Da "Delitto e castigo" di Fëdor Michailovic Dostoevskij: il dialogo tra dialogo tra Porfìrij Petròvic, Razumìchin (Dmitrij Prokof'evič Vrazumichin: ), Rodion Romanovič Raskol'nikov e Zamëtov
«Ecco, Rodiòn: sta' a sentire e
dacci la tua opinione. La voglio. Ieri mi son fatto in quattro con loro, aspettandoti;
avevo detto che saresti venuto... Eravamo partiti dalla concezione dei socialisti. È nota: il delitto è
una protesta contro l'ingiustizia dell'ordinamento sociale, niente di più; non ci sono altre cause, e
basta!...»
«Ed ecco che tu sei già fuori
strada!» gridò Porfìrij Petròviè. Egli si andava visibilmenteanimando e non faceva che ridere,
guardando Razumìchin, stuzzicandolo così ancora di più «N-non ci sono altre cause,» lo
interruppe con foga Razumìchin, «e io non sono fuori strada!... Posso mostrarti i loro
libri: per loro, tutto dipende dall'‹ambiente che corrompe›, e basta! È la loro
frase preferita! Ne consegue direttamente che se si riorganizza la società,
subito tutti i delitti scompariranno, perché non ci sarà
più nulla contro cui protestare, e in un batter d'occhi tutti diventeranno probi. La natura non
la prendono in considerazione, la natura viene cancellata, la natura non c'entra! Per loro non
è l'umanità che, attraverso lo sviluppo storico, attraverso il cammino della vita, percorso
sino in fondo, si trasformerà finalmente, da sola, in una società giusta; ma è il sistema sociale che,
balzando fuori da chissà quale mente matematica, metterà subito ordine in tutta l'umanità, rendendola in
quattro e quattr'otto proba e senza peccato, al di fuori di qualsiasi vitale processo storico! È per
questo che, istintivamente, odiano tanto la storia: ‹Non ci sono in essa che mostruosità e stoltezze›; e
tutto viene spiegato con la stoltezza. Per questo, anche, odiano tanto il vitale processo della
vita: non c'è bisogno di un'anima viva! La vivente anima della vita ha
delle esigenze; l'anima vivente non
obbedisce alla meccanica, l'anima vivente è sospetta, l'anima vivente è retrograda! E se c'è puzzo di
morto, uno se la può fare di caucciù; così, in compenso, non sarà vivente, sarà priva di volontà,
sarà obbediente, non si ribellerà! Il risultato è che hanno ridotto tutto a una costruzione di mattoni,
alla disposizione dei corridoi e delle stanze nel falansterio! Il falansterio è pronto, ma la natura
non è ancora pronta per il falansterio; essa vuole la vita, non ha ancora completato il suo processo
vitale, è troppo presto per il cimitero! Con la sola logica non si può scavalcare d'un salto la
natura ! La logica può prevedere tre casi, mentre ce n'è un milione! Allora, si cancella questo
milione e si riduce tutto a una semplice questione di comfort! Questa è
la soluzione più facile! È di una
chiarezza seducente, e non c'è bisogno di pensare! Soprattutto, non c'è bisogno di pensare! Tutto il
mistero della vita trova posto in due fogli di stampa!»
«Ecco che ha preso il galoppo, e
suona la grancassa! Bisogna tenerlo fermo per le braccia,» diceva Porfìrij ridendo.
«Immaginatevi», e si volse verso Raskòlnikov, «che proprio così si gridava, ieri sera, in una sola stanza, a
sei voci; e prima, per giunta, ci aveva fatto bere del punch: ve l'immaginate? No, mio caro, tu
sbagli: l'‹ambiente› ha una grande importanza nei delitti; lo dico e lo ripeto.»
«Lo so anch'io che ha molta
importanza, ma dimmi un po': se un quarantenne disonora una bimba di dieci anni, sarà stato
l'ambiente a farglielo fare?» «Perché no? In senso rigoroso,
forse, sarà stato proprio l'ambiente,» rispose Porfìrij con straordinaria gravità. «Un
delitto così commesso contro una bambina lo si può spiegare bene, anzi benissimo, con 1'‹ambiente›.»
