giovedì 16 marzo 2017

Il mito di Arianna




Arianna a Nasso, Evelyn De Morgan, 1877, The De Morgan Foundation, Compton, UK 

da Catullo



Osserva Teseo che fugge con la veloce flotta, 

(ma lei) serbando in cuore furori indomabili, 

e nemmeno crede di vedere più quanto vede, 

lei che appena svegliata dal sonno fallace si vede abbandonata, 

infelice sulla sabbia deserta. 

Ma il giovane immemore fuggendo sospinge il mare coi remi, 

lasciando le vane promesse alla ventosa tempesta. 

Lontano tra le alghe con tristi occhietti la minoide, 

come una statua di sasso di baccante,

guarda, ahimè, guarda 

e vacilla tra le grandi onde degli affanni, 

non trattenendo sulla bionda testa la raffinata mitria, 

non proteggendo di leggero velo il petto velato, 

non legando di tornita benda le mammelle poppanti, 

tutto quanto era scivolato da tutto il corpo qua e là davanti ai suoi piedi, 

(tutto) sfioravano i flutti del mare. 





Angelika Kauffmann, 1782


Angelika Kauffmann 1774. Museum of Fine Arts, Houston








Ma noncurante più del destino della mitria né del velo volteggiante 


ella dipendeva tutta da te, Teseo, con tutto il cuore, con tutto l'animo, perdutamente. 


L'Ericina (Venere) con quanti dolori la estraniò 


seminando nel petto spinosi affanni, in quell'occasione, 


dal momento in cui Teseo uscito dai curvi lidi del Pireo


toccò i templi gortini del re senza legge. 


Tramandano infatti che un tempo che la (terra) cecropia 


costretta da crudele disgrazia pagava le colpe della strage di Androgeone 


ed era solita dare in pasto al Minotauro giovani scelti 


ed insieme il fiore delle ragazze. 


Essendo le piccole mura vessate da tali mali, 


lo stesso Teseo preferì esporre la sua vita per la cara Atene piuttosto tali esequie, 


esequie della Cecropia, fossero portate a Creta.



Ariadne on the isle of  Naxos -  Edward Reginald Frampton - 1904 - Maas Gallery - Londra



Così servendosi d'una leggera nave e di venti miti 


venne dal magnanimo Minosse ed ai palazzi superbi, 


ma nello stesso tempo lo osservò con occhio bramoso 


la regale vergine, che il casto lettuccio della madre 


spirando soavi odori nutriva inmorbido abbraccio.





Herbert James Draper, 1905



Come i fiumi d'Eurota proteggono i mirti


o l'aria primaverile cresce svariati colori,


non abbassò da lui gli occhi ardenti


prima che profondamente con tutto il corpo prendesse fuoco 


e bruciasse tutta nel profondo delle viscere. 


Ahimè, miseramente agitando i furori nel cuore impazzito, 


sacro fanciullo, che mescoli gioie agli affanni degli uomini, 


e tu che governi i Golgi e l'Idalio frondoso,


su quei flutti gettaste una fanciulla accesa nel cuore, 


sempre sospirante sull'ospite biondo! 


Quante paure soffri lei nel languido cuore! 


Quanto spesso impallidì più dello splendore dell'oro, 


quando Teseo desiderando sfidare il crudele mostro 





o affrontava la morte o i premi dell'onore!



John William Waterhouse 1898





Tuttavia promettendo invano non ingrate offertucce agli dei 


fece voti col tacito labbruccio. 


Ma come sulla sommità del Tauro un turbine invincibile 


contorcendone il vigore col soffio sradica una quercia 


che scuote le braccia o un pino portatore di coni dalla corteccia sudante, 


(ella sconvolta dalle radici cade prona lontano, 


rompendo qualunque cosa che incontra per vasto tratto,) 


così Teseo atterrò la belva, domatone il corpo, 


che invano sbatteva le corna ai vani venti. 





Teseo e il Minotauro(1826) Étienne-Jules Ramey, Giardino delle Tuileries, Parigi 


Poi salvo con grande onore rigirò il piede guidando 


sol filo sottile le orme errabonde, 


perché il vagare inestricabile non lo ingannasse 



mentre usciva dai meandri labirintici del palazzo. 




Pelagio Pelagi, Arianna dà a Teseo il filo per uscire dal labirinto, 1814.



Ma perché io dovrei ricordare, uscito dall'inizio del canto, 


come la figlia lasciando il volto del genitore, 


l'abbraccio della sorella, ed infine della madre, 


che, misera, contenta per la figlia, perduta, 


preferì a tutti questi il dolce amore di Teseo: 


o come portata da zattera fino agli spumosi lidi di Dia 


o come il coniuge partendo con cuore immemore lasciò lei vinta negli occhi dal sonno? 


Spesso, raccontano, lei impazzendo nel cuore ardente 


espresse dal profondo del petto espressioni dal forte suono, 


e poi triste scalava monti scoscesi, 


donde tendesse lo sguardo sulle vaste correnti del mare, 


e correre contro le nemiche onde del tremulo mare 


alzando i morbidi veli del ginocchio denudato, 


e mesta pronunciò queste cose con estremi lamenti, 


scuotendo con l'umida bocca freddi singulti: 


"Così dunque toltami, perfido, dagli altari paterni, 


perfido, mi lasciasti sul lido deserto, Teseo? 


