domenica 22 gennaio 2017

BUDDHISMO HINAYANA (हीनयान)





Le quattro nobili verità

ARYA – SATYA


PRIMA VERITA’

L’esistenza è disagio o dolore (Duh – kha[1])

Occorre essere consapevoli del disagio:

la nascita è dolore

la vecchiaia è dolore

l’infermità è dolore

la morte è dolore

l’unione con ciò che è caro (samara – yoga) è dolore
                                                                              
la separazione da ciò che è caro (vipra – yoga) è dolore

il non ottenere ciò che si desidera è dolore

i cinque aggregati (skhanda) che rappresentano la base dell’attaccamento all’esistenza sono dolore (samskara duhkha)[2].



II NOBILE VERITA’

L’origine del dolore dukkhasamudaya

La causa delle diverse forme di duhkha è la sete (trsna) che trascina l’individuo nella ricerca della propria gratificazione, facendogli perseguire scopi egoistici. La sete (trsna) non appagata frustra l’individuo. Essa è un’urgenza vitale che trascina con cieco dinamismo in continui spostamenti  in cerca di “gratificazioni or qui or là” (tatra tatrabhinandinr)  La Trsna è una sete insaziabile che si traduce:

- in desiderio/brama               kama/tanha (brama per il godimento degli oggetti)
- esistenza                               bhava: ovvero l’autoperpetuarsi  dell’individuo e del suo esperire con il ciclo delle rinascite (brama per l‘esistenza);
- cupio dissolvi                        vibhana (brama per la non esistenza, desiderio di chi è soggetto a gravi sofferenze)

III NOBILE VERITA’

La verità della cessazione del dolore dukkhanirodha

Se la trsna è la causa del duhkha occorre bloccarla attraverso:

- rinuncia                                            (tyaga)
- completa estromissione                    (pratini sarga)
- scioglimento/lasciar cadere              (mukti)
- non dimora negli oggetti                 (analaya)

IV NOBILE VERITA'

È l’iter attraverso cui si blocca il disagio (duhkha –nirodha –gamini – pratipad)

Attraverso l’ottuplice sentiero è possibile liberarsi dalla sete

L’ottuplice sentiero (Arya stangi kamarga)

I tappa: la veduta appropriata (samyag drsti)

Occorre guardare la realtà in modo appropriato attraverso la riflessione sulle 4 nobili verità, superando le vedute (drsti) erronee che producono attaccamento e quindi duhkha.

Quando si consegue la veduta appropriata (drsti – prapta)  ma si muore prima di essersi liberati dalle attitudini mentali negative, si è comunque arrivati allo stato di srota – panna ovvero si è giunti nella corrente del dharma che lo porterà a raggiungere il nirvana, pur dovendo rinascere sette volte.

II tappa: la decisione appropriata (samya ksamkalpa)

E’ la ferma risoluzione di abbandonare il ciclo delle rinascite attraverso il voto solenne di astenersi in futuro da:
- avidità desiderio                                          lobha[3]
- malevolenza                                                 dvesa[4]
- offuscamento intellettuale/ignoranza          moha[5]
- arrecare nocumento ad alcun essere

Lo srota panna che è giunto a porre in essere in modo soddisfacente rinascerà una sola volta prima di attingere il Nirvana.

III tappa: La parola appropriata: samyag vac

Occorre:
- astenersi dal dire il falso per il vantaggio proprio o altrui;
- astenersi dal seminare discordia;
- astenersi dal rivolgersi ad altri in tono aggressivo o scortese;
- astenersi dall’intrattenersi in argomenti insulsi o futili.

IV tappa: l’azione appropriata: samiakkarman

- non compiere uccisione o violenza (ahimsa - occorre altresì astenersi ad essere mandanti di un omicidio, istigare al suicidio, procurare aborto)
- non prendere o non appropriarsi di ciò che non è dato o donato;
- astenersi da illecite forme di appagamento sessuale, guardando alle donne non qualificate per il rapporto come madri, sorelle e figlie.

Per i laici (upasaka[6]) è stato dettato il “Tesoro della condotta” (Siladhana):
- divieto di menzogna[7];
- divieto uso alcool o droghe capaci di intaccare l’attenzione;
- non mangiare in eccesso o fuori dai pasti;
- non indulgere a danza, musica, e spettacoli né presenziarvi;
- evitare l’uso di ornamenti, unguenti e morbidi giacigli e comodità in genere
Le regole per i laici si trovano anche dettate nel Dhammika-sutta[8] ed è chiamato at tangi ka - uposatha[9] (ordinanza) l’ottuplice astinenza.

