domenica 22 gennaio 2017

BUDDHISMO HINAYANA (हीनयान)





Le quattro nobili verità

ARYA – SATYA


PRIMA VERITA’

L’esistenza è disagio o dolore (Duh – kha[1])

Occorre essere consapevoli del disagio:

la nascita è dolore

la vecchiaia è dolore

l’infermità è dolore

la morte è dolore

l’unione con ciò che è caro (samara – yoga) è dolore
                                                                              
la separazione da ciò che è caro (vipra – yoga) è dolore

il non ottenere ciò che si desidera è dolore

i cinque aggregati (skhanda) che rappresentano la base dell’attaccamento all’esistenza sono dolore (samskara duhkha)[2].



II NOBILE VERITA’

L’origine del dolore dukkhasamudaya

La causa delle diverse forme di duhkha è la sete (trsna) che trascina l’individuo nella ricerca della propria gratificazione, facendogli perseguire scopi egoistici. La sete (trsna) non appagata frustra l’individuo. Essa è un’urgenza vitale che trascina con cieco dinamismo in continui spostamenti  in cerca di “gratificazioni or qui or là” (tatra tatrabhinandinr)  La Trsna è una sete insaziabile che si traduce:

- in desiderio/brama               kama/tanha (brama per il godimento degli oggetti)
- esistenza                               bhava: ovvero l’autoperpetuarsi  dell’individuo e del suo esperire con il ciclo delle rinascite (brama per l‘esistenza);
- cupio dissolvi                        vibhana (brama per la non esistenza, desiderio di chi è soggetto a gravi sofferenze)

III NOBILE VERITA’

La verità della cessazione del dolore dukkhanirodha

Se la trsna è la causa del duhkha occorre bloccarla attraverso:

- rinuncia                                            (tyaga)
- completa estromissione                    (pratini sarga)
- scioglimento/lasciar cadere              (mukti)
- non dimora negli oggetti                 (analaya)

IV NOBILE VERITA'

È l’iter attraverso cui si blocca il disagio (duhkha –nirodha –gamini – pratipad)

Attraverso l’ottuplice sentiero è possibile liberarsi dalla sete

L’ottuplice sentiero (Arya stangi kamarga)

I tappa: la veduta appropriata (samyag drsti)

Occorre guardare la realtà in modo appropriato attraverso la riflessione sulle 4 nobili verità, superando le vedute (drsti) erronee che producono attaccamento e quindi duhkha.

Quando si consegue la veduta appropriata (drsti – prapta)  ma si muore prima di essersi liberati dalle attitudini mentali negative, si è comunque arrivati allo stato di srota – panna ovvero si è giunti nella corrente del dharma che lo porterà a raggiungere il nirvana, pur dovendo rinascere sette volte.

II tappa: la decisione appropriata (samya ksamkalpa)

E’ la ferma risoluzione di abbandonare il ciclo delle rinascite attraverso il voto solenne di astenersi in futuro da:
- avidità desiderio                                          lobha[3]
- malevolenza                                                 dvesa[4]
- offuscamento intellettuale/ignoranza          moha[5]
- arrecare nocumento ad alcun essere

Lo srota panna che è giunto a porre in essere in modo soddisfacente rinascerà una sola volta prima di attingere il Nirvana.

III tappa: La parola appropriata: samyag vac

Occorre:
- astenersi dal dire il falso per il vantaggio proprio o altrui;
- astenersi dal seminare discordia;
- astenersi dal rivolgersi ad altri in tono aggressivo o scortese;
- astenersi dall’intrattenersi in argomenti insulsi o futili.

IV tappa: l’azione appropriata: samiakkarman

- non compiere uccisione o violenza (ahimsa - occorre altresì astenersi ad essere mandanti di un omicidio, istigare al suicidio, procurare aborto)
- non prendere o non appropriarsi di ciò che non è dato o donato;
- astenersi da illecite forme di appagamento sessuale, guardando alle donne non qualificate per il rapporto come madri, sorelle e figlie.

Per i laici (upasaka[6]) è stato dettato il “Tesoro della condotta” (Siladhana):
- divieto di menzogna[7];
- divieto uso alcool o droghe capaci di intaccare l’attenzione;
- non mangiare in eccesso o fuori dai pasti;
- non indulgere a danza, musica, e spettacoli né presenziarvi;
- evitare l’uso di ornamenti, unguenti e morbidi giacigli e comodità in genere
Le regole per i laici si trovano anche dettate nel Dhammika-sutta[8] ed è chiamato at tangi ka - uposatha[9] (ordinanza) l’ottuplice astinenza.

