato d'agnello dell'immaginazione o digerivano

il granchio sul fondo fangoso dei fiumi di

Bowery,

che piangevano per la dolcezza delle strade spingendo carrelli

pieni di cipolle e cattiva musica,

che sedevano in scatole respirando nell'oscurità sotto il

ponte, e si alzavano per costruire clavicembali nelle

loro stanze,

che tossivano al sesto piano di Harlem coronata di fiamme

sotto il cielo tubercoloso circondati

da casse arancioni di teologia,

che scribacchiavano tutta la notte completamente esaltati per sublimi

incantesimi che nel giallo mattino erano

strofe di spazzatura,

che cucinavano animali fradici polmoni cuore zampe coda borsht

& tortillas sognando il puro regno

vegetale,

che si infilavano sotto camion della carne in cerca di

un uovo,

che lanciavano gli orologi giù dal tetto per esprimere il proprio voto

per un Eternità al di fuori del Tempo, & delle sveglie

gli caddero sulla testa ogni giorno per il decennio successivo,

che si tagliarono i polsi per tre volte in successione senza

successo, ci rinunciarono e furono costretti ad aprire negozi

di antichità dove credettero di stare

invecchiando e piangevano,

che furono bruciati vivi nei loro innocenti completi di flanella

su Madison Avenue fra esplosioni di versi plumbei

& il clangore corazzato dei reggimenti

della moda & gli squittii alla nitroglicerina delle

fatine della pubblicità & il gas tossico di sinistri

editori intelligenti, o furono investiti dai

tassisti ubriachi della Realtà Assoluta,

che saltarono giù dal Ponte di Brooklin questo e' successo

veramente e se ne andarono via ignoti e dimenticati

nel labirinto spettrale della zuppa di vicoli di

Chinatown & camion dei pompieri, nemmeno una birra gratis,

che cantavano dalle finestre disperati, cadevano dal

finestrino della metropolitana, saltavano sul lurido Passaic,

scavalcavano negri, gridavano per tutta la strada,

danzavano su bicchieri di vino rotti a piedi scalzi frantumavano

dischi fonografici di jazz tedesco dei nostalgici

anni '30 europei finivano il whisky e

vomitavano rumorosamente nella maledetta tazza del cesso, gemiti

nelle orecchie e l'esplosione di colossali fischi di

vapore,

che sfrecciavano sulle autostrade del passato viaggiando

verso la fuoriserie-Golgota dell'altro veglia in solitudine di

prigione o incarnazione jazz di Birmingham,

che guidavano per i campi settantadue ore per scoprire

se io ho avuto una visione o tu hai avuto una visione o lui ha

avuto una visione per scoprire l'Eternità,

che visitarono Denver, che morirono a Denver, che

tornarono da Denver & aspettarono invano, che

si occuparono di Denver & incubarono & furono soli a

Denver e infine se ne andarono per scoprire il

Tempo, & ora a Denver mancano molto i suoi eroi,

che caddero in ginocchio in cattedrali irrecuperabili pregando

per la salvezza dell'altro e luce e tette,

finchè l'anima si illuminava il pelo per un secondo,

che si spaccavano la testa in prigione aspettando

criminali impossibili con teste d'oro e il

fascino della realtà nei cuori che cantassero

dolci blues di Alcatraz,

che si ritirarono in Messico per coltivare un vizio, o sulle Montagne

Rocciose per intenerire Budda o a Tangeri per i ragazzi

o nel Sud del Pacifico per la locomotiva nera o

a Harvard per Narciso a Woodlawn alla

collana di margherite o alla tomba,

che esigevano test sanitari accusando la radio di

ipnotismo & restavano con la loro demenza & le loro

mani & la corte divisa,

che lanciavano insalata di patate ai relatori del CCNY sul Dadaismo

e succesivamente si presentavano sui

gradini di granito del manicomio con teste rasate

e discorsi carnevaleschi di suicidio, richiedendo

lobotomia immediata,

e che ricevevano invece il vuoto solido dell'insulina

Metrazolo elettricità idroterapia psicoterapia

terapia occupazionale pingpong &

amnesia,

che per seria protesta capovolsero simbolicamente un unico

tavolo da pingpong, riposando brevemente in catatonia,

ritornando anni dopo veramente calvi a parte una parrucca di

sangue, e lacrime e dita, al destino visibile di pazzo delle guardie

delle città manicomio dell'Est,

le fetide sale del Pilgrim State, di Rockland e di Greystone,

bisticciandosi con gli echi dell'anima,