V tappa: i mezzi di sussistenza appropriati (samyag ajiva)

- divieto di esercitare commerci nocivi
- divieto di usura;
- divieto di predizione del futuro
- divieto di illusionismo e altre attività basate sull’inganno;

VI tappa: sforzo appropriato (samyag vyayama)

- evitare l’insorgere di vizi non sorti;
- abbandonare vizi già sorti;
- propiziare il sorgere di virtù non ancora sorte;
- coltivare quelle già sorte;

VII tappa: attenzione appropriata (samyak smrti

L’asceta deve soffermarsi con lucido distacco su:
- eventi corporei;
- sensazioni passive;
- eventi mentali[10];
- caratteristiche delle entità in genere (i dharma laksana: impermanenza, assenza di atman e di duhkha, e vacuità)

Ciò si realizza attraverso 4 stadi meditativi (dhyana) di coscienza. Prima di procedere alla meditazione occorre lottare contro i cinque fattori d’impedimento (i nirvarana) che distraggono l’attenzione.  I nirvarana sono:
- il desiderio/fantasticheria (Kama chandas) orientato verso le 5 forme di piacere sensoriale (tale nirvarana è paragonato al debito che tormenta il debitore);
                                               - la malevolenza (vyappada) verso oggetti e persone;
                                               - la pigrizia/torpore che imprigiona il meditante;
- l’eccitazione (uddhatva) , il senso di colpa (auddhatya), l’orgoglio (mana);
- il dubbio verso il Buddha ed il suo Dharma, dei suoi discepoli e della prassi dettata dalla loro autorità.

Sconfitti i nirvarana si può penetrare negli stati meditativi:

                                   I stadio (dhyana):  il mediatante vi penetra con una iniziale concentrazione di saluto/omaggio verso un oggetto prescelto concreto o astratto (vitakra): Si esercita sull’oggetto un’attenzione che è tuttavia accompagnata  da associazioni verbali e disturbata da un intenso andirivieni mentale (vicara). In tale fase il meditante combattendo e superando i nirvarana prova la c.d. priti ovvero il diletto per il concentrarsi su un oggetto. Il meditante prova anche la sukha (“il bel agio”) derivante dalla calma e dalla lucidità della concentrazione”
                                   II stadio (dhyana): Il nobile silenzio. Vi si accede attraverso l’interruzione del vitakra (la concentrazione su un oggetto concreto) e del vicara (l’andirivieni mentale). Tale interruzione si realizza con la considerazione che tali processi presentano difetti intrinseci. Restano ferme la priti e la sukha derivanti dalla concentrazione, ma si aggiunge l’incentramento dell’attenzione  su un solo punto la Ekagrata e si avverte una crescente intima serenità (adhiatma samprasadana) derivante dalla fiducia nel successo della pratica.
                                   III stadio (dhyana): vi si accede rinunciando alla priti (il diletto per il concentrarsi) ritenuto ormai imperfetto. Restano:
-  il sukha (il bel agio) derivante ora dalla upeksa (sguardo distaccato) e dall’attenzione/memoria (smrti)
- la ekagrata (incentramento dell’attenzione su di un solo punto).
Si aggiunge il samprajnana vale a dire la “perfetta consapevolezza dell’oggetto”, ormai strappato alle griglie del pensiero e linguaggio e finalmente esperito nella sua nuda peculiarità. 
                                   IV stadio (dhyana): vi si accede rinunciando al sukha (bel agio ) ormai associato alla duhkha. Occorre fare cadere ogni rilassamento mentale (collegato al sukha detto saumanasya) ed ogni tensione mentale (daurmanasya) e superare il flusso di stati di coscienza eterogenei e discontinui che costituiscono il sottofondo della psiche. Ciò è possibile solo attraverso un prolungato atto di presa di coscienza (che ha ancora come contenuto l’oggetto meditato) che porta da solo allo sbocciare del quarto dhyana. Nel quarto dhyana restano:

- upeksa (sguardo distaccato)
- smrti (memoria/attenzione)
- ekagrata (incentramento dell’attenzione su di un solo punto)

Si aggiunge la parisuddhi (senso di purezza tutto intorno descritto come la sensazione che si prova dall’essere completamente avviluppati sa una pezza di tessuto candido senza la benché minima macchia).

Uscita dal IV Dhyana la mente è capace di attenzione lucida ed è insieme perfettamente distaccata. Attraverso la ripetuta immersione del quarto dhyana la mente può giungere alle sei forme di super conoscenza le abhijna.

