venerdì 8 dicembre 2017

Da Mattatoio N. 5 o la Crociata dei bambini di Kurt Vonnegut




O'Hare e io la smettemmo di ricordare, andammo in soggiorno, e parlammo di altre cose. Ci venne la
curiosità di saper qualcosa della vera 'crociata dei bambini' e così O'Hare la cercò in un libro che
aveva, "Straordinari inganni popolari e fanatismo delle folle", di Charles Mackay. Era stato
pubblicato per la prima volta a Londra, nel 1841.
Mackay aveva una scarsa opinione di "tutte" le crociate. La crociata dei bambini gli era parsa
appena un poco più ignobile delle dieci per adulti. O'Hare lesse a voce alta questo brano:
"La storia ci dice nel suo tono solenne che i crociati non erano altro che uomini ignoranti e feroci, che a
muoverli era un fanatismo sfrenato, e che il loro era un itinerario di sangue e lacrime. La leggenda,
d'altra parte, si diffonde sulla loro religiosità e il loro eroismo, e dipinge a toni intensi e splendenti il
loro valore e la loro magnanimità, la gloria imperitura che si sono guadagnati e i grandi servizi resi alla
cristianità."
E poi O'Hare lesse questo: "Ora quale fu il grande risultato di tutte queste lotte? L'Europa vi lasciò una
quantità di tesori e il sangue di due milioni dei suoi abitanti; e un gruppetto di cavalieri litigiosi
conservò il possesso della Palestina per un centinaio d'anni."
Mackay raccontava che la crociata dei bambini era iniziata nel 1213, quando a due monaci venne
l'idea di arruolare degli eserciti di bambini in Germania e in Francia, e di venderli in Nord Africa
come schiavi. Trentamila bambini si presentarono come volontari, pensando di andare in Palestina.
"Erano indubbiamente", diceva Mackay, ragazzi sfaccendati e abbandonati a se stessi, temerari e
pronti a tutto, come se ne trovano di solito nelle grandi città".
Anche il papa Innocenzo Terzo pensava che fossero diretti in Palestina, e ne fu tutto eccitato.
“Questi ragazzi vegliano mentre noi dormiamo!” disse.
La maggior parte dei bambini fu imbarcata a Marsiglia, e una metà circa di essi morì durante
naufragi. Gli altri giunsero in Nord Africa, dove furono venduti.
A causa di un malinteso, alcuni ragazzi si presentarono per l'arruolamento a Genova, dove non
c'erano navi di schiavi ad attenderli. Vennero nutriti e alloggiati dalla buona gente di là, che li
interrogò e, dopo aver dato loro qualche soldo e un bel po' di consigli, li rispedì a casa.


****

Era "Il Vangelo dello spazio" di Kilgore Trout. Parlava di un essere venuto
dallo spazio, che somigliava molto a un tralfamadoriano, fra l'altro. L'essere proveniente dallo spazio
studiò a fondo il cristianesimo per capire, se possibile, perché per i cristiani fosse tanto facile esser
crudeli. Concluse che il guaio derivava almeno in parte dal modo trasandato in cui era scritto il Nuovo
Testamento. Secondo lui l'intento dei Vangeli era di insegnare alla gente, fra le altre cose, a essere
misericordiosi, anche verso i più umili.
Ma i Vangeli finirono in realtà per insegnare questo:
"Prima di uccidere un uomo, accertatevi bene che non sia imparentato con qualcuno d'importante".
Così va la vita.
La magagna nelle storie di Cristo, diceva l'essere venuto dallo spazio, era che Cristo, malgrado le
apparenze, era il Figlio dell'Essere più potente dell'universo. I lettori lo capivano e così, quando
arrivavano alla crocifissione, naturalmente pensavano (e qui Rosewater lesse a voce alta):
"Ok, ragazzi... hanno proprio preso un granchio, nello scegliere il tizio da linciare!"
E un fratello pensò anche: "'C'è invece della gente che si deve linciare'". Chi? La gente non ben
imparentata. Così va la vita.
L'essere venuto dallo spazio fece dono alla Terra di un nuovo Vangelo. In esso, Gesù era davvero un
tizio qualsiasi, e costituiva una seccatura per un sacco di gente meglio imparentata di lui. Anche lì
aveva da dire tutte le cose belle e imbarazzanti che diceva negli altri Vangeli.
Così la gente un giorno si divertì a inchiodarlo a una croce e a piantare la croce a terra. Non potevano
esserci ripercussioni di alcun genere, pensavano quelli che l'avevano linciato. Anche il lettore era
indotto a pensarlo, dato che il nuovo Vangelo seguitava a ripetere che Gesù era proprio
un ometto qualsiasi.
E poi, appena prima che l'ometto morisse, i cieli si aprirono, e vi furono tuoni e lampi. Dall'alto scese
scrosciante la voce di Dio. Questi disse alla gente che egli adottava il povero vagabondo, dandogli pieni
poteri e privilegi di Figlio del Creatore dell'universo per tutta l'eternità. Ecco cosa disse: "Da questo
momento in poi, Egli punirà orribilmente chiunque tormenterà un vagabondo senza parenti importanti!"

*****

Il maggiore si scusò per aver dovuto mettere dei soldati americani nelle baracche degli inglesi.
Promise che l'inconveniente sarebbe durato non più di un giorno o due, dato che gli americani
sarebbero stati mandati presto a Dresda, al lavoro coatto. Aveva con sé una monografia, pubblicata
dall'Associazione tedesca degli ufficiali carcerari. Era un rapporto sul comportamento dei prigionieri
di guerra americani in Germania, e lo aveva scritto un ex americano che aveva fatto molta carriera nel
Ministero della propaganda tedesco. Si chiamava Howard. W. Campbell, Junior In seguito si sarebbe
impiccato, mentre aspettava di esser processato come criminale di guerra.
Così va la vita.
Mentre il colonnello inglese sistemava il braccio rotto a Lazzaro e preparava il gesso, il maggiore
tedesco tradusse a voce alta alcuni brani dello scritto di Howard W. Campbell, Junior Campbell un
tempo era stato un commediografo piuttosto noto. La monografia iniziava così:
"L'America è la nazione più ricca del mondo, ma il suo popolo è in gran parte povero, e gli americani
poveri tendono a odiare se stessi. Per citare l'umorista americano Kin Hubbard: “Esser povero non è
una disgrazia, ma potrebbe anche esserlo”. Effettivamente per un americano è un crimine essere
povero, benché l'America sia un paese di poveri. Ogni altro paese ha tradizioni popolari che parlano di
uomini poveri ma molto saggi e virtuosi, e quindi più stimabili di qualsiasi individuo ricco e potente.
Per gli americani poveri non esistono leggende del genere; loro deridono se stessi e esaltano quelli più
ricchi di loro. I ristoranti e i caffè più modesti, di proprietà a loro volta di gente povera, hanno spesso
sul muro una scritta con questa crudele domanda: 'Se sei tanto intelligente, perché non sei ricco?'. E
non manca poi una bandiera americana non più grande della mano di un bambino, attaccata a una
stecca di lecca-lecca e sventolante dal registratore di cassa."
Si diceva che l'autore di questo scritto, nato a Schenectady, New York, avesse il più alto quoziente
d'intelligenza tra tutti i criminali di guerra condannati all'impiccagione. Così va la vita.
"Gli americani, come tutti gli altri popoli, credono in molte cose che sono ovviamente false,"
seguitava la monografia. "La loro illusione più perniciosa è che sia molto facile, per un americano
fare soldi. Non si rendono conto di quanto in realtà sia duro, e quindi quelli che non ne hanno non
fanno altro che rimproverarsene. Questo senso di colpa è stato una vera fortuna per i ricchi e i
potenti; in questo modo, infatti, hanno potuto permettersi di fare, per i poveri, meno di qualsiasi altra
classe dirigente fin dall'epoca napoleonica.
Molte sono le novità giunte dall'America. La più stupefacente è costituita da una massa di poveri
privi di dignità: una cosa senza precedenti. Costoro non si amano a vicenda perché non amano
neppure se stessi. Una volta compreso questo, lo sgradevole comportamento dei militari americani
nei campi di prigionia tedeschi cessa di essere un mistero."
Howard W. Campbell, Junior passava poi a parlare dell'uniforme dei soldati americani nella
seconda guerra mondiale: "Ogni altro esercito della storia, ricco o no, ha cercato di vestire anche i suoi
soldati di grado più basso in modo che potessero far colpo a se stessi e agli altri come raffinati esperti
in fatto di bere, copulare, saccheggiare e uccidere. L'esercito americano invece manda i suoi soldati a
combattere e a morire in un vestito da lavoro modificato, fatto evidentemente per un'altra persona, con
un equipaggiamento sterilizzato ma inadatto, porto dalla carità cenciosa che regala abiti agli ubriachi
degli slum.
Quando un ufficiale tirato a lustro si rivolge a un disgraziato così malvestito, lo rimprovera, come
deve fare un ufficiale in qualsiasi esercito. 

Ma il disprezzo dell'ufficiale non è, come in altri eserciti,
un atteggiamento di paternalistica teatralità: è una genuina espressione di odio verso i poveri, che
non hanno da rimproverare, per la loro miseria, altri che se stessi.
Un responsabile d'un campo di prigionia che abbia a che fare per la prima volta con militari
americani bisogna che stia in guardia: non deve aspettarsi alcun affetto fraterno, nemmeno tra
fratelli. Non vi può essere alcuna coesione tra i singoli. Ciascuno sarà soltanto un bambino
imbronciato, che spesso non desidererà altro che esser morto."

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Due giorni prima che Dresda venisse distrutta, gli americani del mattatoio ebbero una visita molto
interessante. Era Howard W. Campbell, Junior, un americano che era diventato nazista. Campbell era
il tizio che aveva scritto la monografia sull'indecente comportamento dei prigionieri di guerra
americani. Ora non stava facendo altre ricerche sui prigionieri; era venuto al mattatoio a reclutare
uomini per un'unità tedesca chiamata 'Corpo americani liberi'. Campbell era il creatore e il
comandante dell'unità, che avrebbe dovuto combattere solo sul fronte russo.
Campbell era un uomo dall'aspetto comune, ma indossava una stravagante uniforme di sua invenzione.
Portava un cappello bianco gallonato e degli stivali neri da cowboy decorati di svastiche e stelle. Era
inguainato in una specie di calzamaglia azzurra con delle strisce gialle che andavano dalle ascelle alle
caviglie. Sulle spalle aveva un'immagine formata dal profilo di Abramo
Lincoln su campo verde pallido. Aveva un largo bracciale rosso, con una svastica azzurra in un
cerchio bianco.
Ora stava spiegando il significato di questo bracciale, nel recinto per i maiali del macello.
Billy Pilgrim aveva un gran bruciore di stomaco, perché aveva mandato giù cucchiaiate di sciroppo
tutto il giorno. Il brucior di stomaco gli faceva lacrimare gli occhi, per cui l'immagine che aveva di
Campbell era distorta da lenti dondolanti d'acqua salata.
“L'azzurro è il cielo americano” stava dicendo Campbell. “Il bianco è la razza che ha esplorato il
continente, prosciugato le paludi, eliminato le foreste e costruito strade e ponti. Il rosso è il sangue dei
patrioti americani, che è stato versato in passato con tanto entusiasmo.”
Il pubblico di Campbell sonnecchiava. Avevano lavorato duro alla fabbrica di sciroppo, e poi avevano
fatto marciando tutto il lungo percorso dalla fabbrica a casa, nel freddo. Erano macilenti e avevano gli
occhi scavati. La loro pelle stava cominciando a sbocciare in piccole piaghe; e così pure la bocca, la
gola e l'intestino. Lo sciroppo che mandavano giù alla fabbrica conteneva solo alcune delle vitamine e
dei minerali di cui ogni terrestre ha bisogno.
Campbell ora offriva, agli americani cibo, bistecche, purè, sugo, pasticcio di carne e frutta secca, in
cambio dell'arruolamento nel Corpo americani liberi. “Una volta sconfitti i russi,” seguitava “verrete
rimpatriati attraverso la Svizzera.”
Non vi fu risposta.
“Prima o poi finirete per dover combattere contro i comunisti” disse Campbell. “Perché non farla
fuori subito?”
E poi si vide che qualcuno, alla fin fine, avrebbe dato una risposta a Campbell. Il povero vecchio
Derby, lo sfortunato insegnante di liceo, si alzò pesantemente in piedi, per quello che fu probabilmente
il più bel momento della sua vita. Non ci sono quasi personaggi, in questa storia, e non ci sono quasi
confronti drammatici, perché la maggior parte degli individui che vi compaiono sono malridotti, sono
solo giocattoli indifferenti in mano a forze immense. Uno dei principali effetti della guerra, in fondo, è
che la gente è scoraggiata dal farsi personaggio. Ma il vecchio Derby in quel momento era un
personaggio.
La sua posizione era quella di un pugile ubriaco. Aveva la testa chinata; i pugni erano tesi in avanti, in
attesa di istruzioni e piani di battaglia. Derby sollevò la testa, e chiamò Campbell serpente. Poi si
corresse. Disse che i serpenti non potevano fare a meno di essere serpenti, e che Campbell, dato che era
responsabile di quel che era, era molto peggio di un serpente o di un topo, o persino di una zecca piena
di sangue.
Campbell sorrise.