Razumìchin andò quasi in bestia.«Allora, se ci tieni, io ti dimostro
subito,» prese ad urlare, «che tu hai le ciglia bianche soltanto perché il campanile
d'Ivan il Grande è alto più di settanta metri, e te lo dimostro nella maniera più chiara, esatta e
progressista, e perfino con una sfumatura di liberalismo. Mi prendo l'impegno! Vuoi scommettere?»……
«Siete davvero un tale
commediante?» domandò Raskòlnikov in tono volutamente distratto. «Non l'avreste mai pensato, vero?
Aspettate e infinocchierò anche voi, ah, ah, ah! Be', ora vi dirò tutta la verità. A proposito
di tutta questa questione dei delitti, dell'ambiente, delle bambine, mi sono
ricordato adesso - la cosa, del resto, mi ha sempre interessato - di un vostro
articoletto. Del delitto... o come altro si
chiamava, non ricordo più il titolo. Due mesi fa ho avuto il piacere
di leggerlo nella Periodìèeskaja reè.» ……
«E voi come avete fatto a sapere
che l'articolo è mio? Era firmato con le iniziali...» intervenne Raskòlnikov.
«Per caso, e soltanto pochi
giorni fa. Per mezzo del direttore, che conosco... L'articolo mi aveva interessato molto.»
«Per quel che mi ricordo, cercavo
di analizzare le condizioni psicologiche del delinquente durante il compimento del
delitto.»
«Sì, e sostenevate che esso è
sempre accompagnato da uno stato di malattia. Molto, molto originale; tuttavia... non è
questa parte del vostro articoletto che mi ha interessato, bensì un'idea che vien fuori alla fine, e che voi,
purtroppo, avete sviluppato soltanto per allusioni, in modo non esplicito... In una parola, se
ben ricordate, si allude al fatto che al mondo esistono certi individui i quali possono... cioè, non è che
possano soltanto, ma hanno pieno diritto di compiere ogni specie di iniquità e di delitti, e la
legge, per loro, è come se non fosse mai stata scritta.»
Raskòlnikov sorrise a quella
voluta deformazione del suo pensiero.
«Come? Ma che dite? Diritto al
delitto? Forse perché ‹l'ambiente corrompe›?» s'informo Razumìchin addirittura sgomento.
«No, no, non proprio per questo,»
rispose Porfìrij. «Nel suo articolo tutto sta nel fatto che gli uomini si dividono in ‹ordinari›
e ‹straordinari›. Quelli ordinari devono vivere nell'obbedienza e non hanno diritto di violare la
legge perché essi, vedete un po', sono appunto ordinari. Quelli straordinari, invece, hanno il diritto
di compiere delitti d'ogni specie e di violare in tutti i modi la legge, per il semplice fatto
d'essere straordinari. È questo che voi dite, se non mi sbaglio?»
«Come sarebbe? Non può essere!»
borbottava Razumìchin interdetto.
Raskòlnikov sorrise di nuovo.
Aveva capito subito come stavano le cose e dove volevano portarlo; e ricordava il suo
articolo. Decise di accettare la sfida.
«Quel che dice il mio articolo
non è precisamente questo,» prese a dire in tono semplice e modesto. «D'altronde, riconosco
che ne avete esposto il contenuto quasi fedelmente e perfino, se volete, del tutto fedelmente...»
era come se gli facesse piacere ammettere quest'ultima possibilità.