                        I abhijna: è l’accesso alle 8 facoltà paranormali (siddhil):
                                               1) bi – poli – locazione
                                               2) l’invisibilità;
                                               3) il passaggio attraverso i muri
4) lo sprofondare nella terra e l’emergerne come se si trattasse di acqua
                                               5) il camminare sull’acqua;
                                               6) la levitazione;
7) l’estendere il proprio corpo sino a toccare il sole e la luna
8) il trasferimento istantaneo in altri luoghi sino al mondo di brahama

II abhijna: conferisce la chiaroaudizione costituita dall’orecchio divino (divyasrotas) che permette di udire simultaneamente o isolatamente i suoni o le parole vicini e lontani di tutti gli esseri, dei inclusi.
III abhijna:permette l’accesso agli altrui pensieri;
IV abhijna: dona l’accesso ai ricordi delle vite precedenti,
V abhijna: dona la chiaroveggenza l’occhio divino (divyacaksus)
VI abhijna: è la comprensione liberatrice (Bodhi): è la conoscenza del disseccamento/esaurimento degli asrava (asravaksayajnana).

VIII tappa: concentrazione appropriata (samyak-samadhi)[11].

Raggiunto l’ultimo stadio della meditazione l’individuo si è reso conto dei difetti inerenti il supporto esteriore della meditazione. A questo punto il meditante può raggiungere le  quattro samapatti che sono delle ulteriori forme di meditazione basate sull’ulteriore astrazione e distacco dall’esperire anche nelle forme più elevate. Ciascuna samapatti (incontro/completamento della coscienza/conoscenza) permette di cogliere quattro corrispondenti stadi (ayatana) della sfera priva di forme (arupyadhatu).

I Samapatti (stadio dell’infinità dello spazio)

Il meditante deve mettere tra parentesi la coscienza della forma visibile/materiale (rupasamjna) e al contempo non badare alla sua molteplicità (nanatva). Resta così nell’orizzonte della coscienza solo la sostanza sottile indifferenziata dello spazio (akasa) occupato dal supporto-oggetto della meditazione che viene percepito come infinito (ananta). Viene così attinto lo stadio dell’infinità dello spazio (Akasa –nantya -yatana).

II Samapatti (stadio dell’infinità della consapevolezza)

Presa coscienza anche dell’imperfezione dello spazio ora occupato dall’oggetto il meditante fa astrazione anche dall’Akasa (la sostanza sottile indifferenziata dello spazio) ed esercita una attenzione indivisa solo sulla propria conoscenza riflessa ad esso corrispondente (vjnana) che comunque rimane una forma estremamente rarefatta di akasa. E’ questo lo stadio dell’Infinità della consapevolezza (vijnana–nantya –yatana).

III Samapatti (stadio del non v’è alcunché)

Anche questa infinità spaziale legata come è alla esteriorità, è riconosciuta come un difetto. Ciò spinge il meditante a prescindere dalla stessa consapevolezza infinita ricorrendo ad opportuni espedienti come il rappresentarsene l’attuale assenza (abhava), ovvero il riassorbirla nella vacuità (sunyata) mentalmente evocata al suo posto o ancora lo scartarla come una “forma a parte” (vivik – takara).

Sorpassata la consapevolezza si accede ad una attenzione ormai priva i oggetto: lo “stato del non v’è alcunché” (akim – canya – yatana).

IV Samapatti (stadio né al tutto esperienza né inesperienza)

Ma anche questo nulla è comunque investito da una   forma di esperienza riflessa. Occorre che il sapere di essere consapevole di alcunché venga anch’esso meno. Ciò si ottiene sprofondando l’oggetto nulla nuda quiete, in cui l’attenzione dimora solo allo stato seminale, senza più cogliere contenuti di sorta. Questo è lo  stadio definito con una doppia negazione “né al tutto esperienza né inesperienza” (naiva - sam – ynana - samy – nayatana), il culmine della pratica. 

Il Nirvana

Per raggiungere il nirvana è necessario distruggere completamente gli asrava evento che si accompagna alla comprensione delle quattro nobili verità. In tale caso si ha la vimoksa o vimukti ossia la completa liberazione dal ciclo delle rinascite.

Il nirvana è letteralmente “l’assenza di vento” che accresce il fuoco dei  desideri. Il fuoco dei desideri è spento dal soffio impetuoso del vento purificatore (vatavega). Ecco come è descritto:
           
“Come una volta estinta per la potenza del vento la fiamma è andata a casa, né è più nominabile/descrivibile, così il silenzioso una volta liberato da tutto, nome e forma, va a casa né più è nominabile”

L’andare a casa non è semplice scomparsa. È il ritorno ad uno stato sottile, latente. Si richiamano i paralleli indù del dio Agni che ritorna allo stato latente inteso come ritorno alla vulva (la yoni) rappresentata dalle bacchette da sfregare per generare il fuoco e quindi per riattualizzarlo. La mente (citta) è ridotta  all’immobile stato  e quieto stato seminale. E’ la fiamma che ristà in assenza di vento/aria.