Derby parlò commoventemente della forma di governo americana, della libertà, della giustizia, delle
opportunità e del fair play che garantiva a tutti. Disse che non c'era un uomo, fra loro, che non sarebbe
stato contento di morire per quegli ideali.
Parlò della fratellanza tra il popolo americano e il popolo russo, e di come le due nazioni avrebbero
vinto il morbo del nazismo, che avrebbe voluto infettare il mondo intero.
Le sirene d'allarme di Dresda ulularono lugubremente.
Gli americani, le loro guardie e Campbell si rifugiarono in un deposito per la carne scavato nella
roccia viva sotto il mattatoio, dove tutto echeggiava. C'era una scala di ferro, con porte di ferro in
cima e in fondo.
Giù nel deposito c'erano un po' di buoi, pecore, maiali e cavalli appesi a uncini di ferro. Così va la vita.
C'erano poi degli uncini liberi per altre migliaia di animali. Dentro faceva un freddo naturale; nessuna
refrigerazione. La luce era di candela. L'ambiente era imbiancato a calce e sapeva di acido fenico.
Lungo una parete c'erano delle panchine. Gli americani andarono a sedervisi, spazzando via, prima, le
scaglie d'intonaco che, c'erano sopra.
Howard W. Campbell, Junior restò in piedi, come le guardie. Parlò alle guardie in un tedesco
eccellente. Aveva scritto, a suo tempo, molte note commedie e poesie in tedesco, e aveva sposato una
famosa attrice tedesca, Resi North. Ora lei era morta: era rimasta uccisa mentre intratteneva le truppe
in Crimea. Cosi va la vita.

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Da Ghiaccio Nove di Kurt Vonnegut



Durante il mio viaggio a Ilium e oltre - una spedizione di due settimane che comprese anche il Natale - lasciai gratuitamente il mio appartamento di New York a un povero poeta che si chiamava Sherman Krebbs. La mia seconda moglie mi aveva lasciato dicendo che io ero troppo pessimista perché un’ottimista potesse vivere con me.
            Krebbs aveva la barba, era un Gesù biondoplatino dagli occhi di cocker spaniel.
            Non era un mio amico intimo. L’avevo conosciuto a un cocktail party, dove si era presentato come il presidente nazionale dell’Associazione dei poeti e dei pittori favorevoli a una immediata guerra atomica. 
Chiedeva un rifugio, non necessariamente a prova di bomba, e per caso io ne avevo uno.
            Quando, ancora vibrante per gli inquietanti sottintesi spirituali dell’angelo marmoreo di Ilium mai reclamato, ritornai nel mio appartamento, lo trovai rovinato da una corruzione nichilista. Krebbs se ne era andato; ma prima di andarsene aveva fatto telefonate interurbane per trecento dollari, aveva bruciacchiato il mio divano in cinque punti, aveva fatto morire il mio gatto e il mio albero di avocado, e aveva strappato lo sportello del mio armadietto del pronto soccorso.
            Aveva scritto questa poesia, con ciò che risultò essere sterco, sul pavimento di linoleum giallo della mia cucina:
           
             Ho una cucina.  
             Ma non è una cucina completa.  
             Non sarò veramente felice
             fino a che non avrò
             una sbrigaroba
              
            C’era un altro messaggio, scritto con il rossetto da una mano femminile, sulla tappezzeria sopra il mio letto. Diceva: “No, no, no, disse Pollicino”.

            C’era un biglietto che pendeva dal collo del mio gatto morto. 

C’era scritto; “Miao”. 

****

Verso la coda dell’aereo c’era un bar, e io mi rifugiai là per bere qualcosa. Fu là che incontrai un altro compatriota americano, H. Lowe Crosby di Evanston, Illinois, e sua moglie Hazel.
           
            Erano persone massicce, sulla cinquantina. Parlavano con un forte accento dialettale. Crosby mi disse che possedeva una fabbrica di biciclette a Chicago, e che non riceveva altro che ingratitudine dai suoi dipendenti. Stava per trasferire la ditta nella riconoscente San Lorenzo.
            “Conosce bene San Lorenzo?” chiesi.
            “Questa sarà la prima volta che la vedo, ma mi piace tutto quello che ne ho sentito dire” rispose H. Lowe Crosby. “Hanno la disciplina. Hanno qualcosa su cui si può far conto, da un anno all’altro. Non hanno un governo che incoraggia chiunque a diventare un originale pidocchio di cui nessuno ha mai sentito parlare.”
            “Prego?”
            “Cribbio, a Chicago non facciamo più biciclette. E tutto relazioni umane, adesso.
            Le teste d’uovo non fanno che pensare nuove maniere per rendere tutti felici.
            Nessuno può essere licenziato, qualsiasi cosa succeda; e se per caso qualcuno fabbrica una bicicletta, i sindacati ci accusano di pratiche crudeli e inumane e il governo confisca la bicicletta in conto tasse arretrate e la regala a un cieco dell’Afganistan.”
            “E lei crede che a San Lorenzo le cose andranno meglio?”

            “Lo so maledettamente bene, che andranno meglio! La gente, laggiù, è abbastanza povera e abbastanza spaventata e abbastanza ignorante da avere un po’ di senso comune!” 
Da l'Ignoranza di Milan Kundera



In greco «ritorno» si dice "nóstos". "Algos" significa «sofferenza». La nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare. Per questa nozione fondamentale la maggioranza degli europei può utilizzare una parola di origine greca ("nostalgia", "nostalgie"), poi altre parole che hanno radici nella lingua nazionale: gli spagnoli dicono "añoranza", i portoghesi "saudade". In ciascuna lingua queste parole hanno una diversa sfumatura semantica. Spesso indicano esclusivamente la tristezza provocata dall'impossibilità di ritornare in patria. Rimpianto della propria terra. Rimpianto del paese natio. Il che, in inglese, si dice "homesickness". O, in tedesco "Heimweh". In olandese: "heimwee". Ma è una riduzione spaziale di questa grande nozione. Una delle più antiche lingue europee, l'islandese, distingue i due termini: "söknudur": «nostalgia» in senso lato; e "heimfra": «rimpianto della propria terra». Per questa nozione i cechi, accanto alla parola «nostalgia» presa dal greco, hanno un sostantivo tutto loro: "stesk", e un verbo tutto loro; la più commovente frase d'amore ceca: "styská se mi po tobe": «ho nostalgia di te»; «non posso sopportare il dolore della tua assenza». In spagnolo, "añoranza" viene dal verbo "añorar" («provare nostalgia»), che viene dal catalano "enyorar", a sua volta derivato dal latino "ignorare". Alla luce di questa etimologia, la nostalgia appare come la sofferenza dell'ignoranza. Tu sei lontano, e io non so che ne è di te. Il mio paese è lontano, e io non so cosa succede laggiù. Alcune lingue hanno qualche difficoltà con la nostalgia: i francesi non possono esprimerla se non con il sostantivo di origine greca e non hanno il verbo relativo; possono dire: "je m'ennuie de toi" («sento la tua mancanza» ), ma il verbo "s'ennuyer" è debole, freddo, e comunque troppo lieve per un sentimento così grave. I tedeschi utilizzano di rado la parola «nostalgia» nella sua forma greca e preferiscono dire "Sehnsucht": «desiderio di ciò che è assente»; ma la "Sehnsucht" può applicarsi a ciò che è stato come a ciò che non è mai stato (una nuova avventura) e quindi non implica di necessità l'idea di un "nóstos"; per includere nella "Sehnsucht" l'ossessione del ritorno occorrerebbe aggiungere un complemento: "Sehnsucht nach der Vergangenheit, nach der verlorenen Kindheit, nach der ersten Liebe" («desiderio del passato, dell'infanzia perduta, del primo amore»).

venerdì 20 ottobre 2017

Pierpaolo Pasolini




Oggi è Domenica, domani si muore

Oggi è Domenica,
domani si muore,
oggi mi vesto
di seta e d'amore.

Oggi è Domenica,
pei prati con freschi piedi
saltano i fanciulli
leggeri negli scarpetti.

Cantando al mio specchio,
cantando mi pettino.
Ride nel mio occhio
il Diavolo peccatore.

Suonate, mie campane,
cacciatelo indietro!
"Suoniamo, ma tu cosa guardi
cantando nei tuoi prati?"

Guardo il sole
di morte estati,
guardo la pioggia,
le foglie, i grilli.

Guardo il mio corpo
di quando ero fanciullo,
le tristi Domeniche,
il vivere perduto.

"Oggi ti vestono
la seta e l'amore,
oggi è Domenica,
domani si muore".

domenica 16 aprile 2017


Da “Demian” di Hermann Hesse




“Ogni uomo però non è soltanto lui stesso; ma è anche il punto unico, particolarissimo, in ogni caso importante, curioso, dove i fenomeni del mondo s’incrociano una sola volta senza ripetizione. Perciò la storia di ogni uomo è importante, eterna, divina, perciò ogni uomo fintanto che vive in qualche modo e adempie il volere della natura è meraviglioso e degno di ogni attenzione. In ognuno lo spirito ha preso forma, in ognuno soffre il creato, in ognuno si crocifigge un redentore”.

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Noi non abbiamo il libero arbitrio. Né un altro può pensare ciò che vuole né io lo posso far pensare ciò che voglio. Ma se si osserva bene un altro si può dire con una certa precisione che cosa questi pensa e sente e in tal caso si può anche prevedere ciò che farà nel momento successivo. i molto semplice, però la gente non lo sa. S'intende che ci vuole un certo esercizio. Tra le farfalle, per esempio, ci sono certe falene, le cui femmine sono molto più rare dei maschi. Le farfalle si moltiplicano come tutte le bestie, il maschio feconda la femmina che poi depone le uova. Ora, se di queste falene tu hai una femmina (la prova è stata fatta 'molte volte dai naturalisti), i maschi arrivano di notte da distanze enormi. Sarebbero, pensa un po' ore e ore di strada. A molti chilometri di distanza quei maschi sentono l'unica femmina presente nella regione. Di ciò si vorrebbe dare una spiegazione, ma non è facile. Deve esistere una specie di olfatto o qualcosa di simile, allo stesso modo che i buoni cani da caccia scoprono e seguono tracce impercettibili. Mi capisci? Di queste cose è piena la natura, e nessuno le sa interpretare. Ora io dico: se tra queste farfalle le femmine fossero frequenti come i maschi, questi non avrebbero il fiuto così fine. Lo hanno soltanto perché vi si sono allenati. Quando un animale o un uomo rivolge tutta l'attenzione e tutta la volontà verso una data cosa, finisce col raggiungerla. Tutto qui. Lo stesso vale per il caso a cui pensi. Guarda abbastanza esattamente un uomo e saprai di lui più di quanto ne sappia egli stesso.»

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Il Dio dell'Antico e del Nuovo Testamento è un personaggio eccellente, ma non è quello che dovrebbe essere. il bene, la nobiltà, il bello, è paterno, alto, sentimentale: tutte belle cose, ma nel mondo c'è dell'altro che viene attribuito semplicemente al diavolo, e tutta questa parte del mondo, questa metà viene soppressa e uccisa col silenzio. Allo stesso modo si esalta Dio come padre di ogni vita, ma non si parla della vita sessuale che pure è fondamento della vita, e se mai, la si dichiara diabolica e peccaminosa. Non ho proprio niente in contrario a che si veneri questo Dio Geova, ma io dico che dobbiamo venerare tutto e considerare sacro il mondo intero, non soltanto la metà ufficiale, artificiosamente separata. Accanto al servizio di Dio dovremmo avere anche un servizio del diavolo. A me parrebbe giusto. Oppure bisognerebbe procurarsi un Dio che racchiuda anche il demonio e davanti al quale non si abbia da chiudere gli occhi quando avvengono le cose più naturali del mondo.»