V tappa: i mezzi di sussistenza appropriati (samyag ajiva)

- divieto di esercitare commerci nocivi
- divieto di usura;
- divieto di predizione del futuro
- divieto di illusionismo e altre attività basate sull’inganno;

VI tappa: sforzo appropriato (samyag vyayama)

- evitare l’insorgere di vizi non sorti;
- abbandonare vizi già sorti;
- propiziare il sorgere di virtù non ancora sorte;
- coltivare quelle già sorte;

VII tappa: attenzione appropriata (samyak smrti

L’asceta deve soffermarsi con lucido distacco su:
- eventi corporei;
- sensazioni passive;
- eventi mentali[10];
- caratteristiche delle entità in genere (i dharma laksana: impermanenza, assenza di atman e di duhkha, e vacuità)

Ciò si realizza attraverso 4 stadi meditativi (dhyana) di coscienza. Prima di procedere alla meditazione occorre lottare contro i cinque fattori d’impedimento (i nirvarana) che distraggono l’attenzione.  I nirvarana sono:
- il desiderio/fantasticheria (Kama chandas) orientato verso le 5 forme di piacere sensoriale (tale nirvarana è paragonato al debito che tormenta il debitore);
                                               - la malevolenza (vyappada) verso oggetti e persone;
                                               - la pigrizia/torpore che imprigiona il meditante;
- l’eccitazione (uddhatva) , il senso di colpa (auddhatya), l’orgoglio (mana);
- il dubbio verso il Buddha ed il suo Dharma, dei suoi discepoli e della prassi dettata dalla loro autorità.

Sconfitti i nirvarana si può penetrare negli stati meditativi:

                                   I stadio (dhyana):  il mediatante vi penetra con una iniziale concentrazione di saluto/omaggio verso un oggetto prescelto concreto o astratto (vitakra): Si esercita sull’oggetto un’attenzione che è tuttavia accompagnata  da associazioni verbali e disturbata da un intenso andirivieni mentale (vicara). In tale fase il meditante combattendo e superando i nirvarana prova la c.d. priti ovvero il diletto per il concentrarsi su un oggetto. Il meditante prova anche la sukha (“il bel agio”) derivante dalla calma e dalla lucidità della concentrazione”
                                   II stadio (dhyana): Il nobile silenzio. Vi si accede attraverso l’interruzione del vitakra (la concentrazione su un oggetto concreto) e del vicara (l’andirivieni mentale). Tale interruzione si realizza con la considerazione che tali processi presentano difetti intrinseci. Restano ferme la priti e la sukha derivanti dalla concentrazione, ma si aggiunge l’incentramento dell’attenzione  su un solo punto la Ekagrata e si avverte una crescente intima serenità (adhiatma samprasadana) derivante dalla fiducia nel successo della pratica.
                                   III stadio (dhyana): vi si accede rinunciando alla priti (il diletto per il concentrarsi) ritenuto ormai imperfetto. Restano:
-  il sukha (il bel agio) derivante ora dalla upeksa (sguardo distaccato) e dall’attenzione/memoria (smrti)
- la ekagrata (incentramento dell’attenzione su di un solo punto).
Si aggiunge il samprajnana vale a dire la “perfetta consapevolezza dell’oggetto”, ormai strappato alle griglie del pensiero e linguaggio e finalmente esperito nella sua nuda peculiarità. 
                                   IV stadio (dhyana): vi si accede rinunciando al sukha (bel agio ) ormai associato alla duhkha. Occorre fare cadere ogni rilassamento mentale (collegato al sukha detto saumanasya) ed ogni tensione mentale (daurmanasya) e superare il flusso di stati di coscienza eterogenei e discontinui che costituiscono il sottofondo della psiche. Ciò è possibile solo attraverso un prolungato atto di presa di coscienza (che ha ancora come contenuto l’oggetto meditato) che porta da solo allo sbocciare del quarto dhyana. Nel quarto dhyana restano:

- upeksa (sguardo distaccato)
- smrti (memoria/attenzione)
- ekagrata (incentramento dell’attenzione su di un solo punto)

Si aggiunge la parisuddhi (senso di purezza tutto intorno descritto come la sensazione che si prova dall’essere completamente avviluppati sa una pezza di tessuto candido senza la benché minima macchia).

Uscita dal IV Dhyana la mente è capace di attenzione lucida ed è insieme perfettamente distaccata. Attraverso la ripetuta immersione del quarto dhyana la mente può giungere alle sei forme di super conoscenza le abhijna.