“V’è oh bhiksu quell’ayatana ove non sono
Né terra né acqua
Né igneo fulgore né vento
Né stadio dell’infinità dello spazio, né stadio dell’infinità della consapevolezza
Né stadio del non v’è alcunché, né stadio ove non si dà né al tutto esperienza né inesperienza
Né questo mondo né l’altro mondo
Né la coppia di Luna e sole.
Questo io oh Bhiksu
Né invero venuta dico, né andata
Nè perdurare né venir meno né venir in essere
Non fondato, non messo in moto
Senza inizio invero è quello.
Esso solo è la fine del dunkha
V’è o bhiksu
Un non nato, non venuto in essere non fatto non composto.
Ove non vi fosse Quello oh Bhiksu, ove non vi fossero un non nato, non venuto in essere , non fatto, non composto, invero da questo nato venuto in essere, fatto, composto non vi sarebbe uscita.”





[1] Duh Kha : Dus: asse che gira male; Kha (cavo posto al centro della ruota. Asse che gira male entro il cavo posto al centro della ruota. VIPA RINAMA DUHKHA: Ogni piacere o cosa per quanto positivo è viziato dalla consapevolezza del suo degenerarsi e disfarsi nell’attimo stesso in cui si fruisce. Ne discende che  l’affermazione “la morte è disagio” si riferisce anche alla “morte continua dell’attimo” detta ksani – kamarana , ogni cosa è transitoria.


[2]   Si tratta del disagio immanente alla stessa struttura composita dell’essere che spinge l’uomo a identificarsi con gli elementi oggetto della percezione.

“Allora, Bahiya, tu devi esercitarti: in ciò che vedi ci deve essere solo ciò che da te è stato visto, in ciò che odi solo ciò che è stato da te udito, in ciò che pensi solo ciò che è stato pensato, in ciò che conosci solo ciò che è stato conosciuto”

La percezione è suddivisa in cinque serie di fenomeni o aggregati (skhanda) e tali aggregati costituiscono altresì la transuente personalità umana sulla terra:
 - I aggregato: rupa skhanda: la forma. E’ l’aggregato delle forme visibili. Abbraccia il corpo con i suoi cinque sensi  e i loro rispettivi oggetti;
- II aggregato: vedana skhanda: sensazione. E’l’aggregato delle sensazioni: comprende i cinque impulsi sensoriali  passivi prodotti dal contatto tra i sensi e gli oggetti;
- III aggregato: samijna skhanda: ideazione. E’ l’aggregato delle coscienze sensoriali: ogni coscienza sensoriale coglie il carattere specifico della sensazione corrispondente.
- IV aggregato: samskara skhanda: tendenze innate. E’ l’aggregato delle latenze, ovvero dei residui delle nascite precedenti che determinano l’insieme delle tendenze innate nella presente esistenza dell’individuo;
- V aggregato: vijnana skhanda: stato di coscienza. E’ l’aggregato delle conoscenze che combina le cinque coscienze riflesse risultante dai cinque processi sensoriali, con l’aggiunta di quello mentale (il manovijnana) che funge da sensorium comune coordinante gli altri  
[3] Ivuttaka, I capitolo: n. 1

“Qualunque sia la brama per cui si desidera
gli esseri vanno alla perdizione.
Questa brama una volta rettamente conosciuta (samyag ajnaya)
Rigettano coloro che hanno l’intima visione
Una volta che l’abbiano respinta non ritornano più in questo mondo”

La Samyag Ajnaya della brama consiste nella penetrazione dell’essenza della brama. Occorre cioè comprendere che la brama è un mero processo dinamico del tutto distinto da noi. L’errore sorge quando noi ci confondiamo con la stessa e con i suoi oggetti.

[4] Ivuttaka, I capitolo n. 2

“Qualunque sia l’avversione per cui si sono corrotti
gli esseri vanno alla perdizione.
Questa avversione una volta rettamente conosciuta (samyag ajnaya)
Rigettano coloro che hanno l’intima visione
Una volta che l’abbiano respinta non ritornano più in questo mondo”

[5] Ivuttaka, I capitolo n. 3

“Qualunque sia l’offuscamento per cui sono ottusi
gli esseri vanno alla perdizione.
Questo offuscamento  una volta rettamente conosciuto (samyag ajnaya)
Rigettano coloro che hanno l’intima visione
Una volta che l’abbiano respinto non ritornano più in questo mondo”

[6] I laici padri di famiglia sono detti anche Savana (in Pali) Sravaka (in sanscrito): auditore laico.
[7] Itivuttaka, Cap. III n. 5 par. 25
“Monaci, io dico che non vi può essere cattiva azione che non possa venir compita dall’uomo, dall’essere umano che abbia trasgredito una sola cosa. E qual’è questa cosa? O monaci questa cosa è proferire coscientemente delle menzogne.