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«Noi tracciamo sempre troppo stretti i limiti della nostra personalità. Attribuiamo alla nostra persona soltanto ciò che ci appare individualmente diverso e differente. Ma noi, ognuno di noi, consta di tutto il complesso del mondo, e come il nostro corpo ha in sé le tavole genealogiche dello sviluppo su su fino al pesce e più indietro ancora, così abbiamo nell'anima tutto ciò che mai è vissuto in anime umane Tutti gli dei e i diavoli che sono esistiti, sia tra i greci e i cinesi, sia fra gli zulù, tutti sono dentro di noi come possibilità, come desideri o vie d'uscita. Se l'umanità si estinguesse tutta, tranne un unico bambino di mediocre intelligenza che non avesse avuto alcuna istruzione, questo bambino ritroverebbe intera la via delle cose e saprebbe riprodurre tutto, dei e demoni, paradisi, leggi e divieti, antichi e nuovi testamenti.» «Sta bene» obiettai: «ma in che consiste allora il valore dell'individuo? A che scopo fare sforzi se abbiamo già tutto compiuto dentro di noi?» «Un momento!» gridò Pistorius. «C'è una bella differenza tra l'avere il mondo dentro di sé ed esserne anche consapevoli! Un pazzo può produrre pensieri che ricordino Platone e lo scolaretto devoto di un istituto religioso può concepire nessi mitologici che troviamo nei gnostici o in Zoroastro Ma non ne sa niente, e finché non lo sa è un albero o un sasso, nel migliore dei casi un animale. Quando poi gli balena la prima scintilla di questa conoscenza diventa uomo. Non vorrà mica considerare uomini tutti i bipedi che passano per la strada soltanto perché camminano ritti e la gestazione dei loro figli dura nove mesi! Lei capisce che molti di loro sono pesci o pecore, vermi o sanguisughe. E quanti sono formiche, quanti api! Certo in ognuno di loro ci sono possibilità di diventar uomini, ma solo quando lo intuiscono e imparano a rendersene conto queste possibilità appartengono a loro.»

*****

Come una fiamma tagliente m'investì a questo punto l'intuizione che ognuno ha un compito, ma nessuno quello che egli stesso ha potuto scegliere, circoscrivere e amministrare a volontà. È errato aspirare a nuovi dei, assolutamente errato voler dare qualche cosa al mondo. Per gli uomini illuminati non esiste nessunissimo dovere, tranne uno: di cercare se stessi, di consolidarsi in sé, di procedere a tentoni per la propria via dovunque essa conduca. Ciò mi scosse profondamente e portò a questo risultato: molte volte avevo giocato con le visioni dell'avvenire, avevo sognato parti che mi potevano essere destinate, una parte di poeta o di profeta o di pittore o qualcosa di simile. Niente di tutto ciò. Io non ero al mondo per fare il poeta, per predicare o dipingere, né questi compiti erano assegnati ad altri. Tutto ciò è secondario. La vera vocazione di ognuno è una sola, quella di arrivare a se stesso. Finisca poeta o pazzo, profeta o delinquente, non è affar suo, e in fin dei conti è indifferente. Affar suo è trovare il proprio destino, non un destino qualunque, e viverlo tutto e senza fratture dentro di sé. Tutto il resto significa soffermarsi a metà, è un tentativo di fuga, è il ritorno all'ideale della massa, è adattamento e paura del proprio cuore. Terribile e sacra sorse davanti a me la nuova immagine mille volte intuita, forse già espressa, eppure soltanto ora vissuta. Io ero un parto della natura lanciato verso l'ignoto, forse verso qualcosa di nuovo o forse anche verso il nulla, e il mio compito consisteva unicamente nel lasciare che quel parto si evolvesse dal profondo, nel sentire dentro di me la sua volontà e nel farlo mio.



Demian di James Franco


Da “Andrea o i Ricongiunti” di Hugo Von Hofmannsthal





“Lo spirito è uno. Nel dominio spirituale non ci sono gradini, soltanto gradi di approfondimento. Lo spirito è un atto più o meno perfetto. … Gli uomini sono le sofferenze e le azioni dello spirito”.

“Il completo crollo dell’uomo di quarant’anni.
 Egli non può più aspettarsi che vengano ancora illuminazioni, rivelazioni che lo salvino, né può supporre nei maggiori di lui intimi soccorsi che gli siano ancora riserbati; 
non può avvicinare nessuno in veste di chi chiede, con fiducia di discepolo; e possibilità di salvezza egli può solo darne … Egli stesso è la suprema istanza; sta nel mondo senza più curiosità, molte situazioni non sono più possibili”

domenica 26 marzo 2017

Da "Il dottor Semmelweiss" di Louis-Ferdinand Céline



Non ha importanza la forma, è la sostanza
che conta. E questa è ricca a sufficienza, suppongo.
Essa ci mostra il pericolo di voler troppo
bene agli uomini. E una vecchia lezione
sempre nuova.
Supponiamo che oggi, allo stesso modo, venga
un altro innocente che si metta a guarire il
cancro. Manco s immagina che genere di musica
gli farebbero subito ballare! Sarebbe veramente
fenomenale! Ah! meglio che prenda
doppie misure di prudenza! Ah! meglio che sia
avvertito. Che se ne stia maledettamente bene
in guardia! Ah! sarebbe tanto di guadagnato se
si arruolasse immediatamente in una qualche Legione Straniera! Niente è gratuito in questo
basso mondo. Tutto si espia; il bene, come il
male, si paga prima o poi. Il bene è molto più
caro, per forza.
Da l'Aleph di Jorge Luis Borges: la Casa di Asterione




So che mi accusano di superbia, e forse di misantropia , o di pazzia. Tali accuse (che punirò al momento giusto) sono ridicole. È vero che non esco di casa, ma è anche vero che le porte (il cui numero è infinito) restano aperte giorno e notte agli uomini e agli animali. Entri chi vuole. Non troverà qui lussi donneschi né la splendida pompa dei palazzi, ma la quiete e la solitudine. E troverà una casa come non ce n’è altre sulla faccia della terra. (Mente chi afferma che in Egitto ce n’è una simile.) Perfino i miei calunniatori ammettono che nella casa non c’è un solo mobile. Un’altra menzogna ridicola è che io, Asterione, sia un prigioniero. Dovrò ripetere che non c’è una porta chiusa, e aggiungere che non c’è una sola serratura? D’altronde, una volta al calare del sole percorsi le strade; e se prima di notte tornai, fu per il timore che m’infondevano i volti della folla, volti scoloriti e spianati, come una mano aperta. Il sole era già tramontato, ma il pianto accorato d’un bambino e le rozze preghiere del gregge dissero che mi avevano riconosciuto. La gente pregava, fuggiva, si prosternava ; alcuni si arrampicavano sullo stilobate del tempio delle Fiaccole, altri ammucchiavano pietre. Qualcuno, credo, cercò rifugio nel mare. Non per nulla mia madre fu una regina; non posso confondermi col volgo, anche se la mia modestia lo vuole. La verità è che sono unico. Non m’interessa ciò che un uomo può trasmettere ad altri uomini; come il filosofo, penso che nulla può essere comunicato attraverso l’arte della scrittura. Le fastidiose e volgari minuzie non hanno ricetto nel mio spirito, che è atto solo al grande; non ho mai potuto ricordare la differenza che distingue una lettera dall’altra. Un’impazienza generosa non ha consentito che imparassi a leggere. A volte me ne dolgo, perché le notti e i giorni sono lunghi. Certo, non mi mancano distrazioni. Come il montone che s’avventa, corro pei corridoi di pietra fino a cadere al suolo in preda alla vertigine. Mi acquatto all’ombra di una cisterna e all’angolo d’un corridoio e giuoco a rimpiattino. Ci sono terrazze dalle quali mi lascio cadere, finché resto insanguinato. In qualunque momento posso giocare a fare l’addormentato, con gli occhi chiusi e il respiro pesante (a volte m’addormento davvero; a volte, quando riapro gli occhi, il colore del giorno è cambiato). Ma, fra tanti giuochi, preferisco quello di un altro Asterione. Immagino ch’egli venga a farmi visita e che io gli mostri la casa. Con grandi inchini, gli dico: “Adesso torniamo all’angolo di prima,” o: “Adesso sbocchiamo in un altro cortile,” o: “Lo dicevo io che ti sarebbe piaciuto il canale dell’acqua,” oppure: “Ora ti faccio vedere una cisterna che s’è riempita di sabbia,” o anche: “Vedrai come si biforca la cantina.” A volte mi sbaglio, e ci mettiamo a ridere entrambi. Ma non ho soltanto immaginato giuochi; ho anche meditato sulla casa. Tutte le parti della casa si ripetono, qualunque luogo di essa è un altro luogo. Non ci sono una cisterna, un cortile, una fontana, una stalla; sono infinite le stalle, le fontane, i cortili, le cisterne. La casa è grande come il mondo. Tuttavia, a forza di percorrere cortili con una cisterna e polverosi corridoi di pietra grigia, raggiunsi la strada e vidi il tempio delle Fiaccole e il mare. Non compresi, finché una visione notturna mi rivelò che anche i mari e i templi sono infiniti. Tutto esiste molte volte, infinite volte; soltanto due cose al mondo sembrano esistere una sola volta: in alto, l’intricato sole; in basso, Asterione. Forse fui io a creare le stelle e il sole e questa enorme casa, ma non me ne ricordo. Ogni nove anni entrano nella casa nove uomini, perché io li liberi da ogni male. Odo i loro passi o la loro voce in fondo ai corridoi di pietra e corro lietamente incontro ad essi. La cerimonia dura pochi minuti. Cadono uno dopo l’altro, senza che io mi macchi le mani di sangue. Dove sono caduti restano, e i cadaveri aiutano a distinguere un corridoio dagli altri. Ignoro chi siano, ma so che uno di essi profetizzò, sul punto di morire, che un giorno sarebbe giunto il mio redentore. Da allora la solitudine non mi duole, perché so che il mio redentore vive e un giorno sorgerà dalla polvere. Se il mio udito potesse percepire tutti i rumori del mondo, io sentirei i suoi passi. Mi portasse a un luogo con meno corridoi e meno porte! Come sarà il mio redentore? Sarà un toro o un uomo? Sarà forse un toro con volto d’uomo? O sarà come me? 

Il sole della mattina brillò sulla spada di bronzo. Non restava più traccia di sangue. “Lo crederesti, Arianna?” disse Teseo. “Il Minotauro non s’è quasi difeso.”



Da "Il tempio dell'Alba" di Yukio Mishima: il Paese delle Melegrane





Imanishi aveva denominato il suo fantastico reame "Il Paese delle Melegrane". 
Aveva scelto quel nome in virtù dei chicchi dall'intenso color rubino che esplodevano dalla polpa del frutto.
Gli capitava, diceva lui, di recarsi nel suo regno da desto, o in pieno sonno, e tutti gli chiedevano precisazioni in merito. "Cosa succede, di questi tempi, nel 'Paese delle Melegrane'?" "Come al solito, la popolazione è tenuta sotto controllo. Regna l'ordine più perfetto. Tuttavia insorgono parecchi problemi dovuti all'alta incidenza dei casi d'incesto. Capita spesso che una donna sia madre, zia, sorella e cugina dello stesso uomo. Di conseguenza, il cinquanta per cento dei bambini è di straordinaria bellezza, mentre l'altra metà è laida e afflitta dalle più orride deformità. Fin dalla prima infanzia i bambini belli e sani, dell'uno e dell'altro sesso, vengono separati da quelli brutti e malati, per essere radunati in un luogo speciale e appartato, il cosiddetto 'Giardino dei prediletti'. Vi crescono usufruendo di ogni comodità, è un vero e proprio paradiso in terra. Un sole artificiale fornisce in permanenza il giusto quantitativo di raggi ultravioletti. Nessuno indossa il minimo indumento e tutti si dedicano al nuoto o si consacrano ad altri esercizi fisici. Fiori d'ogni specie sbocciano a profusione, gli uccelli e i piccoli animali domestici non sono mai prigionieri delle gabbie. I bimbi fruiscono di cibi nutrienti e prelibati, ma non ingrassano perché vengono sottoposti a controlli medici settimanali. Pertanto si fanno sempre più belli e floridi. Per contro, la lettura è strettamente vietata: rovina la bellezza naturale, si tratta quindi di un comprensibile tabù.