«L'unica differenza è che io non
sostengo affatto che gli uomini straordinari debbano necessariamente o siano costretti
a compiere iniquità d'ogni specie, come voi dite. Fra l'altro, credo che un articolo del genere non
l'avrebbero nemmeno lasciato pubblicare. Io ho semplicemente formulato l'ipotesi che un uomo ‹straordinario›
abbia il diritto... non un diritto ufficiale, beninteso...di permettere alla propria
coscienza di scavalcare certi... certi ostacoli, e ciò esclusivamente nel caso in cui l'esecuzione di un suo
progetto (talvolta, magari, salutare per l'intera umanità) lo richieda. Voi avete detto che il mio articolo è
poco esplicito; sono pronto a chiarirvelo per quanto posso. Forse non sbaglio nel supporre che è appunto ciò che
desiderate. Bene, ecco qua. Secondo me, se per un insieme di
circostanze le scoperte di Keplero o di Newton non avessero potuto esser rese note
agli uomini se non mediante il sacrificio della vita di una, dieci, cento o più persone, che a tali
scoperte si fossero opposte o che, comunque, fossero state di ostacolo sul loro cammino, ebbene, essi
avrebbero avuto il diritto, e perfino il dovere... di eliminare queste dieci o cento persone, per far
conoscere le loro scoperte a tutta l'umanità. Da ciò, tuttavia, non deriva che Newton avesse il
diritto di uccidere chiunque gli fosse saltato in mente di uccidere, a destra e a sinistra, o di rubare
ogni giorno al mercato. Più avanti nel mio articolo, a quel che ricordo io formulo l'idea che tutti...
be', diciamo, se non altro i legislatori e i fondatori della società umana, a partire dai più antichi sino ai
vari Licurgo, Solone, Maometto, Napoleone e via discorrendo, tutti sino all'ultimo siano stati dei
delinquenti, già per il semplice fatto che ponendo una nuova legge, per ciò stesso infrangevano la legge
antica, venerata dalla società e trasmessa dai padri; inoltre, certamente non si arrestarono
nemmeno dinanzi al sangue, quando il sangue (talora del tutto innocente, e valorosamente
versato in difesa della legge antica) poté essere loro d'aiuto. Vale anzi la pena di osservare che la maggior
parte di questi benefattori e fondatori della società umana furono dei terribili spargitori di
sangue. Insomma, io dimostro che tutti gli uomini, e non solamente i grandi, ma anche quelli che
escono sia pur di poco dalla comune carreggiata, che sono cioè, in qualche misura, capaci di dire
qualcosa di nuovo, devono immancabilmente, per la loro stessa natura, essere (più o meno,
s'intende) dei criminali. Altrimenti sarebbe loro difficile uscire dalla carreggiata, nella quale non
possono acconsentire a rimanere non solo a causa della loro natura, ma anche, secondo me, per senso del
dovere. In una parola, vedete da voi che sin qui non c'è davvero
nulla di particolarmente nuovo.
Tutte cose già stampate e lette infinite volte. Quanto poi alla mia divisione degli uomini in
ordinari e straordinari, devo ammettere che è un po' arbitraria: ma non è
che io insista su una
delimitazione precisa. Mi limito a credere nella mia idea fondamentale; cioè appunto che gli uomini, per legge
di natura, generalmente si dividono in due categorie: una inferiore che è quella degli
uomini ordinari, cioè, per così dire, materiale che serve unicamente a procreare altri individui simili,
e un'altra che è quella degli uomini veri e propri, i quali, cioè, hanno
il dono o il talento di dire, in
seno al loro ambiente, una parola nuova. Esistono, si capisce, infinite sfumature, ma i tratti
caratteristici delle due categorie sono abbastanza netti: la prima categoria,
vale a dire il ‹materiale›, è composta
in linea di massima da persone per loro natura conservatrici e per bene, che vivono nell'obbedienza
e amano obbedire. Secondo me, costoro hanno anche il dovere di essere obbedienti, perché questo
è il loro compito e non v'è in esso assolutamente nulla di umiliante per loro. Quelli della seconda
categoria, invece, violano tutti la legge, sono dei distruttori, o per lo meno sono portati ad esserlo, a
seconda delle loro attitudini. I delitti di questi uomini, naturalmente, sono relativi e assai disparati;
per lo più essi chiedono, con le formule più svariate, la distruzione del presente in nome di qualcosa
di meglio. Ma se a uno di loro occorre, per realizzare la sua idea, passare anche sopra un cadavere,
sopra il sangue, secondo me egli, nel suo intimo, in coscienza, può permettersi di farlo: ciò, notate
bene, a seconda anche dell'idea e della sua importanza. Ed è soltanto in questo senso che nel mio
articolo io parlo di un loro diritto a delinquere. (Se ben ricordate, eravamo partiti da una questione
giuridica.) Del resto, non è il caso di allarmarsi troppo: quasi mai la massa riconosce loro questo
diritto, ma dal più al meno li fa giustiziare e impiccare, e con ciò assolve in modo perfettamente
giusto la propria missione conservatrice. Senonché, poi, nelle generazioni seguenti questa
stessa massa colloca i giustiziati sul piedistallo e, dal più al meno, si inchina dmericamente, i secondi
fanno avanzare il mondo e lo guidano verso la meta. Sia gli uni sia gli altri hanno uguale diritto ad
esistere. Per farlavanti a loro. La prima categoria è signora del presente, la seconda dell'avvenire.