Da chi ha trasgredito in una sola cosa ,
dall’essere vivente che ha detto la menzogna
che non ha riguardo per l’altro mondo
non v’è peccato che non si possa compiere”

[8] Sempre per i laici:

 Suttanipata, cap. II Culavagga, par. 14 Dhammika-sutta

18 “Vi narro anche come un capo di casa deve operare
Come un savana deve agire restando un buon discepolo
Poiché il perfetto Dramma del Bhikkhu non può essere assolto
Da chi è afferrato dall’occupazione (mondana)
Non uccida gli esseri viventi, né lo f accia uccidere
E nemmeno approvi che alcuni uccidano altri
Essendosi frenato dal danneggiare tutte le creature
Sia quelle che son forti sia quelle che tremano nel mondo
Indi si astenga il savana dal prendere qualunque cosa in qualunque luogo
Che no gli sia data allorché sappia che ad altri appartiene
Né faccia che altri prenda né approvi che costoro se ne impossessino
E si tenga lontano da tutto ciò che non è dato
Si astenga il saggio da vita non casta
Come si evita un mucchio di carboni ardenti
Se non è capace di essere casto
Non trasgredisca il dramma con la moglie di altri

Andato che sia nell’aula di giustizia o all’assemblea
Non parli di alcuno proferendo menzogna
Né faccia parlare né coloro che così parlano approvi
Eviti egli ogni sorta di menzogna
Non abbia uso a bevande inebrianti
Il signore di casa che approvi il dhamma
Non faccia ubriacare gli altri né approvi coloro che sono ebbri
Poiché sa che tutto finisce in follia
Nell’ebbrezza gli stolti commettono i peccati
Ed altra gente fanno pure uscire di senno
Eviti egli questa sede di peccato
Questa follia gradita solo agli stolti.
Non uccida essere vivente non prenda ciò che non gli è dato
Non dica menzogne non beva bevande inebrianti
Eviti incontri non casti
E non mangi di notte cibo fuori tempo
Non si orni di collane né usi profumi
Si giaccia su un giaciglio steso per terra
Questa chiamano l’ottuplice astinenza (attangika-uposatha)
Proclamata dal Buddha che ha sormontato il male.
Quindi avendo osservato l’astinenza
Nei giorni 14°, 15° e 8° del mese lunare
Ed avendo mantenuta con mente devota il completo patihariya-pakka
Consistente in otto parti tutto completo.
Il mattino, dopo avere osservato l’astinenza
Un saggio uomo dalla mente devota
Rallegrando l’assemblea dei bhikkhu con cibi e bevande
Compia la distribuzione secondo le possibilità sue
Rettamente egli mantenga la madre ed il padre
Ed eserciti un commercio onorevole
Il signore di casa che bene attento osservi questa disciplina
Andrà presso gli dei noti come Sayampabha (da sé risplendenti)



[9] In sanscrito upavasatha
[10] Itivuttaka, capitolo II n. 6 par.16:
“Monaci per il monaco che è ancora discepolo che non è giunto alla padronanza della mente che però aspira alla pace suprema libera da ogni vincolo (in pali anuttaram Yogakkhemam) e che in quella si dimora, avendo fatto di questo un elemento proprio di sé, io non vedo alcun altro fattore così giovevole quanto il praticare una costante reale attenzione ai moti della mente (Yoniso mansikaro). Monaci il monaco che presta tale costante reale attenzione alla mente abbandona ciò che non è giovevole e permette a ciò che è giovevole di svilupparsi.
La reale attenzione della mente
E’ l’elemento per il monaco che apprende
Rispetto al quale non vi è altro più utile
Per conquistare la sublime meta.
Il monaco che si adoperi seriamente
 Consegue l’annichilirsi del dolore”
[11] La samadhi è un termine mutuato dallo yoga e designa letteralmente il “com-porsi” dell’attenzione accentrata in direzione di chi parla a partire da una periferia lontana, dove essa vagava dispersa.


Nastro di Möbius e l'orientabilità



Il nastro di Möbius è costruito con una lunga striscia di carta, incollandone i bordi stretti dando mezzo giro a uno di essi.