"Quando poi raggiungono l'adolescenza, una volta la settimana vengono tolti dal giardino e portati in mezzo ai bambini di laido aspetto che vivono all'esterno, onde fornire a questi ultimi qualche sporadico sollazzo sessuale. Poi, trascorsi due o tre anni, vengono eliminati. Non vi sembra che porre termine all'esistenza di un individuo dotato di eccezionale bellezza quando è ancora giovanissimo è una forma ineffabile di amore fraterno?
"Allo scopo di elaborare le forme di sacrificio più svariate, viene fatto appello alla fantasia creatrice di tutti i nostri artisti. In altre parole, sorgono dappertutto appositi teatri nei quali ha luogo l'assassinio sessuale. Quivi gli esemplari scelti dei due sessi interpretano i ruoli più strani e disparati, e qui parimenti vengono torturati a morte. Essi ricreano sulla scena ogni figura storica o mitologica che nel fiore degli anni, e baciata dalla bellezza
fisica, sia stata vittima di un omicidio sadico. 
Ma naturalmente non mancano gli apporti creativi completamente inediti. Vengono nobilmente assassinati, adorni di magnifici costumi d'ispirazione sessuale, fra scenari sontuosi, incantevoli giochi di luce e deliziosi concerti. Ma in genere gli spettatori se ne dilettano prima che siano completamente morti, come se fossero giocattoli, dopo di che si provvede alla cremazione delle spoglie.
"Le tombe, dite? Sono appena al di là del recinto del 'Giardino dei prediletti'. É un luogo di rara bellezza, ove gli individui brutti o deformi usano passeggiare passando da un sepolcro all'altro. Spesso vi si aggirano anche nottetempo, al chiaror di luna, la mente perduta nei loro sogni romantici. E dal momento che a guisa di pietre tombali vengono innalzate delle statue raffiguranti dei giovani dotati di eccezionale prestanza fisica, non esiste un cimitero al mondo che dia ricetto a un numero così elevato di corpi impeccabili, stupendi."
"Ma perché ucciderli?"
"Perché ben presto si saziano dei vivi. Gli abitanti del 'Paese delle Melegrane' si avvalgono d'infinita saggezza. Essi sanno perfettamente come in questo mondo sia dato agli umani di incarnare solamente due destini: esistono coloro che ricordano e coloro di cui ci si ricorda.
"Ciò premesso, è bene ch'io vi illustri la loro religione, giacché in effetti l'usanza che vi ho descritta si fonda su un credo religioso.
"Nel 'Paese delle Melegrane' nessuno crede nella reincarnazione. Dio infatti si manifesta nell'istante supremo dell'atto sessuale e la vera natura del Divino risiede in quella sua apparizione unica ed esclusiva. Non esiste alcuna possibilità di diventare ancora più belli con una seconda nascita: pertanto la resurrezione sarebbe svuotata di qualunque significato. Insomma, sarebbe come affermare che una camicia usata e sbiadita è più bianca di una nuova di zecca. Si potrebbe pensare a un asserto più assurdo di questo?

Di conseguenza, nel 'Paese delle Melegrane' ci si serve degli dei solamente una volta, dopo di che vengono gettati.

"Si tratta di una religione di tipo politeista, ma in certo qual modo a carattere temporaneo. Innumerevoli divinità sperperano il dono della loro esistenza fisica, dissolvendosi nell'eternità non appena si sono espressi in quell'attimo ineffabile e supremo. Ormai lo avete capito: il 'Paese delle Melegrane' è una vera e propria fabbrica di dei.

"Se vogliamo che in questo mondo gli avvenimenti storici si tramutino in una serie continuata di eventi positivi, è necessario che il sacrificio degli dei si consumi all'infinito. Tale è la base della teologia che presiede alla religione del 'Paese delle Melegrane'.

Non vi sembra del tutto razionale? Senza contare che la popolazione ignora l'ipocrisia. Di conseguenza, bellezza e attrazione sessuale finiscono per essere sinonimi. Gli abitanti sanno perfettamente che soltanto il desiderio sessuale permette loro di avvicinarsi a Dio, ovverossia - in altre parole - di accostarsi alla vera bellezza.

"L'unico strumento consentito per possedere Dio è il desiderio sessuale, e il possesso sessuale si determina all'acme del piacere.

D'altro canto l'orgasmo non si protrae a lungo, onde il possesso riveste un solo significato: l'unificazione di ciò che non ha durata con l'essenza effimera di quanto è fatto oggetto dell'attrazione dei sensi. Orbene, il metodo più valido e sicuro consiste nel sopprimere l'oggetto in questione in concomitanza con l'attimo supremo. Ecco dunque perché gli abitanti di quel paese hanno chiara nozione del fatto che il possesso sessuale si realizza nell'assassinio e nel cannibalismo.

"Prodigioso è indubbiamente il fatto che questo paradosso del possesso sessuale presieda alle strutture economiche del paese. Norma fondamentale del possesso è quella di 'uccidere l'amato'.

Ciò significa, simultaneamente, che l'attuazione e la conclusione del possesso finiscono per coincidere, e che insistere a voler possedere equivale a una violazione dell'amore. Il lavoro fisico è ammesso per il perseguimento di un unico scopo: dare vita a creature di bellezza assoluta, impeccabile. Pertanto i brutti ne sono esentati. Ciò spiega d'altronde un altro fatto: la produzione industriale è interamente automatizzata, e non richiede l'impegno degli uomini. Le arti? Le sole arti praticate sono quelle che concorrono all'infinita varietà delle forme di assassinio rappresentate e consumate nei teatri, nonché all'erezione di statue in ricordo di coloro che, da vivi, erano dotati di bellezza. Dal punto di vista religioso, lo stile fondamentale deve attenersi ai moduli di un perfetto realismo sensuale. L'arte astratta è totalmente bandita, come oggetto di assoluto divieto è l'inserimento nell'arte della 'vita'.

"Si accede alla bellezza attraverso il desiderio sessuale. Spetta tuttavia al ricordo preservare quell'istante di bellezza per tutta l'eternità... Ed ora penso che possiate comprendere, quantomeno nelle linee fondamentali, la struttura di base del 'Paese delle Melegrane'.

Il concetto essenziale è il ricordo: in un certo senso si potrebbe asserire che sul ricordo si fondi la politica nazionale. "L'orgasmo, un fenomeno simile a un cristallo corporeo, si cristallizza nella memoria in un momento successivo, e una volta verificatasi la morte del dio di bellezza è lecito rievocare il grado estremo di eccitazione sessuale. La gente vive soltanto per accedere a questo livello. Raffrontata a questo gioiello paradisiaco, l'esistenza fisica dell'uomo - di chi ama o sia amato, di chi uccide o sia ucciso - altro non è che il mezzo per raggiungerlo. Tale si configura l'ideale del 'Paese delle Melegrane'.

"La memoria è la sola materia della quale si componga il nostro spirito. Se un dio si manifesta nell'attimo culminante del possesso sessuale, egli diventa 'colui del quale ci è dato ricordarci', mentre l'amante è 'colui che ricorda'. Solo in virtù di un siffatto processo di consumazione del tempo si perviene realmente a provare la presenza del dio. Solo così è dato di raggiungere per la prima volta la bellezza, mentre in concomitanza temporale il desiderio sessuale si distilla tramutandosi in un amore che dal possesso è diverso e totalmente autonomo. Avviene così che gli uomini e gli dei non siano disgiunti nello spazio, ma sussiste fra loro un intervallo che li separa nel tempo; e ciò costituisce l'essenza del politeismo temporale. Spero che abbiate capito.

"Mi rendo conto che questi assassini possono sembrar crudeli. Nondimeno s'impongono per purificare il ricordo e distillarlo nel suo elemento più fortemente concentrato. D'altra parte, questi abitanti di laido aspetto o dal corpo deforme sono animati da sentimenti di rara nobiltà. Votati all'altruismo, scopo della vita è per loro la rinuncia alla propria personalità. Questi amanti nei quali convivono associati il ricordo e l'assassinio si attengono ai loro ruoli con devota dedizione, dimentichi di loro stessi, esistono soltanto per adorare la morte in bellezza di coloro che a suo tempo hanno amato. Ricordarsi è il solo scopo che giustifichi e sorregga le loro esistenze.

"Ma il 'Paese delle Melegrane' è altresì la terra dei cipressi, dei rimpianti, delle memorie illustri. É la patria del ricordo; non vi è luogo al mondo più placido, più calmo, più sereno. Ogni qual volta avviene ch'io lo visiti, provo la sensazione di non poter rientrare in un luogo come il Giappone. É il paese della pace e dell'umanesimo più puri e sublimati, quello in cui vivono e alitano gli elementi più teneri e quintessenziati dell'umanità.
Joe Jones (1909-1963)




Nato a St. Louis, Missouri il 7 aprile del 1909 fu uno dei pittori americani che denunciò nel corso della depressione americana sia le pratiche segregazioniste sia la dura crisi che interessò la working class americana dal 1929. 



1933 American Justice Museum Purchase, Derby Fund,  

Autodidatta dopo aver abbandonato la scuola operò come imbianchino (lo stesso mestiere del padre).

Vinse i primi premi a 22 anni nel 1931 operando a St. Louis. Nel 1933, dieci patroni guidati da Elizabeth Green formarono il "Joe Jones Club" per finanziare il viaggio di Jones presso la “Provincetown art colony” nel Massachusetts[1]




St. Louis Riverfront - c. 1932

In seguito dopo essere ritornato a Saint Louis eseguì numerosi murali e si avvicinò alle idee comuniste ed ai gruppi radicali che si erano formati intorno alla rivista New Masses




Roustabouts – 1934
Jones organizzò corsi d'arte per giovani disoccupati, tenuti presso il vecchio Tribunale di St. Louis. 



We Demand – 1934

Nel 1934 si alienò i propri sostenitori locali annunciando che aveva aderito al Partito comunista. Il clima ostile di St. Louis, conseguente al suo attivismo politico determinò la necessità di spostarsi a New York dove continuò la sua carriera artistica. Nel 1935, tenne la sua prima mostra a New York, e fu acclamato dal poeta e critico Archibald Macleish. 


Thrashing, No. 1 – 1935



Mural segment depicting Arkansas lynching - c. 1935

Nel 1937, gli fu conferito il prestigioso Guggenheim Foundation Fellowship ed il suo lavoro fu incluso nella mostra tenutasi nello stesso al Carnegie Institute di Pittsburgh. Durante la seconda guerra mondiale, Jones lavorò come artista di guerra per la rivista Life. Nel dopoguerra Jones si trasferì a Morristown, New Jersey, lavorando come insegnante presso San Bernardo School for Boys, Ralston, NJ. Jones morì nel 1963, all'età di 54 per un attacco cardiaco. 



American Farm – 1936


1937 Drought Farmer


1939 Harvest Scene


1939 Men and Wheat






[1] Il Provincetown Art Association è stata fondata il 22 agosto 1914 da un gruppo di artisti e cittadini della zona. Il fine era quello di  costruire una collezione permanente di dipinti di artisti locali e di tenere mostre per attirare artisti. (http://www.iamprovincetown.com/history/paam-history.html)

giovedì 16 marzo 2017

Il mito di Arianna




Arianna a Nasso, Evelyn De Morgan, 1877, The De Morgan Foundation, Compton, UK 

da Catullo



Osserva Teseo che fugge con la veloce flotta, 

(ma lei) serbando in cuore furori indomabili, 

e nemmeno crede di vedere più quanto vede, 

lei che appena svegliata dal sonno fallace si vede abbandonata, 

infelice sulla sabbia deserta. 

Ma il giovane immemore fuggendo sospinge il mare coi remi, 

lasciando le vane promesse alla ventosa tempesta. 

Lontano tra le alghe con tristi occhietti la minoide, 

come una statua di sasso di baccante,

guarda, ahimè, guarda 

e vacilla tra le grandi onde degli affanni, 

non trattenendo sulla bionda testa la raffinata mitria, 

non proteggendo di leggero velo il petto velato, 

non legando di tornita benda le mammelle poppanti, 

tutto quanto era scivolato da tutto il corpo qua e là davanti ai suoi piedi, 

(tutto) sfioravano i flutti del mare. 





Angelika Kauffmann, 1782


Angelika Kauffmann 1774. Museum of Fine Arts, Houston








Ma noncurante più del destino della mitria né del velo volteggiante 


ella dipendeva tutta da te, Teseo, con tutto il cuore, con tutto l'animo, perdutamente. 


L'Ericina (Venere) con quanti dolori la estraniò 


seminando nel petto spinosi affanni, in quell'occasione, 


dal momento in cui Teseo uscito dai curvi lidi del Pireo


toccò i templi gortini del re senza legge. 


Tramandano infatti che un tempo che la (terra) cecropia 


costretta da crudele disgrazia pagava le colpe della strage di Androgeone 


ed era solita dare in pasto al Minotauro giovani scelti 


ed insieme il fiore delle ragazze. 


Essendo le piccole mura vessate da tali mali, 


lo stesso Teseo preferì esporre la sua vita per la cara Atene piuttosto tali esequie, 


esequie della Cecropia, fossero portate a Creta.



Ariadne on the isle of  Naxos -  Edward Reginald Frampton - 1904 - Maas Gallery - Londra



Così servendosi d'una leggera nave e di venti miti 


venne dal magnanimo Minosse ed ai palazzi superbi, 


ma nello stesso tempo lo osservò con occhio bramoso 


la regale vergine, che il casto lettuccio della madre 


spirando soavi odori nutriva inmorbido abbraccio.





Herbert James Draper, 1905



Come i fiumi d'Eurota proteggono i mirti


o l'aria primaverile cresce svariati colori,


non abbassò da lui gli occhi ardenti


prima che profondamente con tutto il corpo prendesse fuoco 


e bruciasse tutta nel profondo delle viscere. 