scatenandosi nella solitudine-panca-dolmen-impero

dell'amore a mezzanotte, sogno di vita un incubo,

corpi mutati in pietra pesanti come la

luna,

con mamma finalmente *******, e l'ultimo fantastico libro

lanciato fuori dalla finestra del locale, e l'ultima

porta chiusa alle 4 AM e l'ultimo telefono

sbattuto contro il muro per risposta e l'ultima stanza

arredata svuotata fino all'ultimo

mobile mentale, una rosa gialla di carta arrotolata

su una gruccia di fil di ferro nell'armadio, e persino

quella immaginaria, niente altro che uno speranzoso pezzettino

di allucinazione

ah, Carl, finché non sei al sicuro neanch'io sono al sicuro, e

ora sei proprio nel completo brodo animale del

tempo

e chi dunque corse per le strade ghiacciate ossessionato

da un improvviso balenio dell'alchimia dell'uso

dell'ellissi il catalogo il metro & il piano

vibrante,

che sogno' e realizzo' brecce umanizzate in Tempo & Spazio

grazie a immagini giustapposte, e intrappolo'

l'arcangelo dell'anima tra due immagini visive

e unifico' i verbi elementari e concilio' il nome

e l'insorgere della coscienza saltando

con la sensazione di Pater Omnipotens Aeterna

Deus

per ricreare la sintassi e la misura della povera prosa

umana e apparire davanti a te muto e intelligente e

tremante di vergogna, respinto eppure

confessandosi l'anima per conformarla ai ritmi

del pensiero nella sua nuda testa infinita,

il barbone matto e battito d'angelo nel Tempo, sconosciuto,

eppure mettendo giù qui quanto potrebbe rimanere da dire

nel tempo dopo la morte,

e sorse reincarnato nei panni spettrali del jazz nell'ombra

di corno dorato della banda e soffio' le

sofferenze d'amore della nuda mente dell'America in

un eli eli lamma lamma sabachtani grido di sassofono che

fece rabbrividire le città fino all'ultima radio

con il cuore assoluto del poema della vita macellato

dai loro stessi corpi buono da mangiare per mille

anni.

II

Quale sfinge di cemento e alluminio gli ha spaccato il cranio e ha mangiato

i loro cervelli e la loro immaginazione?

Moloch! Solitudine! Sporco! Bruttezza! Ashcan e dollari irraggiungibili!

Bambini urlanti sotto trombe delle scale! Ragazzi che gemono negli eserciti!

Vecchi che piangono nei parchi!

Moloch! Moloch! Incubo di Moloch! Moloch il senza amore! Moloch

Mentale! Moloch il grande giudicatore di uomini!

Moloch il carcere incomprensibile! Moloch prigione senz'anima ossa in croce

e Congresso di dolori! Moloch i cui edifici sono sentenze!

Moloch la vasta pietra della guerra! Moloch i governi

stupefatti!

Moloch la cui mente e' puro meccanismo! Moloch il cui sangue e' denaro

che corre! Moloch le cui dita sono dieci eserciti! Moloch il cui petto

e' una dinamo cannibale! Moloch il cui orecchio e' una tomba fumante!

Moloch i cui occhi sono mille finestre schermate! Moloch i cui grattacieli

si ergono nelle lunghe strade come innumerevoli Geova! Moloch le cui

fabbriche sognano e stridono nella nebbia! Moloch i cui fumaioli e

antenne coronano le città!

Moloch il cui amore e' infinito olio e pietra! Moloch la cui anima e' elettricità

e banche! Moloch la cui poverta' e' lo spettro del genio! Moloch

il cui destino e' una nuvola di idrogeno asessuato! Moloch il cui nome e' la

Mente!

Moloch nel quale siedo solitario! Moloch nel quale sogno Angeli! Pazzia nel

Moloch! Bocchinaro nel Moloch! Senzamore e senzauomo nel Moloch!

Moloch che e' penetrato presto nella mia anima! Moloch nel quale sono coscienza

senza corpo! Moloch che mi ha terrorizzato via dalla mia estasi

naturale! Moloch che io abbandono! Svegliati Moloch! Luce che urla dal

cielo!

Moloch! Moloch! Appartamenti robot! sobborghi invisibili! tesori di scheletri!

capitali cieche! manifatture diaboliche! nazioni spettrali! manicomi

invincibili! cazzi di granito! bombe mostruose!

Si sono rotti la schiena per sollevare Moloch al Cielo! Pavimenti, alberi, radio,

tonnellate! sollevando la città al Cielo che esiste ed e' dappertutto attorno

a noi!

Visioni! presagi! allucinazioni! miracoli! estasi! portati via dal fiume

americano!

Sogni! adorazioni! illuminazioni! religioni! l'intero bastimento di stronzate

emotive!

Cambiamenti radicali! al fiume! capriole e crocifissioni! via con la corrente!