I primi conservano il mondo e lo moltiplicano nua breve, per me tutti hanno pari diritto... e vive
la guerre éternelle - fino alla Nuova Gerusalemme, s'intende!»
«Allora, nonostante tutto,
credete nella Nuova Gerusalemme?»
«Ci credo,» rispose con fermezza
Raskòlnikov.
Nel dir ciò, come durante tutta la sua lunga tirata, aveva tenuto gli occhi
fissi a terra, dopo aver scelto un punto del tappeto.
«E... e... voi credete in Dio?...
Scusatemi se sono così curioso.»
«Ci credo,» ripetè Raskòlnikov, alzando
gli occhi su Porfìrij. «E credete nella resurrezione di Lazzaro?»
«Ci cre-e-do. Ma perché volete
sapere tutto questo?»
«Ci credete alla lettera?»
«Alla lettera.»
«È così, dunque... Ero veramente
curioso di saperlo. Scusatemi. Ma, permettete, tornando a quanto si diceva poco fa: non
sempre finiscono giustiziati; alcuni, al contrario...»
«Trionfano da vivi?... Be', sì,
alcuni raggiungono la meta ancora vivi, e allora...»
«Cominciano loro stessi a
giustiziare gli altri?»
«Se occorre, sì; anzi, forse nella
maggior parte dei casi. La vostra osservazione è acuta.»
«Grazie. Ma ditemi ancora: come
distinguere questi individui straordinari da quelli ordinari? Hanno forse qualche segno
speciale fin dalla nascita? Lo chiedo perché mi sembra che ci vorrebbe, qui, un po' più di precisione,
una maggiore differenziazione esplicita... Perdonate le mie naturali preoccupazioni di uomo pratico e
benpensante, ma non si potrebbe introdurre, per esempio, un abbigliamento speciale, o
qualcosa da portare addosso, un marchio o che so io?... Perché, dovete ammetterlo, se si verificasse
qualche confusione e un individuo di una categoria immaginasse di appartenere a un'altra, e
cominciasse a ‹scavalcare tutti gli ostacoli›, secondo la vostra felice espressione, allora voi capite
che...»
«Oh, ma questo accade
spessissimo! La vostra osservazione è persino più acuta della precedente...»
«Grazie...»
«Non c'è di che; ma tenete conto
che un errore è possibile solo da parte degli appartenenti alla prima categoria, quella
degli uomini ‹ordinari›, come - forse molto infelicemente - li ho chiamati. Nonostante la loro
innata inclinazione all'obbedienza, a molti di loro, per una certa capricciosità della natura, che
non è negata nemmeno a una mucca, piace immaginare d'essere degli uomini d'avanguardia, dei ‹distruttori›,
e proclamare il ‹nuovo verbo›, e ciò in perfetta buonafede. Per contro, molto sovente essi
stessi non si accorgono degli uomini nuovi, e perfino li disprezzano, considerandoli dei retrogradi,
dei tipi che ragionano in maniera bassa. Tuttavia, secondo me, qui non si corre nessun particolare
pericolo, e probabilmente non avete nulla di cui preoccuparvi, perché costoro non si spingono
mai lontano. Per queste loro infatuazioni, certo, gli si può dare un paio di sculacciate di tanto in
tanto per tenerli al loro posto, ma niente di più; e non c'è nemmeno bisogno di un esecutore: essi si
sculacciano da soli, perché sono di ottima indole; alcuni si rendono questo servizio a vicenda, altri
si sculacciano con le proprie mani... infliggendosi penitenze pubbliche di varia specie; cosa
assai bella a vedersi e anche edificante... Insomma, non avete proprio di che preoccuparvi... una regola.»