Ahimè, miseramente agitando i furori nel cuore impazzito, 


sacro fanciullo, che mescoli gioie agli affanni degli uomini, 


e tu che governi i Golgi e l'Idalio frondoso,


su quei flutti gettaste una fanciulla accesa nel cuore, 


sempre sospirante sull'ospite biondo! 


Quante paure soffri lei nel languido cuore! 


Quanto spesso impallidì più dello splendore dell'oro, 


quando Teseo desiderando sfidare il crudele mostro 





o affrontava la morte o i premi dell'onore!



John William Waterhouse 1898





Tuttavia promettendo invano non ingrate offertucce agli dei 


fece voti col tacito labbruccio. 


Ma come sulla sommità del Tauro un turbine invincibile 


contorcendone il vigore col soffio sradica una quercia 


che scuote le braccia o un pino portatore di coni dalla corteccia sudante, 


(ella sconvolta dalle radici cade prona lontano, 


rompendo qualunque cosa che incontra per vasto tratto,) 


così Teseo atterrò la belva, domatone il corpo, 


che invano sbatteva le corna ai vani venti. 





Teseo e il Minotauro(1826) Étienne-Jules Ramey, Giardino delle Tuileries, Parigi 


Poi salvo con grande onore rigirò il piede guidando 


sol filo sottile le orme errabonde, 


perché il vagare inestricabile non lo ingannasse 



mentre usciva dai meandri labirintici del palazzo. 




Pelagio Pelagi, Arianna dà a Teseo il filo per uscire dal labirinto, 1814.



Ma perché io dovrei ricordare, uscito dall'inizio del canto, 


come la figlia lasciando il volto del genitore, 


l'abbraccio della sorella, ed infine della madre, 


che, misera, contenta per la figlia, perduta, 


preferì a tutti questi il dolce amore di Teseo: 


o come portata da zattera fino agli spumosi lidi di Dia 


o come il coniuge partendo con cuore immemore lasciò lei vinta negli occhi dal sonno? 


Spesso, raccontano, lei impazzendo nel cuore ardente 


espresse dal profondo del petto espressioni dal forte suono, 


e poi triste scalava monti scoscesi, 


donde tendesse lo sguardo sulle vaste correnti del mare, 


e correre contro le nemiche onde del tremulo mare 


alzando i morbidi veli del ginocchio denudato, 


e mesta pronunciò queste cose con estremi lamenti, 


scuotendo con l'umida bocca freddi singulti: 


"Così dunque toltami, perfido, dagli altari paterni, 


perfido, mi lasciasti sul lido deserto, Teseo? 


Così dunque partendo, disprezzata la volontà degli dei, immemore, ah! 


Porti in patria spergiuri maledetti? 


Nessuna cosa potè piegare la volontà della mente crudele? 


Nessuna clemenza ti fu d'aiuto, che volesse compassionare il crudele petto di noi? 







Alessandro Varotari, il Padovanino, Arianna a Nasso, XVII sec.




Ma un tempo non mi desti queste promesse con blanda voce, 


non invitavi a sperar questo alla misera, 


ma piacevoli nozze, ma ottimi imenei, 


tutto questo gli aerei venti lo disperdono vano. 


Ora nessuna donna creda più ad un uomo che giura, 


Nessuna speri che i discorsi dell'uomo siano leali; 


Ad essi mentre il cuore bramoso desidera ottenere qualcosa 


non temono di giurare nulla, nulla evitano di promettere: 


ma appena la voglia del bramoso istinto fu saziata, 


per nulla curano di temere le parole, per nulla gli spergiuri. 


Certo io ti strappai quando ti trovavi al centro di una bufera morte, 


e decisi di perdere un fratello piuttosto, 


che mancare a te falso nel rischio estremo.





John Vanderlyn, Ariadne Asleep on the Island of Naxos, 1809-14, Pennsylvania Academy of the Fine Arts




Per questo mi darò da sbranare alle fiere e preda agli uccelli, 


né morta sarò coperta da terra gettatami. 


Quale leonessa mai ti generò sotto deserta rupe, 


quale mare ti sputò generato da spumanti onde, 


quale Sirti, quale Scilla avida, quale vasta Cariddi, 


tu che ridoni tali premi al posto della dolce vita? 



Mosaico della saga di Arianna e Teseo. Da Loigersfelder (Salzburg), IV secolo


Se non ti stavano a cuore le nostre nozze, 


perché odiavi i crudeli ordini dell'antico padre, 


tuttavia avresti potuto condurmi alle vostre dimore, 


che ti servissi da schiava con piacevole fatica, 


accarezzando la candidi orme con limpide acque, 


o coprendo il tuo letto di purpurea coperta. 


Ma di che mi lamento invano con l'aure ignare, 


straniata dal male, che aiutate da nessuna sensibilità 


non posson né ascoltare né rispondere parole? 


Egli però si trova quasi in mezzo alle onde, 


e nessun mortale appare tra le deserte alghe. 


Così la crudele sorte calpestando(mi) troppo 


nel momento estremo impedisce ad orecchie i nostri lamenti. 


Giove onnipotente, ah, se dal primo istante 


le poppe cecropie non avessero toccato i lidi di Cnosso, 


e portando terribili paghe all'indomito toro, 


il perfido navigante non avesse legato la fune a Creta, 


e qui il malvagio ospite, celando sotto il dolce aspetto piani crudeli, 


non avesse riposato nei nostri palazzi! 


Cecco Mariniello, Arianna a Nasso



Dove mi porterò? Distrutta, su quale speranza mi appoggio? 


Andrò sui monti idei? Ma l'acqua furiosa del mare 


con ampio gorgo, separando, (ci) divide. 


O sperare l'aiuto del padre? Io stessa lo lasciai, 


seguendo un giovane macchiato da sangue fraterno? 


O consolarmi proprio col leale amore d'un marito? 


Che però fugge incurvando i pieghevoli remi sull'onda? 


Inoltre l'isola deserta non è abitata da nessuna casa, 


non s'apre una uscita, cingendo(la) le onde del mare. 


Nessun piano di fuga, nessuna speranza: 


tutto muto, tutto è deserto, tutto dichiara morte. 


Tuttavia gli occhi non mi languiranno di morte prima, 


né i sensi si staccheranno dal corpo stanco prima, che, 


tradita, chieda agli dei una giusta pena 


e preghi la lealtà dei celesti nell'ora estrema. 



Arianna, Musei Vaticani

Perciò castigando le azioni degli uomini con pena vendicatrice, 


(voi) Eumenidi, la cui fronte cinta di capelli serpentina 


porta le ire del cuore che freme, qui qui venite, 


udite i mei lamenti, 


che io , ahi misera, sono costretta a gridare dal profondo delle viscere, 


povera, ardente, cieca di pazzo furore. 


Ma poichè essi (lamenti) nascono veri dal fondo del cuore, 


Voi non vogliate permettere che il nostro lutto svanisca, 


ma con quel sentimento ( con cui) Teseo mi lasciò sola, 


con tale sentimento, o dee, funesti se ed i suoi." 


Dopo che con mesto petto espresse queste parole, 


ansiosa esigendo una pena per i fatti crudeli il signore dei celesti 


dalla invincibile volontà annuì, al suo cenno tremarono la terra ed i terribili 





mari ed il mondo scosse le stelle lucenti. 







George Frederic Watts, 1894 




Lo stesso Teseo avvolto la mente da cieca nebbia 


dal cuore dimentico lasciò perdere tutto, 


quanto prima teneva con mente costante, 


né alzando i dolci segnali per il mesto genitore 


salvo si recò a visitare il porto Eretteo. 


Raccontano che una volta, mentre Egeo affidava ai venti 


il figlio che lasciava le mura della dea, 


abbracciatolo consegnò al giovane tali ordini: 


"Figlio unico per me più bello di una lunga vita, 


figlio, io che son costretto ad abbandonarti 


ad eventi incerti, restituite nella estrema fine tra poco alla mia vecchiaia, 


dal momento che la sorte ed il tuo fervido coraggio ti strappa a me contrario, 


i cui languidi occhi non ancora sono sazi della cara figura del figlio,


non io gioioso ti manderò con cuore festante, 


né ti permetterò di portare le insegne della buona fortuna, 


ma prima esprimerò col cuore i molti lamenti, 


sporcando la canizie di terra e di polvere versata, 


poi appenderò all'errante albero le vele grezze, 


come dirà i nostri lutti ed i fuochi della nostra mente 


la vela oscurata da ruggine iberica. 


Edward Southall (1861-1944), pittore inglese legato al movimento dei "Arts and Craft" ,"Arianna a Nasso" 1925


Che se te lo concederà l'abitatrice della sacra Itone, 


che annuì a difendere la nostra stirpe e le sedi di Eretteo, 


che tu cosparga la destra del sangue del toro,


allora farai sì che ti valgano questi ordini fatti per te in un cuore memore, 


né alcun tempo cancelli; appena gli occhi vedranno le nostre colline, 


le antenne depongano la veste funesta, le funi attorcigliate alzino candide vele, 


perché quanto prima vedendo sappia con lieto cuore le gioie, 


quando il tempo felice ti farà reduce." 


Questi ordini abbandonarono Teseo che prima li teneva 


con mente costante come le nubi cacciate dal soffio dei venti (abbandonarono) 


l'aerea cima del nevoso monte. 


Giorgio De Chirico Arianna 1913


Ma il padre, come cercava l'orizzonte dalla cima della rocca, 


consumando gli ansiosi occhi in continui pianti,


appena osservò le tele della vela grezza, 


si buttò a precipizio dall'alto degli scogli, 


credendo Teseo perduto da crudele destino.


Così il fiero Teseo entrato nei tetti della casa con la funesta morte paterna, 


quel lutto che aveva arrecato alla Minoide con cuore immemore, 


tale lui stesso lo ricevette. 


Ella mesta guardando la nave allontanarsi, 


ferita meditava in cuore molteplici affanni.









Tiziano Arianna e Bacco, 1520-23 National Gallery Londra




Ma da un'altra parte il florido Iacco volteggiava con una schiera di Satiri 


e coi nisigeni Sileni, cercando te, 


Arianna, e spinto dal tuo amore. 


esse allora veloci qua e là furoreggiavano 


con cuore impazzito gridando "Euhoe", piegando le teste "Euhoe". 


Parte di esse squassavano i tirsi dalla punta coperta, 


parte agitavano membra d'un giovenco dilaniato, 


parte si cingevano di attorcigliati serpenti, 


parte celebravano segrete orgie nei cavi cesti, 


orgie che invano desiderano sentire i profani; 


altre battevano i timpani con le lunghe palme, 


o ottenevano dal bronzo lavorato sottili tintinnii; 





a molte i corni soffiavano rochi rimbombi e barbari flauti stridevano di terribile canti.









Sir John Lavery, 1886



dalle Heroides di Ovidio


Arianna a Teseo


La donna che tu, malvagio Teseo, hai abbandonato alle belve vive ancora, e tu vorresti accettare questo fatto con indifferenza? Ho trovato ogni specie di fiera meno spietata di te: non avrei potuto essere affidata a nessuno peggio che a te! Ciò che leggi, Teseo, te lo invio proprio da quella spiaggia da dove le vele hanno portato via la tua nave, senza di me; su questo lido il sonno mi ha perfidamente ingannata e anche tu lo hai fatto, che hai insidiato il mio sonno con una azione malvagia. Era l'ora in cui la terra inizia ad essere coperta da un strato di brina, come di vetro e gli uccelli, al riparo delle fronde, emettono il loro canto lamentoso; non ancora del tutto sveglia, illanguidita dal sonno, sollevandomi appena mossi le mani per toccare Teseo: non c'era nessuno! 



Wyatt Eaton, 1888 Smithsonians Art Museum


Ritraggo le mani e riprovo una seconda volta, e muovo le braccia per tutto il letto: non c'era nessuno. La paura scacciò il sonno; in preda al terrore mi alzo ed il mio corpo si precipita fuori dal letto vuoto. Subito il mio petto risuonò, percosso dalle mani; mi strappai i capelli così com'erano, ingarbugliati dal sonno. C'era la luna; scruto se vedo qualcosa oltre alla spiaggia; ma i miei occhi non riescono a scorgere nulla oltre alla spiaggia. Corro disordinatamente ora qua e ora là, in ogni direzione. La sabbia fonda ostacola il mio passo di fanciulla. Intanto mentre gridavo per tutta la spiaggia "Teseo!", le rocce dalle loro cavità mi rimandavano indietro il tuo nome e quante volte ti chiamavo, altrettante il luogo stesso chiamava; anche il luogo voleva recare aiuto a me sventurata. C'era un monte; sulla sua cima si vedono cespugli isolati; di lì si protende uno scoglio corroso dalle onde fragorose. Vi salgo; la volontà mi dava la forza; e così misuro con lo sguardo per ampio tratto la profonda distesa del mare. Di lì - anche i venti infatti furono crudeli con me - vidi delle vele tese dal soffio impetuoso di Noto. 