Esaltazioni! Epifanie! Disperazioni! Suicidi e grida di animali di dieci

anni! Menti! Nuovi amori! Generazione ribelle! giu' sugli scogli del

Tempo!

La benedetta risata autentica nel fiume! L'hanno vista tutti! gli occhi selvatici! le benedette

grida!

Hanno dato l'addio! Sono saltati dal tetto! nella solitudine! facendo ciao!

portando fiori! Giù nel fiume! nella strada!

III

Carl Solomon! Sono con te a Rockland

dove sei più pazzo di me

Sono con te a Rockland

dove dovrai sentirti ben strano

Sono con te a Rockland

dove imiti l'ombra di mia madre

Sono con te a Rockland

dove hai assassinato le tue dodici segretarie

Sono con te a Rockland

dove ridi per questo umorismo invisibile

Sono con te a Rockland

dove siamo grandi scrittori sulla stessa orribile macchina da scrivere

Sono con te a Rockland

dove la tua condizione e' diventata seria e lo riporta la radio

Sono con te a Rockland

dove le facoltà del cranio non tollerano più i vermi dei

sensi

Sono con te a Rockland

dove bevi il te' dal seno delle zitelle di Utica

Sono con te a Rockland

dove fai battute sul fisico delle tue infermiere le arpie del Bronx

Sono con te a Rockland

dove gridi in camicia di forza che stai perdendo la partita

dell'autentico pingpong degli abissi

Sono con te a Rockland

dove pesti sul pianoforte catatonico l'anima e' innocente e

immortale non dovrebbe morire mai empiamente in un manicomio armato

Sono con te a Rockland

dove cinquanta altri shock non restituiranno mai piu' la tua anima al corpo

dal suo pellegrinaggio verso una croce nel nulla

Sono con te a Rockland

dove accusi i dottori di demenza e trami la rivoluzione

ebrea socialista contro il Golgota nazionale fascista

Sono con te a Rockland

dove separerai i cieli di Long Island e farai risorgere il tuo

vivente Gesu' umano dalla tomba sovrumana

Sono con te a Rockland

dove ci sono venticinquemila compagni rabbiosi che cantano tutti assieme

le strofe finali dell'Internazionale

Sono con te a Rockland

dove abbracciamo e baciamo gli Stati Uniti sotto le lenzuola gli

Stati Uniti che tossisce tutta la notte e non ci lascia dormire

Sono con te a Rockland

dove ci svegliamo elettrificati dal coma per gli aeroplani delle

nostre anime che rombano sul tetto sono venuti a sganciare bombe angeliche

l'ospedale si illumina mura immaginarie franano O smunte legioni

correte fuori O scossa di grazia a stelle e strisce la guerra

eterna e' giunta O vittoria lascia perdere le mutande siamo liberi

Sono con te a Rockland

nei miei sogni cammini gocciolando da un viaggio di mare sull'autostrada

attraverso l'America in lacrime verso la porta della mia villetta nella notte

dell'Occidente








domenica 19 febbraio 2017



Topologia: Bottiglia di Klein

La bottiglia di Klein è una superficie non orientabile (non ha un sopra ed un sotto. Vedi  http://pensierispettinatissimi.blogspot.it/2017/01/nastro-di-mobius-e-lorientabilita-il.html) ed è senza bordo.

“Fu introdotta dal matematico tedesco Felix Klein nel 1882 e la chiamò FLÄCHE, che significa superficie in tedesco. Siccome bottiglia di dice flasche, la parola venne tradotta erroneamente e, una volta adottato questo nome, fu impossibile correggerlo. Il fatto che la riproduzione tridimensionale ricordi la forma di una bottiglia contribuì nell'errore” (da “Forme che si deformano” di Vicente Muñoz) 



La bottiglia di Klein si ottiene da un quadrato identificando i lati come viene indicato nella seguente figura:






Se si identificano due lati opposti “per dritto” (cioè identificati i punti alla stessa altezza sui due lati verticali) e gli altri due nell'altro verso, si ottiene al primo passo un cilindro: poi, però, non si possono più semplicemente accostare le due circonferenze per incollarle, perché sulle due circonferenze è opposto il verso secondo cui vanno identificati i punti. Per riuscire a incollarle occorre allora “passare da dentro”, permettendo che la superficie si autointersechi.





Si tratta di una superficie ad una sola faccia, cioè con la proprietà che da qualunque punto sulla superficie si può raggiungere qualunque altro punto (esattamente come nel nastro di Möbius), ma con l'ulteriore interessante proprietà di essere una superficie chiusa, cioè priva di bordi. L'immersione della bottiglia nello spazio a tre dimensioni ha introdotto una linea di intersezione tra due parti della superficie. Quseto è dovuto alla circostanza che mentre il nastro di Möbius può essere rappresentato all'interno dello spazio euclideo tridimensionale , la bottiglia di Klein non può (e infatti nelle rappresentazioni grafiche tridimensionali la superficie è costretta ad autointersecarsi da qualche parte) ma può essere rappresentata nello spazio euclideo quadridimensionale .