                        I abhijna: è l’accesso alle 8 facoltà paranormali (siddhil):
                                               1) bi – poli – locazione
                                               2) l’invisibilità;
                                               3) il passaggio attraverso i muri
4) lo sprofondare nella terra e l’emergerne come se si trattasse di acqua
                                               5) il camminare sull’acqua;
                                               6) la levitazione;
7) l’estendere il proprio corpo sino a toccare il sole e la luna
8) il trasferimento istantaneo in altri luoghi sino al mondo di brahama

II abhijna: conferisce la chiaroaudizione costituita dall’orecchio divino (divyasrotas) che permette di udire simultaneamente o isolatamente i suoni o le parole vicini e lontani di tutti gli esseri, dei inclusi.
III abhijna:permette l’accesso agli altrui pensieri;
IV abhijna: dona l’accesso ai ricordi delle vite precedenti,
V abhijna: dona la chiaroveggenza l’occhio divino (divyacaksus)
VI abhijna: è la comprensione liberatrice (Bodhi): è la conoscenza del disseccamento/esaurimento degli asrava (asravaksayajnana).

VIII tappa: concentrazione appropriata (samyak-samadhi)[11].

Raggiunto l’ultimo stadio della meditazione l’individuo si è reso conto dei difetti inerenti il supporto esteriore della meditazione. A questo punto il meditante può raggiungere le  quattro samapatti che sono delle ulteriori forme di meditazione basate sull’ulteriore astrazione e distacco dall’esperire anche nelle forme più elevate. Ciascuna samapatti (incontro/completamento della coscienza/conoscenza) permette di cogliere quattro corrispondenti stadi (ayatana) della sfera priva di forme (arupyadhatu).

I Samapatti (stadio dell’infinità dello spazio)

Il meditante deve mettere tra parentesi la coscienza della forma visibile/materiale (rupasamjna) e al contempo non badare alla sua molteplicità (nanatva). Resta così nell’orizzonte della coscienza solo la sostanza sottile indifferenziata dello spazio (akasa) occupato dal supporto-oggetto della meditazione che viene percepito come infinito (ananta). Viene così attinto lo stadio dell’infinità dello spazio (Akasa –nantya -yatana).

II Samapatti (stadio dell’infinità della consapevolezza)

Presa coscienza anche dell’imperfezione dello spazio ora occupato dall’oggetto il meditante fa astrazione anche dall’Akasa (la sostanza sottile indifferenziata dello spazio) ed esercita una attenzione indivisa solo sulla propria conoscenza riflessa ad esso corrispondente (vjnana) che comunque rimane una forma estremamente rarefatta di akasa. E’ questo lo stadio dell’Infinità della consapevolezza (vijnana–nantya –yatana).

III Samapatti (stadio del non v’è alcunché)

Anche questa infinità spaziale legata come è alla esteriorità, è riconosciuta come un difetto. Ciò spinge il meditante a prescindere dalla stessa consapevolezza infinita ricorrendo ad opportuni espedienti come il rappresentarsene l’attuale assenza (abhava), ovvero il riassorbirla nella vacuità (sunyata) mentalmente evocata al suo posto o ancora lo scartarla come una “forma a parte” (vivik – takara).

Sorpassata la consapevolezza si accede ad una attenzione ormai priva i oggetto: lo “stato del non v’è alcunché” (akim – canya – yatana).

IV Samapatti (stadio né al tutto esperienza né inesperienza)

Ma anche questo nulla è comunque investito da una   forma di esperienza riflessa. Occorre che il sapere di essere consapevole di alcunché venga anch’esso meno. Ciò si ottiene sprofondando l’oggetto nulla nuda quiete, in cui l’attenzione dimora solo allo stato seminale, senza più cogliere contenuti di sorta. Questo è lo  stadio definito con una doppia negazione “né al tutto esperienza né inesperienza” (naiva - sam – ynana - samy – nayatana), il culmine della pratica. 

Il Nirvana

Per raggiungere il nirvana è necessario distruggere completamente gli asrava evento che si accompagna alla comprensione delle quattro nobili verità. In tale caso si ha la vimoksa o vimukti ossia la completa liberazione dal ciclo delle rinascite.

Il nirvana è letteralmente “l’assenza di vento” che accresce il fuoco dei  desideri. Il fuoco dei desideri è spento dal soffio impetuoso del vento purificatore (vatavega). Ecco come è descritto:
           
“Come una volta estinta per la potenza del vento la fiamma è andata a casa, né è più nominabile/descrivibile, così il silenzioso una volta liberato da tutto, nome e forma, va a casa né più è nominabile”

L’andare a casa non è semplice scomparsa. È il ritorno ad uno stato sottile, latente. Si richiamano i paralleli indù del dio Agni che ritorna allo stato latente inteso come ritorno alla vulva (la yoni) rappresentata dalle bacchette da sfregare per generare il fuoco e quindi per riattualizzarlo. La mente (citta) è ridotta  all’immobile stato  e quieto stato seminale. E’ la fiamma che ristà in assenza di vento/aria.