John Atkinson Grimshaw 1888

O le vidi o erano tali che credetti di averle viste; rimasi più gelida del ghiaccio e semisvenuta. Ma il dolore non mi permette di rimanere a lungo inerte, mi ridesta, mi ridesta e chiamo Teseo ad altissima voce "Dove scappi?", grido. "Torna indietro, Teseo scellerato! Volgi la nave! Non è al completo!". Così gridavo. Quanto mancava alla voce, lo compensavo col rumore dei colpi al petto; e i colpi si mescolavano alle mie parole. Agitando le mani feci ampi segni perché, se tu non potevi udirmi, mi potessi almeno vedere; applicai poi ad un lungo bastone un candido velo, per richiamare l'attenzione di chi certamente si era dimenticato di me. Ma ormai ti eri sottratto alla mia vista. Allora finalmente piansi: prima le mie morbide guance erano irrigidite per il dolore. Che cosa avrebbero dovuto fare i miei occhi se non piangere sulla mia sorte, dopo aver perso di vista le tue vele? Vagai solitaria con i capelli sciolti come una baccante invasata dal dio ogigio, oppure sedetti come di ghiaccio su di una roccia, guardando fisso il mare e, seduta sulla pietra, anch'io rimasi impietrita. Spesso ritorno al letto che ci aveva accolti entrambi e che non ci avrebbe più offerto accoglienza e tocco - è quello che posso, ora che tu mi manchi - le tue impronte e le coperte che avevano ricevuto il calore del tuo corpo. Piombo sul letto inzuppato dalle lacrime versate e grido: "In due ti abbiamo occupato, facci tornare due! Siamo giunti qui in due, perché non siamo in due ad andarcene? Letto traditore, dov'è la parte più importante di noi due?". 





Pittore di Arianna. Particolare dello stamno con la scena di Teseo che abbandona Arianna (Museum of Fine Arts, Boston)


Cosa fare? Dove andare da sola? L'isola è selvaggia, non vedo segni dell'attività di uomini, né del lavoro di buoi. Il mare circonda la terra da ogni lato; da nessuna parte un marinaio, nessuna nave prossima a passare per queste rotte insidiose. Mettiamo che mi vengano dati compagni e venti e una nave: perché dovrei seguirli? La terra di mio padre mi nega l'accesso. E se io avessi la fortuna di solcare su di una nave il mare tranquillo ed Eolo moderasse i venti, resterò sempre un'esule. Non riuscirò più a vederti, o Creta, costellata da cento città, terra conosciuta da Giove bambino. Mio padre, infatti, e la terra governata con giustizia da mio padre, nomi a me cari sono stati traditi dal mio gesto, quando ti diedi il filo che guidasse i tuoi passi, perché tu, vincitore, non trovassi la morte nel tortuoso palazzo. 


Jean-Baptiste Regnault (1754-1829), Museo delle Belle Arti di Rouen


Allora mi dicevi: "Giuro su questi stessi pericoli, che sarai mia finché entrambi vivremo". Viviamo, e non sono tua, Teseo, se solo è viva una donna, sepolta dall'inganno di un traditore. 



Nicolò Bambini (1651-1736)

Avresti dovuto uccidere anche me, malvagio, con la clava con la quale uccidesti mio fratello! La promessa che mi avevi fatto sarebbe stata sciolta dalla mia morte. Ora io mi raffiguro non soltanto ciò che dovrò soffrire, ma tutto quello che può soffrire una donna abbandonata. Mi si affollano alla mente mille immagini di morte, e la morte è pena minore dell'attesa della morte. Immagino che fra poco arriveranno di qua o di là i lupi a straziarmi le viscere con denti voraci. Questa terra nutre forse anche fulvi leoni? Chi sa mai che quest'isola ... anche tigri feroci? E si dice che il mare getti sulla riva enormi foche. Chi può impedire alle spade di trafiggermi il fianco? Soltanto non mi accada di essere legata come prigioniera da una dura catena e di dover filare con mano di schiava grandi quantità di lana; io ho Minosse come padre, come madre la figlia di Febo e, cosa che ricordo più di tutto, fui legata a te da una promessa. Se guardo il mare, la terra, e la distesa della spiaggia, molti pericoli minaccia la terra, molti il mare. Mi restava il cielo; temo le apparizioni degli dèi; mi sento abbandonata come preda e cibo per le belve voraci. Se degli uomini abitano qui e coltivano la terra, non mi fido di loro; ho imparato sulla mia pelle a temere gli uomini stranieri. Oh se Androgeo fosse ancora in vita, e tu, terra di Cecrope, non avessi espiato le tue azioni scellerate con la morte dei tuoi figli; la tua mano, Teseo, levatasi in alto non avesse ucciso con la clava nodosa l'essere in parte uomo ed in parte toro; e io non ti avessi consegnato il filo che ti indicasse la via del ritorno, quel filo via via raccolto dalle tue mani, che lo tiravano a sé! Non mi meraviglio proprio se la vittoria sta dalla tua parte ed il mostro, abbattuto, coprì la terra di Creta. Un cuore di ferro non poteva essere trafitto dalle sue corna; anche se non ti riparavi, il tuo petto era al sicuro. Tu lì portavi la selce, lì portavi l'acciaio, lì hai Teseo, che vince in durezza le selci. Sonno crudele, perché mi hai tenuta nell'incoscienza? Ma, una volta per tutte, doveva calare su di me il sonno eterno. Anche voi venti crudeli e troppo accondiscendenti e voi soffi pronti a farmi piangere; mano spietata che hai ucciso me e mio fratello e fedeltà, parola vuota, promessa a colei che la chiedeva; il sonno, il vento e la fedeltà congiurarono contro di me: tre cause hanno tradito una sola fanciulla. Così, in punto di morte, non vedrò le lacrime di mia madre né ci sarà chi chiuda con le dita i miei occhi, la mia anima infelice se ne andrà nell'aria verso un mondo sconosciuto e nessuna mano amica cospargerà di unguenti le mie membra esanimi. Gli uccelli marini si poseranno sulle mie ossa insepolte: questa è la sepoltura degna dei miei meriti. Entrerai nel porto di Cecrope, e quando, accolto dalla patria, sarai là in alto onorato dal tuo popolo e racconterai compiutamente l'uccisione del toro-uomo, del palazzo di pietra, attraversato da corridoi insidiosi, racconta anche di me, abbandonata in una terra deserta: io non devo essere sottratta ai tuoi titoli di gloria! Tuo padre non è Egeo, e tu non sei nato da Etra, figlia di Pitteo; ti hanno generato rocce e flutti. Oh, se gli dèi avessero consentito che tu mi scorgessi dall'alto della nave, il mio aspetto dolente ti avrebbe commosso. Guardami bene anche ora, non con gli occhi, ma con l'immaginazione, con cui puoi, mentre me ne sto attaccata ad uno scoglio, battuto dal moto delle onde; guarda i capelli sciolti, segno di dolore, e la tunica appesantita dalle lacrime, come da pioggia! Il mio corpo trema, come le spighe battute dai venti del nord, ed i caratteri, tracciati dalla mia mano tremante, sono incerti. Io non ti supplico in nome dei miei benefici, perché hanno ottenuto un cattivo risultato; nessuna gratitudine mi sia dovuta per il mio operato, ma neppure una punizione. Se non sono io la causa della tua salvezza, non c'è tuttavia ragione perché tu sia per me causa di morte. Queste mani stanche di percuotere il mio petto colmo di mestizia, io, infelice, protendo verso di te al di là del vasto mare; ti mostro, affranta, questi capelli che mi sono rimasti; ti prego, per queste mie lacrime dovute alle tue azioni: volgi la tua nave, Teseo, e torna indietro al mutare del vento; se io sarò morta prima, tu, almeno, raccoglierai le mie ossa.









Arianna abbandonata in Nasso 1510-1515 (Museo di Avignone) 

Da l'Odissea Canto XI vv. 420-425 

"Fedra comparve ancor, Procri, ed Arianna
Che l’amante Teséo rapì da Creta,
E al suol fecondo della sacra Atene
Condur volea. Vane speranze! In Nasso,
Cui cinge un vasto mar, fu da Diana,
Per l’indizio di Bacco, aggiunta, e morta".


Maestro dei Cassoni Campana





Ariadne auf Naxos - 1913 - Lovis Corinth

Da Esiodo, Teogonia



Dioniso, l'iddio Chiomadoro, la bionda Arianna,

la figlia di Minosse prescelse sua florida sposa:

lei da vecchiaia immune poi rese e da morte il Cronide






Maurice Denis - 1907 -
State Museum of New Western Art, Moscow


Dalla Biblioteca di Pseudo Apollodoro:

Libro terzo

…Minosse restò a Creta, dettò le leggi per iscritto, e sposò Pasifae, la figlia diElios e di Perseide. Asclepiade invece sostiene che sua sposa fu Crete, figlia di Asterio. E gli nacquero quattro figli maschi - Catreo, Deucalione, Glauco e Androgeo - e quattro femmine - Acalle, Senodice, Arianna e Fedra. Dalla Ninfa Paria gli nacquero Eurimedonte, Nefalione, Crise e Filolao; da Dessitea, infine, ebbe il figlio Eussantio. Frattanto Asterio era morto senza lasciare discendenti; Minosse si propose come re, ma il trono gli veniva negato. Egli sosteneva che gli Dèi stessi gli avevano affidato il regno, e per provarlo dichiarò che avrebbe avuto da loro tutto ciò di cui li avesse pregati. Così, fece un rito sacro a Poseidone, e pregò che dalle onde del mare apparisse un toro, promettendo che l'avrebbe subito offerto in sacrificio. Ed ecco che Poseidone gli invia un bellissimo toro: Minosse ebbe il regno, ma tenne quel toro fra le sue mandrie, sacrificandone un altro. Ottenuto il dominio sul mare, Minosse si impadronì ben presto di quasi tutte le isole. Poseidone, infuriato perché Minosse non gli aveva sacrificato il toro, lo rese selvaggio, e fece in modo che Pasifae si accendesse di desiderio per questo toro. La donna dunque, innamorata del toro, trovò un alleato in Dedalo, l'architetto, che era stato bandito da Atene per un omicidio. Egli costruì una vacca di legno montata su ruote, con l'interno cavo e ricoperta da una pelle bovina; la collocò nel prato dove il toro era solito pascolare, e Pasifae vi entrò dentro. Quando il toro le si avvicinò, la montò, come fosse una mucca vera. Così la donna partorì Asterio, chiamato Minotauro: e aveva la testa di un toro e il corpo di un uomo. Minosse, seguendo l'indicazione di alcuni oracoli, lo tenne chiuso nel labirinto, una costruzione progettata da Dedalo, che con i suoi meandri aggrovigliati impediva di trovare l'uscita. Del Minotauro, di Androgeo, di Fedra e di Arianna parleremo in seguito, quando racconteremo la storia di Teseo. …..