Se tagliamo la bottiglia di Klein lungo una linea mediana otteniamo due nastri di Möbius: un altro modo di costruire la bottiglia è proprio quello di saldare due nastri di Möbius per il loro bordo. Il fatto che la bottiglia di Klein contenga nastri di Möbius è di particolare interesse: il nastro di Möbius può essere considerato come l'unità base delle superfici non orientabili (cioè con una sola faccia), in quanto si può provare che ogni superficie di questo tipo contiene un nastro di Möbius )




Logica e connettivi Logici

PROPOSIZIONE o ENUNCIATO è  una qualunque espressione alla quale possa attribuirsi il valore logico VERO (V) o (nel senso dell’aut latino) il valore logico FALSO (F)

In particolare: “Gli asini volano”  è l’enunciato (o proposizione); falso è il valore logico dell’enunciato “Gli asini volano”

Da singole proposizioni se ne possono ottenere altre più complesse o composte mediante l’uso dei cosiddetti CONNETTIVI LOGICI.

Nelle proposizioni più complesse le singole proposizioni sono dette Componenti.

I connettivi logici sono:

NEGAZIONE  (che si legge “non”) simbolo:                                  ¬  
CONGIUNZIONE (che si legge “e”) simbolo:                                ˄
DISGIUNZIONE (che si legge “o” nel senso del “vel” latino)       ˅

Connettivi derivati
Disgiunzione esclusiva (“aut” che si legge o uno o l’altro)            AUT
IMPLICAZIONE (che si legge “implica”)                                     
DOPPIA IMPLICAZIONE (che si legge “se e solo se”)               


per definire compiutamente i connettivi logici occorre stabilire per ciascuno di essi le regole attraverso le quali individuare il valore logico della proposizione composta. Tali regole sono stabilite dalle tabelle di verità.

Negazione
Date “p” e “q” come proposizioni componenti:
p
¬ p
V
F
F
V

Cioè “non p” è vera se “P” falsa e viceversa


Congiunzione

Date “p” e “q” come proposizioni componenti:

p
Q
p ˄ q
V
V
V
V
F
F
F
V
F
F
F
F

In congiunzione “p ˄ q” vera solo p e q entrambe vere
Disgiunzione

Date “p” e “q” come proposizioni componenti:
p
q
p ˅ q
V
V
V
V
F
V
F
V
V
F
F
F

In disgiunzione “p ˅ q” è vera se almeno una tra p e q è vera; se tutte due false p ˅ q è falsa

Disgiunzione esclusiva (aut)

P
Q
p AUT q
V
V
F
V
F
V
F
V
V
F
F
F

p AUT q è vera solo se p e q hanno valori di verità opposti (o una è vera e l’altra è falsa o viceversa)

Lo stesso risultato di Aut può essere realizzato con gli operatori logici fondamentali:
p AUT q = ¬ [(p ˄ q) ˅ (¬p ˄¬q)]
p
q
¬p
¬q
p ˄ q
(¬p ˄¬q)
(p ˄ q) ˅ (¬p ˄¬q)
¬ [(p ˄ q) ˅ (¬p ˄¬q)]
v
v
f
f
v
f
v
f
v
f
f
v
f
f
f
V
f
v
v
f
f
f
f
V
f
f
v
v
f
v
v
F




Implicazione logica
 Date “p” e “q” come proposizioni componenti:
p
q
p ⇒ q
V
V
V
V
F
F
F
V
V
F
F
V

In implicazione “p ⇒ q” è vera se p e q  hanno entrambe lo stesso valore di verità (entrambe false o vere)  oppure, in caso di valori differenti, se almeno q è vera
p ⇒ q = (¬p) ˅ q
P
q
¬p
(¬p) ˅ q
V
v
f
V
V
f
F
F
F
v
V
V
F
f
V
V


Doppia implicazione
Date “p” e “q” come proposizioni componenti:
p
Q
p ↔ q
V
V
V
V
F
F
F
V
F
F
F
V

p ↔ q è vera solo se p e q hanno lo stesso valore di verità
p ↔ q = (p ˄ q) ˅ (¬p ˄ ¬q)  


p
q
¬p
¬q
(p ˄ q)
(¬p ˄ ¬q)  
(p ˄ q) ˅ (¬p ˄ ¬q)  
v
v
f
f
v
F
v
v
f
f
v
f
f
F
f
v
v
f
f
f
F
f
f
v
v
f
v
V