Ha queste caratteristiche: 

- ha un solo bordo: se seguiamo un punto sul bordo e muoviamo il dito lungo lo stesso fino a tornare al punto segnato, percorreremo l’intero bordo 

- ha una sola faccia: se mettiamo un dito su una faccia e lo muoviamo lungo la stessa, arriviamo allo stesso punto toccando con il dito dall’altra parte. Pertanto tutti e due i lati del nastro di Möbius hanno la stessa faccia 


Il nastro è in altri termini una varietà non orientabile e non bicolorabile nello spazio tridimensionale. 

Per comprendere cosa s’intende per varietà non orientabile occorre considerare quanto segue “Anzitutto occorre chiarire il significato del termine varietà; in Geometria si studiano curve (oggetti di dimensione 1, hanno solo la lunghezza, ad esempio una circonferenza), superfici (oggetti di dimensione 2, ad esempio una superficie sferica), parti di volume (oggetti di dimensione 3, ad esempio la sfera intera). In generale, sebbene l'intuizione visiva venga meno, è possibile considerare superfici di dimensione n, che vengono dette varietà n-dimensionali. Dunque una varietà di dimensione 1 è una curva (non necessariamente piana), una varietà di dimensione 2 è un' intuitiva superficie, e così via. Ora pensiamo un attimo alla superficie laterale di un cilindro: la possiamo ottenere facilmente ritagliando da un foglio di carta una striscia rettangolare con un lato ben più corto dell'altro, e incollando i due lati uguali più corti del rettangolo. Ebbene, tale superficie è abbastanza ordinaria: infatti, come uno potrebbe ingenuamente pensare, tutte le superfici debbono avere 2 facce: un sopra ed un sotto” (tratto da “Oggetti matematici curiosi: le varietà non orientabili” di Luca Lusardi).




“Se immaginiamo di camminare sul lato esterno della superficie cilindrica, non riusciremo mai ad arrivare dall'altra parte senza attraversare il bordo”. Per rendersene conto “basta colorare la superficie cilindrica partendo da una delle 2 facce: se uno non attraversa il bordo, finisce con il colorare solo una delle 2 facce. Superfici di questo tipo si chiamano orientabili: ovvero hanno un sopra ed un sotto” (tratto da  “Oggetti matematici curiosi: le varietà non orientabili” di Luca Lusardi).

Il nastro  di contro è una superficie non orientabile. “Infatti, se proviamo a colorare il nastro partendo da un suo punto, quello che capita è che uno finisce con il colorare tutto il nastro senza attraversare il bordo. .. Dunque il nastro di Möbius ha una sola faccia. Se uno immagina di camminare su un Nastro di Möbius, dopo un certo tempo si ritrova esattamente al di sotto di dove era partito, senza aver dovuto per questo attraversare il bordo, o fare un buco lungo il percorso” (tratto da  “Oggetti matematici curiosi: le varietà non orientabili” di Luca Lusardi).

Immagine di Escher




Tagliando il nastro a metà parallelamente al bordo, si ottiene un altro nastro però con una torsione intera, due bordi e due superfici diverse, quindi orientabile. La cosa interessante è che i due bordi separati dalle forbici rimangono un solo bordo, quindi la figura viene completamente tagliata a metà, ma rimane attaccata;



Ora costruiamo un altro nastro di Möbius e proviamo a disegnare 2 linee parallele alla mediana, ma che dividono in 3 parti il nastro stesso; se tagliamo lungo tali linee  otteniamo 2 nastri di Möbius incatenati




Il nastro di Möbius ha però una cosa in comune con la superficie cilindrica considerata prima: entrambi hanno un bordo; osservando direttamente le superfici costruite, non è difficile convincersi che il bordo della superficie cilindrica è costituito da 2 circonferenze parallele tra loro, non giacenti sullo stesso piano, ma su piani paralleli. (Il bordo di una superficie di dimensione 2 e' sempre un oggetto di dimensione minore di 2, ovvero 1 o 0). Per il Nastro di Möbius invece, il bordo, se uno prova a seguirlo, è costituito da una sola linea chiusa, quello che in Matematica si chiama curva di Jordan
  