…. Egeo ritornò ad Atene e celebrò i giochi delle feste Panatenaiche: Androgeo, il figlio di Minosse, risultò sempre vincitore su tutti i partecipanti. Egeo allora lo mandò a catturare il toro di Maratona, ma il giovane restò ucciso. C'è però chi racconta che Androgeo si recò a Tebe per prendere parte ai giochi in onore di Laio, e i suoi avversari, per invidia, gli tesero un agguato e lo uccisero. Quando gli fu portata la notizia della morte del figlio, Minosse stava compiendo un sacrificio in onore delle Cariti, a Paro; si strappò la ghirlanda dalla testa, cacciò i suonatori di flauto, e terminò comunque il sacrificio: per questo anche adesso a Paro il sacrificio alle Cariti viene celebrato senza flauti e senza fiori. Quando, poco più tardi, Minosse ebbe il controllo del mare, con una flotta fece guerra ad Atene; e prese la città di Megara, che era governata da Niso, figlio di Pandione: e uccise Megareo, figlio di Ippomene, che era venuto da Onchesto in aiuto di Niso. Anche Niso morì, per il tradimento di sua figlia. In mezzo alla testa, Niso aveva una ciocca purpurea, e un oracolo aveva rivelato che, se gli fosse stata tagliata, il re sarebbe morto. Sua figlia Scilla si innamorò di Minosse e tagliò la ciocca a suo padre. Ma quando Minosse si fu impadronito della città, legò per i piedi la fanciulla alla prua della nave e la affogò. La guerra ormai si protraeva, e Minosse non riusciva a prendere Atene. Allora pregò Zeus di dargli vendetta sugli Ateniesi. E la città fu devastata dalla carestia e da una pestilenza. Per prima cosa gli Ateniesi, in ossequio a un antico oracolo, sgozzarono sulla tomba del ciclope Geresto le figlie di Giacinto Anteide, Egleide, Litea e Ortea (il padre, Giacinto, era venuto da Sparta, e si era stabilito in Atene). Ma non servì a niente; allora chiesero un altro oracolo per sapere come liberarsi dalla calamità. E il Dio rispose che dovevano pagare il loro debito a Minosse, nella forma che questi avesse imposto. Allora inviarono dei messaggeri a Minosse per chiedergli cosa volesse per ritenersi vendicato. E il re ordinò di mandare sette fanciulli e sette fanciulle, senza armi, in pasto al Minotauro. Il Minotauro era rinchiuso in un labirinto, dove, per chiunque entrasse, era poi impossibile uscire: tanti erano gli intricati meandri che chiudevano la via d'uscita, rendendola introvabile. L'aveva progettato Dedalo, figlio di Eupalamo (a sua volta figlio di Metione) e Alcippe. Dedalo era un grandissimo architetto, e fu lui il primo a inventare l'arte figurata. Era stato bandito da Atene per aver buttato giù dall'acropoli Talo, il figlio di sua sorella Perdice. Talo era suo allievo, ma Dedalo temeva che il suo innato talento superasse quello del maestro: il ragazzo, infatti, un giorno aveva trovato una mascella di serpente, e aveva capito che con quella si poteva tagliare il legno, inventando così la sega. Il cadavere di Talo fu scoperto; Dedalo fu processato nell'Areopago, venne condannato e fuggi alla corte di Minosse. Qui, frattanto, Pasifae si era innamorata del toro di Poseidone; Dedalo le offrì complicità e costruì la vacca di legno. Poi progettò il labirinto, proprio quello dove gli Ateniesi ogni anno dovevano inviare sette fanciulli e sette fanciulle in pasto al Minotauro.

Etra partorì il figlio di Egeo, Teseo. E quando fu cresciuto, il ragazzo spostò la pietra e prese la spada e i sandali, poi partì a piedi per Atene. E lungo il cammino liberò la strada dai malfattori che ne avevano il controllo. Per primo uccise Perifete, a Epidauro. Questi, figlio di Efesto e Anticlea, era chiamato Corunete, per via della mazza (korune) di ferro che portava sempre con sé, essendo zoppo, e con la quale uccideva i passanti. Teseo gliela sottrasse, e la usò sempre. Per secondo uccise Sini, figlio di Polipemone e Silea, la figlia di Corinto. Sini era chiamato Pitiocante - " quello che curva i pini " - per una ragione ben precisa. Dalla sua postazione sull'istmo di Corinto, Sini costringeva i viandanti a piegare i pini e a tenerli fermi: ma questi non ne avevano la forza, e il pino, nel raddrizzarsi, li lanciava lontano, facendoli morire di una morte spaventosa. Ma Teseo fece subire a Sini la stessa sorte.

Dall’epitome

…Teseo fu poi estratto a sorte fra i giovani che dovevano far parte del tributo a Minosse (era quella la terza volta): ma qualcuno dice che fu lui a offrirsi spontaneamente. La nave montava vele nere, ed Egeo raccomandò a suo figlio di issare vele bianche nel caso fosse tornato sano e salvo. Quando Teseo giunse a Creta, Arianna, figlia di Minosse, si innamorò di lui, e gli promise che lo avrebbe aiutato, dietro promessa di essere portata ad Atene come sua sposa. Teseo lo giurò, e Arianna costrinse Dedalo a rivelarle l'uscita del labirinto. Ancora per suggerimento di Dedalo, diede a Teseo un filo grazie al quale sarebbe potuto uscire: Teseo lo legò alla porta e, tirandoselo dietro, entrò. Scovato il Minotauro proprio nella parte più interna del labirinto, lo uccise a pugni, poi, riavvolgendo il filo, tornò indietro e uscì. Nella notte arrivò a Nasso, insieme ad Arianna e ai ragazzi salvati. Ma qui Dioniso fu preso d'amore per Arianna e la rapì; la portò a Lemno e si unì a lei. Da loro nacquero Toante, Stafilo, Enopione e Pepareto. Addolorato per la sorte di Arianna, Teseo ripartì, ma si dimenticò di issare le vele bianche. Egeo, dall'alto dell'acropoli, vide da lontano fiottare sulla nave le vele nere e pensò che suo figlio fosse morto: allora si gettò giù e morì…..



Sebastiano Ricci - 1713/1715 - Royal Academy of Arts


Da "I Fasti" di Ovidio Libro Terzo

8 Marzo Ancilia moventur 



Di seguito, al calare della notte vedrai la Corona di Arianna: fu fatta dea per colpa di Teseo, l’ingrato al quale aveva dato il filo da svolgere. Lei aveva subito rimediato, scambiando lo sposo spergiuro con Bacco e, felice dell’amore che le era toccato, diceva: “Perché piango, sciocca? il traditore mi ha fatto un regalo.” Intanto, vinti gli indiani dai lunghi capelli, carico di ricchezze, tornava dall’Oriente Libero: tra le fanciulle prigioniere gli piaceva, anche troppo, la figlia del re, di una bellezza fuori dal comune. Piangeva la sposa innamorata e, capelli al vento, andando su e giù lungo la riva della baia, pronunziava queste parole: “Mare, ascolta ancora una volta i soliti lamenti! sabbia, accogli ancora una volta le mie lacrime! Mi ricordo che andavo dicendo: ‘Teseo, bugiardo e traditore.’, e quello se ne è andato; Bacco mi fa lo stesso torto, e anche ora andrò gridando: ‘Nessuna donna si fidi più di un uomo!’ Il nome è diverso, ma la storia è la stessa. Se almeno il mio destino si fosse concluso la prima volta, a quest’ora, ormai, non sarei più nulla! Perché mi hai salvato, Libero, se dovevo morire su una spiaggia deserta? Avrei potuto soffrire tutto in una volta. Bacco volubile, più volubile delle foglie che ti cingono le tempie, Bacco, che ho conosciuto soltanto per piangere, tu hai osato mettere alla prova un amore così ben riuscito e portarmi sotto gli occhi un’amante? dove è la fedeltà che mi hai promesso? dove i tanti giuramenti? povera me, quante volte ripeterò queste parole? Tu davi la colpa a Teseo, lo accusavi di essere un bugiardo ma, proprio con il tuo metro, la colpa tua è anche peggiore. Però, che nessuno sappia niente di questo, che il mio dolore bruci in silenzio, che non si pensi che io merito di essere ingannata così tante volte! In particolare vorrei che fosse tenuto nascosto a Teseo, perché non provi la felicità di averti complice nei suoi misfatti. Mi sembra di capire: un’amante dalla pelle chiara è meglio di me che sono scura, e magari fossero del suo colore le mie nemiche! D’altra parte, che importa? con i suoi difetti, lei ti piace ancora di più. Cosa stai facendo? la abbracci! e ti sporchi! Mantieni la parola, Bacco, non preferire altri amori a quello di tua moglie; io sono abituata ad amare il mio uomo per sempre. Le corna di un toro possente attirarono mia madre Pasifae, le tue attirarono me; a me fanno i complimenti, lei si deve vergognare. Non soffro per il fatto di amare e tu non hai sofferto, Bacco, dichiarandomi il tuo amore ardente. Non puoi meravigliarti, se questo amore mi brucia: tra le fiamme tu sei nato – si dice – e dalle fiamme ti strappò la mano di tuo padre. Io sono quella alla quale tu promettevi sempre il cielo; e adesso, al posto del cielo, che bei regali mi fai!” Aveva finito, ma Libero che, per caso, da un po’ le era alle spalle, stava ascoltando i suoi lamenti; la prende tra le braccia, con i baci le asciuga le lacrime e dice: “Andiamo insieme verso l’alto dei cieli. Sei stata unita a me nell’amore e sarai unita a me nel nome, nella tua nuova veste ti chiamerai Libera. Farò in modo che ti resti vicino un ricordo della corona che Vulcano regalò a Venere e Venere a te.” Detto fatto, trasforma le nove gemme in stelle, e ora la Corona d’oro brilla con le sue nove luci.




Willem Strijcker (1657) Teseo e Arianna Royal Palace Amsterdam




Da Le Vite Parallele - Teseo e Romolo di Plutarco 



la Morte di Arianna

Egli narra che Teseo spinto da una tempesta sulle coste di Cipro mentre aveva con se Arianna, la fece scendere a terra da sola e mentre egli tentava di riparare i guasti della nave, fu spinto nuovamente lontano da terra in alto mare.

Le donne del paese accolsero Arianna e standole intorno la confortavano mentre lei era in preda allo scoraggiamento per essere rimasta da sola.

E le portarono delle lettere contraffatte fingendole che le avesse scritte Teseo. L'assistettero durante il travaglio del parto e l'aiutarono, ma prima di partorire Lei morì e la seppellirono.

Tornato Teseo ne rimase profondamente addolorato e diede del denaro agli abitanti dando loro disposizione di sacrificare in onore di Arianna, e innalzò a lei due piccole statue, una d'argento, ed una di bronzo.





Jean Baptiste Greuze Arianna (1725-1805) The Wallace Collection Londra


Jean Baptiste Greuze Arianna 2 (1725-1805) San Paolo Brasile



Tiepolo - 1745 Bacco e Arianna




Teseo sul Minotauro, Canova, 1781-1783, Victoria and Albert Museum, Londra




Da "Le nozze di Cadmo e Armonia" di Roberto Calasso

«Poiché a Creta usa che anche le donne assistano ai giochi, Arianna, presente, rimase attonita dinanzi all'apparizione di Teseo e ammirò la sua bravura, quando uno dopo l'altro superò tutti gli avversari». Mentre Arianna fissa lo sguardo sullo Straniero, Creta finisce. Prima di essere tradita, Arianna ha voluto tradire la sua isola. Dioniso la corteggia, poi l'accusa, poi la uccide, poi la ritrova, poi la muta nella corona del cielo settentrionale: Corona borealis.

Ma questo è un Dioniso già diverso da quello che l'infanzia di Arianna aveva conosciuto. Non si chiamava neppure Dioniso, allora.  Era il Toro: il Toro totale, che cala dal cielo come Zeus, emerge dalle acque come Poseidone, pascola sotto i platani di Gortina. Avvolgeva tutto, era nel miele e nel sangue delle offerte, era nelle corna agili che delimitavano gli altari, nei bucrani dipinti lungo le pareti del palazzo. Ragazzi con bracciali, perizoma e capelli ondulati lo afferravano per le corna in corsa. Da sempre, il Toro seguiva Arianna, l'accompagnava, la guatava.

Ora il Toro si allontana e si avvicina l'eroe ateniese. Sembrano nemici, ma si avvicendano con scioltezza. La scena è già preparata. Non più storie mostruose, ma storie sordide aspettano Arianna. Non più il palazzo infantile e regale, ma i portici e la piazza, dove uomini astuti e duri scelgono la prima occasione per colpirsi alle spalle, dove la parola, che nell'isola serviva a fare i conti delle scorte nei magazzini, diventa sovrana, vibrante e
riverita. Arianna non avrebbe visto tutto questo: si fermò a metà del cammino, su un'altra isola, aspra e rocciosa. Si addormentò perché sparissero quel dio e quell'uomo che per loro natura devono soltanto apparire e scomparire….

Teseo abbandona Arianna non per una qualche ragione, o per un'altra donna, ma perché Arianna esce dalla sua memoria, in un momento che è tutti i momenti. Quando Teseo si distrae, qualcuno è perduto. Arianna ha aiutato lo Straniero a uccidere il fratellastro  dalla testa di toro, ha abbandonato la reggia dei suoi, è pronta a lavare i piedi di Teseo ad Atene, come una serva. Ma Teseo non si ricorda, pensa già ad altro. E il luogo dove Arianna rimane diventa, una volta per sempre, il paesaggio dell'amore abbandonato. Teseo non è crudele perché abbandona Arianna. La sua crudeltà si confonderebbe allora con quella di tanti. Teseo è crudele perché abbandona Arianna nell'isola di Nasso. Non più la casa dove si è nati, non certo la casa dove si sperava di essere accolti, e neppure un paese intermedio. E' una spiaggia, battuta da onde fragorose, un luogo astratto dove si muovono soltanto le alghe. E' l'isola che nessuno abita, il luogo dell'ossessione circolare, da cui non vi è uscita.

Tutto ostenta la morte. Questo è un luogo dell'anima. Dal corpo di Arianna abbandonata cadono le vesti a una a una. Ed è una scena di lutto. Fissa come una statua di Baccante, appena risvegliata, la figlia di Minosse guarda in lontananza verso l'eterno assente, là dove è già scomparsa la veloce nave di Teseo, e la sua mente oscilla fra alti flutti. Cade dai capelli biondi il nastro leggero che li tratteneva, il petto viene lasciato scoperto dal mantello, i seni bianchi non sono più sorretti dalla fascia. Una dopo l'altra si ritrovano sparse ai suoi piedi le vesti con cui era partita per sempre. Le onde ci giocano fra le alghe e la sabbia.