«Be', per lo meno da questo lato
mi avete abbastanza tranquillizzato. Però c'è un altro guaio: ditemi, per favore questi
individui che hanno il diritto di tagliare la testa agli altri, questi uomini ‹straordinari›, sono numerosi?
Io, certo, sono disposto a inchinarmi davanti a loro, ma dovete
ammettere che sarebbe allarmante
se fossero molto numerosi, non vi pare?» «Oh, non dovete preoccuparvi nemmeno
di questo,» seguitò Raskòlnikov nello stesso tono.
«In generale, di individui che
pensino in modo nuovo, anzi che siano appena appena capaci di dire qualcosa di nuovo, ne
nascono pochissimi, non so per quale strana ragione. Di sicuro c'è solo che le proporzioni secondo le quali
vengono procreati gli individui di tutte queste categorie e suddivisioni, devono essere stabilite con
grande precisione e sicurezza da qualche legge della natura. Oggi come oggi questa legge, naturalmente,
è sconosciuta, ma sono certo che esiste e che in seguito, forse, verremo a conoscerla. L'enorme
massa degli uomini il ‹materiale›, esiste esclusivamente per riuscire alla fine, mediante
qualche sforzo, qualche processo ancora misterioso, tramite qualche incrocio di specie e di razze, a
mettere finalmente al mondo un uomo - uno solo su mille, magari - dotato di uno spirito
indipendente. Mentre di uomini dotati di uno spirito indipendente in grado ancor più elevato ne nascono
forse, uno su diecimila (parlo per approssimazione, si capisce). E in grado più elevato ancora, uno su
centomila... Di uomini geniali, poi, ce n'è uno su tanti milioni; e di grandi
geni, che sono il coronamento dell'umanità, ne nasce forse uno dopo che molte
migliaia di milioni di uomini sono passati
sulla terra. Insomma, nella grande matrice in cui tutto ciò avviene, io non ci ho guardato; ma c'è
senz'altro una legge precisa; deve esserci; non può esser questione di semplice caso.»
«Ma voi due, forse, state
scherzando?» intervenne finalmente Razumìchin. «Vi state facendo beffe l'uno dell'altro,
oppure...? Ecco: se ne stanno lì seduti, e si prendono in giro a vicenda! O
tu...parli sul serio, Ròdja?»
Raskòlnikov levò in silenzio su
di lui il suo volto pallido e quasi triste, e non rispose nulla. E fece una strana impressione a
Razumìchin, accanto a quel viso calmo e malinconico, la causticità palese, insistente, irritante e
scortese di Porfìrij. «Be', mio caro, se parli sul serio, allora... Tu hai
certo ragione dicendo che non sono novità, e che somigliano a cose che
abbiamo letto e udito mille volte; ma di originale in tutto questo-e in effetti, con mio grande terrore,
sei tu solo a farlo-è che tu risolvi secondo coscienza la questione del sangue, e per di più, scusami,
sostieni tutto ciò con un certo fanatismo... E così, è questa l'idea fondamentale del tuo articolo?
Questo risolvere secondo coscienza la questione del sangue è, secondo me, più terribile di
un'autorizzazione ufficiale, legale, a versare il sangue...»
«Sì, giustissimo: più terribile,»
fece eco Porfìrij.
«No, tu ti sei lasciato andare!
Ci dev'essere un errore. Leggerò l'articolo... Ti sei lasciato trascinare! Non puoi pensarla
così... Bisogna che io legga l'articolo.»
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