L’equazione le cui soluzioni rappresentano il nastro è la seguente:

x2y+yz2+y3-y-2xz-2x2z-2y2z=0



giovedì 19 gennaio 2017




Da "Il lupo della steppa" di Hermann Hesse





Traduzione di Ervino Pocar


Chi ha assaggiato le altre giornate, quelle cattive, quelle con gli attacchi di gotta e col mal di testa appostato dietro i bulbi degli occhi, che trasforma, con diabolica stregoneria, ogni gioiosa attività dell'occhio e degli orecchi in una tortura, o quelle giornate di lenta morte spirituale, le maligne giornate di vuoto interiore e di disperazione nelle quali, in mezzo alla terra distrutta e svuotata dalle società per azioni, gli uomini e la così detta civiltà col suo orpello di latta mentito e volgare ti ghignano incontro ad ogni passo come un emetico concentrato e portato nel proprio io malato all'apice dell'insofferenza: chi ha assaporato quelle giornate infernali si dice ben soddisfatto dei giorni normali e così così, dei giorni come questo, e si siede riconoscente presso la stufa calda, nota riconoscente, alla lettura del giornale, che nemmeno oggi è scoppiata una guerra, che non è sorta un'altra dittatura, non si è scoperta alcuna grossa porcheria nella politica e nell'economia, e con gratitudine accorda la sua lira arrugginita per intonarvi un salmo di grazie moderato, passabilmente lieto, quasi allegro, con cui annoiare il suo Dio della contentezza, un Dio così così, silenzioso, soave, un po' intontito dal bromuro, sicché nell'aria grassa e tepida di questa noia soddisfatta, della benvenuta assenza di dolore quei due, il Dio così così, triste e appisolato, e l'uomo così così, leggermente brizzolato e intento a cantare sommessamente il salmo, si assomigliano come due gemelli. 

Sono una bella cosa la contentezza, l'assenza di dolore, le giornate tollerabili e accucciate nelle quali né il dolore né il piacere osano alzar la voce, ma tutto bisbiglia e cammina in punta di piedi. Se non che io sono purtroppo fatto così, non sopporto questa  contentezza, che dopo un po' mi diventa odiosa e insopportabile e ributtante, e devo rifugiarmi disperato in altre atmosfere, possibilmente passando per le vie del piacere ma, in caso di bisogno, anche per le vie del dolore. Quando sono stato per un po' senza piaceri e senza dolori e ho respirato l'insipida sopportabilità delle così dette buone giornate, la mia anima infantile è talmente agitata dal vento della miseria che prendo la lira arrugginita della gratitudine e la scaglio in faccia al sonnacchioso e soddisfatto Dio della contentezza e preferisco sentirmi ardere da un dolore diabolico piuttosto che vivere in questa temperatura sana. Allora avvampa dentro di me un desiderio selvaggio di sentimenti forti, spettacolari, una rabbia contro questa vita piatta, sfumata, normale e sterilizzata, e una voglia folle di fracassare qualche cosa, non so, un magazzino o una cattedrale o me stesso, di commettere pazzie temerarie, di strappare la parrucca a un paio di idoli venerati, di fornire a qualche scolaro ribelle il desiderato biglietto ferroviario per Amburgo, di sedurre una ragazzina o di torcere il collo a qualche rappresentante dell'ordine borghese nel mondo. Questo infatti ho più che mai odiato, aborrito e maledetto: questa soddisfazione, la salute pacifica, il grasso ottimismo del borghese; la prospera disciplina dell'uomo mediocre, normale, dozzinale.  

In questo stato d'animo conchiusi sul far della notte quella passabile giornata dozzinale. La conchiusi non già in un modo normale e proficuo per un uomo piuttosto sofferente, lasciandomi imprigionare  dal letto pronto e dall'esca dello scaldino con l'acqua calda, ma infilandomi invece le scarpe, insoddisfatto e schifato del po' di lavoro eseguito durante la giornata, mettendomi il cappotto sulle spalle e andando in città in mezzo alla nebbia tenebrosa per bere nella locanda dell'Elmo d'acciaio, quello che secondo un'antica convenzione i bevitori chiamano un "dito di vino".  
Libertà

di Paul Eluard

(14/12/1895 - 18/11/1952)




La poesia fu scritta da Paul Eluard nel 1942 durante l'occupazione nazista della Francia. Il testo stampato in migliaia di copie fu paracadutato dall'aviazione britannica nello stesso per incitare alla resistenza. 






traduzione di Franco Fortini


Sui miei quaderni di scolaro
sulla mia cattedra e sugli alberi sulla sabbia sulla neve
scrivo il tuo nome


Su tutte le pagine lette
su tutte le pagine bianche
pietra sangue carta o cenere 
scrivo il tuo nome

Sulle immagini dorate
sulle armi dei guerrieri
sulle corone dei re
scrivo il tuo nome

Sulla giungla e sul deserto
sui nidi e sui cespugli
sull’eco della mia infanzia
scrivo il tuo nome