Mentre Arianna fissava, nuda, la vuota lontananza, e pensava che avrebbe voluto essere ad Atene, sposa di Teseo, e preparargli il letto dove neppure sarebbe entrata, e accudire un'altra che invece in quel letto sarebbe entrata, e offrire a Teseo una bacinella d'acqua dove lavarsi le mani dopo il banchetto, mentre Arianna enumerava nella mente tutte le più minute dimostrazioni di servitù che avrebbe voluto offrire all'amante svanito, un pensiero nuovo la sfiorò: forse un'altra donna aveva avuto sentimenti simili ai suoi, la sua dedizione e abiezione non erano uniche, come all'inizio le era
piaciuto dirsi. E chi era quest'altra? La regina, l'onnisplendente, la svergognata, sua madre, Pasifae. In fondo anche lei, rinchiusa dentro una giovenca di legno con le ruote, goffo e ingombrante giocattolo colorato, aveva accettato di fare da serva a un qualsiasi mandriano. Aveva chinato il collo perché lo aggiogassero, aveva balbettato parole d'amore a un ottuso toro che brucava l'erba. Nascosta nel buio soffocante e nell'odore del legno, la disturbava lo zufolo del mandriano perché un solo suono aspirava a udire: quello del toro bianco mugghiante.

Poi venne ad Arianna un altro pensiero, conseguenza del primo: se
lei, Arianna, non faceva che ripetere la passione della madre Pasifae, se lei era Pasifae, allora Teseo era il toro. Ma Teseo aveva ucciso il toro suo fratello, e proprio con l'aiuto di lei, Arianna. Aveva allora aiutato Teseo a uccidersi? O le uniche uccise, in questa storia, erano sempre loro, Pasifae impiccata e Arianna stessa, che si apprestava a impiccarsi, e sua sorella Fedra, che un giorno si sarebbe impiccata? I tori, invece, e i loro uccisori, sembrano darsi perennemente il cambio, quasi che per loro uccidere ed essere uccisi fosse un'alternanza come spogliarsi e rivestirsi. Il toro non conosceva la morte perpendicolare e ultima, sottratta alla terra, dell'impiccata.

Quando la prua di smalto blu della nave ateniese giunse a Creta,
quando Teseo fermò il sovrano Minosse che metteva le mani, come
sempre, su una delle fanciulle ateniesi, quando Teseo
vinse nei giochi l'odioso e imponente generale Toro, che usava sbaragliare tutti, Arianna cominciò a pensare che forse quello straniero irrispettoso sarebbe stato capace di spezzare il cerchio taurino che imprigionava la sua famiglia. Allora tradì il toro divino, che l'aveva abbagliata in una grotta, tradì il fratello toro, tradì la madre pazza del toro, tradì il padre che aveva evitato di sacrificare il toro bianco apparso dal mare e lo aveva messo a pascolare, perché era troppo bello per essere ucciso. Alla fine di
questi tradimenti, si ritrovò su una spiaggia deserta, abbandonata da Teseo. Ma al toro non era riuscita a sfuggire.

Quando Dioniso apparve, falso e seducente, troppo puntuale e troppo gioioso, Arianna sentì che in qualche modo Dioniso e Teseo non erano rivali, ma complici. Nel clamore dei flauti e dei tamburelli, Dioniso soffocò quei pensieri. Arianna fu abbagliata dalla gloria divina che Dioniso le offriva. E dedicò un invisibile ghigno a Teseo, che quella gloria aveva suscitato proprio con la sua perfidia. Percepiva l'astuzia della storia: se Teseo non fosse stato spergiuro (ma aveva giurato per Atena, ricordò con una fitta, e Atena spregia le nozze), Dioniso non l'avrebbe innalzata a sé. Inutile piangere come una ragazza di campagna, quando si ha accanto un dio. Ma Dioniso non sta accanto a nessuno. Un dio non è mai presenza costante. E Dioniso già ripartiva con il suo corteo clamoroso, verso l'India. Arianna era di nuovo sola.

Quando il dio riapparve, carico di tesori e di schiavi, Arianna osservò il trionfo e colse lo sguardo amoroso che Dioniso gettava a una giovane indiana, figlia di re, confusa fra le sue prede
orientali. Un giorno, Arianna si trovò di nuovo a piangere su una
spiaggia, con i capelli sciolti al vento. Nella sua leggerezza
soverchiante, Dioniso l'aveva salvata dalla colpa di un uomo per
ripetere poco dopo la stessa colpa, quindi aggravandola,
esaltandola. Quella concubina indiana contaminava il loro letto.

Arianna piangeva e subiva un pensiero martellante: che Teseo mai lo sappia! Ma quale ingenuità... Non era ormai chiaro che Dioniso e Teseo erano falsi nemici? In quelle due opposte figure si ripeteva
uno stesso uomo che continuava a tradirla, mentre lei continuava a
lasciarsi abbandonare. «Mi sono abituata ad amare per sempre un
uomo». Quella capacità di amare per sempre era una condanna, le
impediva ogni speranza di sfuggire al suo cerchio, alla sua corona  fulgente.

La storia di Arianna è intrecciata tutta in una corona. «Arriva
mon cousin» pensò la giovane principessa di Cnosso quando le dissero che Dioniso era sbarcato nell'isola. Non aveva ancora mai visto quel suo parente - bellissimo, dicevano -, che era nato dal rogo della madre. Dioniso, quando le apparve, non volle fermarsi nel palazzo. La strinse al polso e la condusse in una delle tante grotte di Creta. E lì il buio era stato ferito da una corona abbagliante. Oro come fuoco e gemme indiane. Dioniso offrì la corona ad Arianna in dono per quelle loro prime nozze. La corona, segno di ciò che è perfetto, «araldo del silenzio propizio», era stata una seduzione avvolgente. Ma «sedurre» vuol dire «distruggere», secondo la lingua greca: phtheìrein. La corona è la perfezione dell'inganno, è l'inganno che si richiude su se stesso, è quella perfezione che include in sé l'inganno.

Quando Arianna fissò lo sguardo sulla bellezza di Teseo, non era
già più una fanciulla che gioca con le sorelle nel palazzo di Cnosso. Era sposa di un dio, anche se nessuno sapeva delle nozze. Unico testimone era stata quella corona lucente. Ma anche Teseo emerse dal palazzo sottomarino del padre Poseidone tenendo  in mano una corona fatta di piccoli fiori di melo stillanti, che irraggiavano luce. La donò ad Arianna, come Dioniso le aveva donato la sua corona. E al tempo stesso era stata Arianna a donare la corona di Dioniso a Teseo. Da una parte Teseo ripeteva un gesto del dio, dall'altra Arianna tradiva il dio perché lo Straniero potesse
uccidere il Minotauro, che al dio toro apparteneva. Teseo si inoltrò
nei corridoi oscuri del labirinto guidato dalla luce della corona
fulgente. Sotto quella luce scintillò la sua spada prima di immergersi nel corpo del giovane dalla testa di toro. Dunque Arianna esaltava l'inganno: tradiva lo sposo divino e inoltre offriva il suo dono nuziale all'uomo che stava prendendo il suo posto.

Ma l'inganno non era già all'origine, già nel dono del dio? Arianna
è ingannata nel momento in cui inganna: crede che Teseo sia  opposto al dio, vede in lui l'uomo che la porterà ad Atene, sua sposa, fuori dal cerchio del toro. A Nasso, quando riapparve, Dioniso brandiva una corona raggiante. Arianna la guardava e pensava alle altre corone che erano state per lei l'origine di tutti gli inganni. Ora sapeva che quella corona era sempre stata la stessa. Ora la storia era davvero finita, e prigioniera di quella corona raggiante Arianna sarebbe rimasta solitaria nel cielo: Corona borealis. Nelle storie cretesi, all'inizio c'è un toro, alla fine c'è un
toro. All'inizio Minosse evoca dalle acque il toro bianco di
Poseidone, promettendo di sacrificarlo al dio, se apparirà. Il toro appare e Minosse non tiene la sua promessa. Quel toro è troppo bello, non vuole ucciderlo, lo vuole come sua proprietà. Sarà quello il toro per il quale svilupperà una passione funesta la moglie di Minosse, Pasifae. Alla fine, Teseo cattura il toro di Maratona, che è ancora una volta il toro cretese emerso dal mare. Dopo gli amori con Pasifae, il toro era diventato selvaggio, e Minosse aveva chiamato Eracle per catturarlo. L'eroe lo aveva preso e portato sul continente. Per lungo tempo, il toro aveva vagato nel Peloponneso, prima di giungere in  Attica. E lì nessuno era riuscito a vincerlo, neppure Androgeo, figlio di Minosse, che pure vinceva tutti gli Ateniesi nei giochi. Lo vince Teseo, a Maratona. E lo offre a suo padre Egeo, che lo sacrifica ad Apollo. Tutto ciò che sta fra quell'inizio e quella fine, il destino di Arianna, è compreso nella dislocazione di un sacrificio: da Poseidone ad Apollo, da Creta ad Atene. Questo passaggio è costellato di vittime. Le mute vittime del sacrificio appartengono al rito. Ma il mito rivendica a sé le altre vittime, quelle che cadono attorno al luogo del sacrificio, limatura di ferro nel campo magnetico. Dal sacrificio, insieme al sangue, sgorgano le storie. Così affiorano i personaggi della tragedia. Nelle storie cretesi, sono Pasifae, il Minotauro, Arianna, Fedra, Minosse, Ippolito, Egeo stesso. Teseo dimentica di ammainare le vele nere, al ritorno da Creta, ed Egeo si uccide gettandosi dall'acropoli. Era un'ultima chiosa alla dislocazione sacrificale.

«Alcuni abitanti di Nasso, infine, danno una loro versione particolare dei fatti, secondo cui sarebbero esistiti due Minossi e due Arianne, una sposa a Dioniso in Nasso e madre di Stafilo e suo fratello; l'altra, successiva, rapita e abbandonata da Teseo, e venuta a Nasso con una nutrice di nome Corcina, della quale mostrano ancora la tomba. A questa Arianna, morta anch'essa sull'isola, non furono tributati onori pari alla prima: le feste dell'una si svolgono infatti fra giochi e   piaceri, mentre per l'altra non si fanno che sacrifici mescolati di lutto e tristezza».

Il destino di Arianna è doppio sin dall'inizio, e i riti a Nasso ne celebravano la doppiezza, senza mitigarla in una vicenda di morte e resurrezione. Colei che è la «sposa» di Dioniso, l'unica prescelta nel corteo delle donne che lo circondano, quella a cui il dio donerà persino il suo nome, chiamandola Libera, è anche la donna che Dioniso fa uccidere. Il dio si rivolse ad Artemis, sempre pronta a tendere l'arco. Le chiese di trafiggere Arianna con una freccia. Volle anche essere testimone dell'assassinio. Poi il tempo eufemizza tutto. Sulle pareti di Pompei rimase un'immagine di nozze celesti.

Le figure del mito vivono molte vite e molte morti, a differenza dei personaggi del romanzo, vincolati ogni volta a un solo gesto. Ma
in ciascuna di queste vite e di queste morti sono compresenti tutte
le altre, e risuonano. Possiamo dire di aver varcato la soglia del
mito soltanto quando avvertiamo un'improvvisa coerenza fra
incompatibili. Abbandonata a Nasso, Arianna fu trafitta da una
freccia di Artemis, per ordine di Dioniso, testimone immobile;
ovvero, Arianna si impiccò a Nasso, dopo essere stata abbandonata da Teseo; ovvero, incinta di Teseo e naufragata a Cipro, vi morì nelle doglie; ovvero, Arianna fu raggiunta a Nasso da Dioniso con il suo corteo e con lui celebrò nozze divine prima di ascendere al cielo, dove tuttora la vediamo fra le costellazioni settentrionali; ovvero, Arianna fu raggiunta da Dioniso a Nasso e da allora lo seguì nelle sue imprese, come un'amante e come un soldato: quando Dioniso attaccò Perseo nella terra di Argo, Arianna lo seguiva, armata, fra le schiere delle folli Baccanti, finché Perseo scosse nell'aria dinanzi a lei  il volto micidiale di Medusa e Arianna fu pietrificata. Rimase una pietra in un campo. Nessuna donna, nessuna dea ebbe tante morti come Arianna. Quella pietra nell'Argolide, quella costellazione nel cielo, quell'impiccata, quella morta di parto, quella fanciulla dal seno trafitto: tutto questo è Arianna.




Il trionfo di Bacco e Arianna, Annibale Carracci, 11597-1601, Palazzo Farnese