“V’è oh bhiksu quell’ayatana ove non sono
Né terra né acqua
Né igneo fulgore né vento
Né stadio dell’infinità dello spazio, né stadio dell’infinità della consapevolezza
Né stadio del non v’è alcunché, né stadio ove non si dà né al tutto esperienza né inesperienza
Né questo mondo né l’altro mondo
Né la coppia di Luna e sole.
Questo io oh Bhiksu
Né invero venuta dico, né andata
Nè perdurare né venir meno né venir in essere
Non fondato, non messo in moto
Senza inizio invero è quello.
Esso solo è la fine del dunkha
V’è o bhiksu
Un non nato, non venuto in essere non fatto non composto.
Ove non vi fosse Quello oh Bhiksu, ove non vi fossero un non nato, non venuto in essere , non fatto, non composto, invero da questo nato venuto in essere, fatto, composto non vi sarebbe uscita.”





[1] Duh Kha : Dus: asse che gira male; Kha (cavo posto al centro della ruota. Asse che gira male entro il cavo posto al centro della ruota. VIPA RINAMA DUHKHA: Ogni piacere o cosa per quanto positivo è viziato dalla consapevolezza del suo degenerarsi e disfarsi nell’attimo stesso in cui si fruisce. Ne discende che  l’affermazione “la morte è disagio” si riferisce anche alla “morte continua dell’attimo” detta ksani – kamarana , ogni cosa è transitoria.


[2]   Si tratta del disagio immanente alla stessa struttura composita dell’essere che spinge l’uomo a identificarsi con gli elementi oggetto della percezione.

“Allora, Bahiya, tu devi esercitarti: in ciò che vedi ci deve essere solo ciò che da te è stato visto, in ciò che odi solo ciò che è stato da te udito, in ciò che pensi solo ciò che è stato pensato, in ciò che conosci solo ciò che è stato conosciuto”

La percezione è suddivisa in cinque serie di fenomeni o aggregati (skhanda) e tali aggregati costituiscono altresì la transuente personalità umana sulla terra:
 - I aggregato: rupa skhanda: la forma. E’ l’aggregato delle forme visibili. Abbraccia il corpo con i suoi cinque sensi  e i loro rispettivi oggetti;
- II aggregato: vedana skhanda: sensazione. E’l’aggregato delle sensazioni: comprende i cinque impulsi sensoriali  passivi prodotti dal contatto tra i sensi e gli oggetti;
- III aggregato: samijna skhanda: ideazione. E’ l’aggregato delle coscienze sensoriali: ogni coscienza sensoriale coglie il carattere specifico della sensazione corrispondente.
- IV aggregato: samskara skhanda: tendenze innate. E’ l’aggregato delle latenze, ovvero dei residui delle nascite precedenti che determinano l’insieme delle tendenze innate nella presente esistenza dell’individuo;
- V aggregato: vijnana skhanda: stato di coscienza. E’ l’aggregato delle conoscenze che combina le cinque coscienze riflesse risultante dai cinque processi sensoriali, con l’aggiunta di quello mentale (il manovijnana) che funge da sensorium comune coordinante gli altri  
[3] Ivuttaka, I capitolo: n. 1

“Qualunque sia la brama per cui si desidera
gli esseri vanno alla perdizione.
Questa brama una volta rettamente conosciuta (samyag ajnaya)
Rigettano coloro che hanno l’intima visione
Una volta che l’abbiano respinta non ritornano più in questo mondo”

La Samyag Ajnaya della brama consiste nella penetrazione dell’essenza della brama. Occorre cioè comprendere che la brama è un mero processo dinamico del tutto distinto da noi. L’errore sorge quando noi ci confondiamo con la stessa e con i suoi oggetti.