Sulla meraviglia delle notti
 sul pane bianco dei giorni
sulle stagioni fidanzate
scrivo il tuo nome

Su tutti i miei stracci d’azzurro
sullo stagno sole marcito
sul lago luna viva
scrivo il tuo nome

Sul campo sull’orizzonte
sulle ali degli uccelli e
sul mulino delle ombre
scrivo il tuo nome

Su ogni sbuffo d’aurora
sul mare sulle barche
sulla montagna demente
scrivo il tuo nome

Sulla spuma delle nuvole
sui sudori della tempesta
sulla pioggia spessa e scipita 
scrivo il tuo nome

Sulle forme scintillanti
sulle campane dei colori
sulla verità fisica
scrivo il tuo nome

Sui sentieri risvegliati
sulle strade dispiegate
 sulle piazze che trabordano
 scrivo il tuo nome

 Sul lume che s ’accende
sul lume che si spegne
sulle mie ragioni riunite
scrivo il tuo nome

Sul frutto tagliato in due
dello specchio e della mia stanza
sul mio letto conchiglia vuota 
scrivo il tuo nome

Sul mio cane goloso e tenero 
sulle sue orecchie drizzate
sulla sua zampa maldestra
scrivo il tuo nome

Sulla pedana della mia porta
sugli oggetti familiari
sul flusso benigno del fuoco
scrivo il tuo nome

Su ogni carne accordata
sulla fronte dei miei amici
su ogni mano che si tende
scrivo il tuo nome

Sul vetro della sorpresa
 sulle labbra intenerite
ben al di sopra del silenzio
scrivo il tuo nome

Sui miei rifugi distrutti
sui miei fari crollati
sui muri della mia noia
scrivo il tuo nome

Sull’assenza senza desiderio 
sulla solitudine nuda
sui gradini della morte
scrivo il tuo nome

Sulla salute ritornata
sul rischio scomparso
sulla speranza senza ricordo
scrivo il tuo nome

E per il potere d’una parola
ricomincio la mia vita
sono nato per conoscerti
per nominarti

Libertà
Sur mes cahiers d’écolier
Sur mon pupitre et les arbres
Sur le sable sur la neige
J’écris ton nom


Sur toutes les pages lues
Sur toutes les pages blanches
Pierre sang papier ou cendre
J’écris ton nom

Sur les images dorées
Sur les armes des guerriers
Sur la couronne des rois
J’écris ton nom

Sur la jungle et le désert
Sur les nids sur les genêts
Sur l’écho de mon enfance
J’écris ton nom

Sur les merveilles des nuits
Sur le pain blanc des journées
Sur les saisons fiancées
J’écris ton nom

Sur tous mes chiffons d’azur
Sur l’étang soleil moisi
Sur le lac lune vivante
J’écris ton nom

Sur les champs sur l’horizon
Sur les ailes des oiseaux
Et sur le moulin des ombres
J’écris ton nom

Sur chaque bouffée d’aurore
Sur la mer sur les bateaux
Sur la montagne démente
J’écris ton nom

Sur la mousse des nuages
Sur les sueurs de l’orage
Sur la pluie épaisse et fade
J’écris ton nom

Sur les formes scintillantes
Sur les cloches des couleurs
Sur la vérité physique
J’écris ton nom

Sur les sentiers éveillés
Sur les routes déployées
Sur les places qui débordent
J’écris ton nom

Sur la lampe qui s’allume
Sur la lampe qui s’éteint
Sur mes maisons réunies
J’écris ton nom

Sur le fruit coupé en deux
Du miroir et de ma chambre
Sur mon lit coquille vide
J’écris ton nom

Sur mon chien gourmand et tendre
Sur ses oreilles dressées
Sur sa patte maladroite
J’écris ton nom

Sur le tremplin de ma porte
Sur les objets familiers
Sur le flot du feu béni
J’écris ton nom

Sur toute chair accordée
Sur le front de mes amis
Sur chaque main qui se tend
J’écris ton nom

Sur la vitre des surprises
Sur les lèvres attentives
Bien au-dessus du silence
J’écris ton nom

Sur mes refuges détruits
Sur mes phares écroulés
Sur les murs de mon ennui
J’écris ton nom

Sur l’absence sans désir
Sur la solitude nue
Sur les marches de la mort
J’écris ton nom

Sur la santé revenue
Sur le risque disparu
Sur l’espoir sans souvenir
J’écris ton nom

Et par le pouvoir d’un mot
Je recommence ma vie
Je suis né pour te connaître
Pour te nommer

Liberté.




La poesia sarà musicata da Francis Poulenc nel 1943 (qui diretta da Mathieu Romano) nell'opera Figure humaine