[4] Ivuttaka, I capitolo n. 2

“Qualunque sia l’avversione per cui si sono corrotti
gli esseri vanno alla perdizione.
Questa avversione una volta rettamente conosciuta (samyag ajnaya)
Rigettano coloro che hanno l’intima visione
Una volta che l’abbiano respinta non ritornano più in questo mondo”

[5] Ivuttaka, I capitolo n. 3

“Qualunque sia l’offuscamento per cui sono ottusi
gli esseri vanno alla perdizione.
Questo offuscamento  una volta rettamente conosciuto (samyag ajnaya)
Rigettano coloro che hanno l’intima visione
Una volta che l’abbiano respinto non ritornano più in questo mondo”

[6] I laici padri di famiglia sono detti anche Savana (in Pali) Sravaka (in sanscrito): auditore laico.
[7] Itivuttaka, Cap. III n. 5 par. 25
“Monaci, io dico che non vi può essere cattiva azione che non possa venir compita dall’uomo, dall’essere umano che abbia trasgredito una sola cosa. E qual’è questa cosa? O monaci questa cosa è proferire coscientemente delle menzogne.

Da chi ha trasgredito in una sola cosa ,
dall’essere vivente che ha detto la menzogna
che non ha riguardo per l’altro mondo
non v’è peccato che non si possa compiere”

[8] Sempre per i laici:

 Suttanipata, cap. II Culavagga, par. 14 Dhammika-sutta

18 “Vi narro anche come un capo di casa deve operare
Come un savana deve agire restando un buon discepolo
Poiché il perfetto Dramma del Bhikkhu non può essere assolto
Da chi è afferrato dall’occupazione (mondana)
Non uccida gli esseri viventi, né lo f accia uccidere
E nemmeno approvi che alcuni uccidano altri
Essendosi frenato dal danneggiare tutte le creature
Sia quelle che son forti sia quelle che tremano nel mondo
Indi si astenga il savana dal prendere qualunque cosa in qualunque luogo
Che no gli sia data allorché sappia che ad altri appartiene
Né faccia che altri prenda né approvi che costoro se ne impossessino
E si tenga lontano da tutto ciò che non è dato
Si astenga il saggio da vita non casta
Come si evita un mucchio di carboni ardenti
Se non è capace di essere casto
Non trasgredisca il dramma con la moglie di altri

Andato che sia nell’aula di giustizia o all’assemblea
Non parli di alcuno proferendo menzogna
Né faccia parlare né coloro che così parlano approvi
Eviti egli ogni sorta di menzogna
Non abbia uso a bevande inebrianti
Il signore di casa che approvi il dhamma
Non faccia ubriacare gli altri né approvi coloro che sono ebbri
Poiché sa che tutto finisce in follia
Nell’ebbrezza gli stolti commettono i peccati
Ed altra gente fanno pure uscire di senno
Eviti egli questa sede di peccato
Questa follia gradita solo agli stolti.
Non uccida essere vivente non prenda ciò che non gli è dato
Non dica menzogne non beva bevande inebrianti
Eviti incontri non casti
E non mangi di notte cibo fuori tempo
Non si orni di collane né usi profumi
Si giaccia su un giaciglio steso per terra
Questa chiamano l’ottuplice astinenza (attangika-uposatha)
Proclamata dal Buddha che ha sormontato il male.
Quindi avendo osservato l’astinenza
Nei giorni 14°, 15° e 8° del mese lunare
Ed avendo mantenuta con mente devota il completo patihariya-pakka
Consistente in otto parti tutto completo.
Il mattino, dopo avere osservato l’astinenza
Un saggio uomo dalla mente devota
Rallegrando l’assemblea dei bhikkhu con cibi e bevande
Compia la distribuzione secondo le possibilità sue
Rettamente egli mantenga la madre ed il padre
Ed eserciti un commercio onorevole
Il signore di casa che bene attento osservi questa disciplina
Andrà presso gli dei noti come Sayampabha (da sé risplendenti)



[9] In sanscrito upavasatha
[10] Itivuttaka, capitolo II n. 6 par.16:
“Monaci per il monaco che è ancora discepolo che non è giunto alla padronanza della mente che però aspira alla pace suprema libera da ogni vincolo (in pali anuttaram Yogakkhemam) e che in quella si dimora, avendo fatto di questo un elemento proprio di sé, io non vedo alcun altro fattore così giovevole quanto il praticare una costante reale attenzione ai moti della mente (Yoniso mansikaro). Monaci il monaco che presta tale costante reale attenzione alla mente abbandona ciò che non è giovevole e permette a ciò che è giovevole di svilupparsi.
La reale attenzione della mente
E’ l’elemento per il monaco che apprende
Rispetto al quale non vi è altro più utile
Per conquistare la sublime meta.
Il monaco che si adoperi seriamente
 Consegue l’annichilirsi del dolore”
[11] La samadhi è un termine mutuato dallo yoga e designa letteralmente il “com-porsi” dell’attenzione accentrata in direzione di chi parla a partire da una periferia lontana, dove essa vagava dispersa.

Nessun commento:

Posta un commento