Così dunque partendo, disprezzata la volontà degli dei, immemore, ah! 


Porti in patria spergiuri maledetti? 


Nessuna cosa potè piegare la volontà della mente crudele? 


Nessuna clemenza ti fu d'aiuto, che volesse compassionare il crudele petto di noi? 







Alessandro Varotari, il Padovanino, Arianna a Nasso, XVII sec.




Ma un tempo non mi desti queste promesse con blanda voce, 


non invitavi a sperar questo alla misera, 


ma piacevoli nozze, ma ottimi imenei, 


tutto questo gli aerei venti lo disperdono vano. 


Ora nessuna donna creda più ad un uomo che giura, 


Nessuna speri che i discorsi dell'uomo siano leali; 


Ad essi mentre il cuore bramoso desidera ottenere qualcosa 


non temono di giurare nulla, nulla evitano di promettere: 


ma appena la voglia del bramoso istinto fu saziata, 


per nulla curano di temere le parole, per nulla gli spergiuri. 


Certo io ti strappai quando ti trovavi al centro di una bufera morte, 


e decisi di perdere un fratello piuttosto, 


che mancare a te falso nel rischio estremo.





John Vanderlyn, Ariadne Asleep on the Island of Naxos, 1809-14, Pennsylvania Academy of the Fine Arts




Per questo mi darò da sbranare alle fiere e preda agli uccelli, 


né morta sarò coperta da terra gettatami. 


Quale leonessa mai ti generò sotto deserta rupe, 


quale mare ti sputò generato da spumanti onde, 


quale Sirti, quale Scilla avida, quale vasta Cariddi, 


tu che ridoni tali premi al posto della dolce vita? 



Mosaico della saga di Arianna e Teseo. Da Loigersfelder (Salzburg), IV secolo


Se non ti stavano a cuore le nostre nozze, 


perché odiavi i crudeli ordini dell'antico padre, 


tuttavia avresti potuto condurmi alle vostre dimore, 


che ti servissi da schiava con piacevole fatica, 


accarezzando la candidi orme con limpide acque, 


o coprendo il tuo letto di purpurea coperta. 


Ma di che mi lamento invano con l'aure ignare, 


straniata dal male, che aiutate da nessuna sensibilità 


non posson né ascoltare né rispondere parole? 


Egli però si trova quasi in mezzo alle onde, 


e nessun mortale appare tra le deserte alghe. 


Così la crudele sorte calpestando(mi) troppo 


nel momento estremo impedisce ad orecchie i nostri lamenti. 


Giove onnipotente, ah, se dal primo istante 


le poppe cecropie non avessero toccato i lidi di Cnosso, 


e portando terribili paghe all'indomito toro, 


il perfido navigante non avesse legato la fune a Creta, 


e qui il malvagio ospite, celando sotto il dolce aspetto piani crudeli, 


non avesse riposato nei nostri palazzi! 


Cecco Mariniello, Arianna a Nasso



Dove mi porterò? Distrutta, su quale speranza mi appoggio? 


Andrò sui monti idei? Ma l'acqua furiosa del mare 


con ampio gorgo, separando, (ci) divide. 


O sperare l'aiuto del padre? Io stessa lo lasciai, 


seguendo un giovane macchiato da sangue fraterno? 


O consolarmi proprio col leale amore d'un marito? 


Che però fugge incurvando i pieghevoli remi sull'onda? 


Inoltre l'isola deserta non è abitata da nessuna casa, 


non s'apre una uscita, cingendo(la) le onde del mare. 


Nessun piano di fuga, nessuna speranza: 


tutto muto, tutto è deserto, tutto dichiara morte. 


Tuttavia gli occhi non mi languiranno di morte prima, 


né i sensi si staccheranno dal corpo stanco prima, che, 


tradita, chieda agli dei una giusta pena 


e preghi la lealtà dei celesti nell'ora estrema. 



Arianna, Musei Vaticani

Perciò castigando le azioni degli uomini con pena vendicatrice, 


(voi) Eumenidi, la cui fronte cinta di capelli serpentina 


porta le ire del cuore che freme, qui qui venite, 


udite i mei lamenti, 


che io , ahi misera, sono costretta a gridare dal profondo delle viscere, 


povera, ardente, cieca di pazzo furore. 


Ma poichè essi (lamenti) nascono veri dal fondo del cuore, 


Voi non vogliate permettere che il nostro lutto svanisca, 


ma con quel sentimento ( con cui) Teseo mi lasciò sola, 


con tale sentimento, o dee, funesti se ed i suoi." 


Dopo che con mesto petto espresse queste parole, 


ansiosa esigendo una pena per i fatti crudeli il signore dei celesti 


dalla invincibile volontà annuì, al suo cenno tremarono la terra ed i terribili 





mari ed il mondo scosse le stelle lucenti. 







George Frederic Watts, 1894 




Lo stesso Teseo avvolto la mente da cieca nebbia 


dal cuore dimentico lasciò perdere tutto, 


quanto prima teneva con mente costante, 


né alzando i dolci segnali per il mesto genitore 


salvo si recò a visitare il porto Eretteo. 


Raccontano che una volta, mentre Egeo affidava ai venti 


il figlio che lasciava le mura della dea, 


abbracciatolo consegnò al giovane tali ordini: 


"Figlio unico per me più bello di una lunga vita, 


figlio, io che son costretto ad abbandonarti 


ad eventi incerti, restituite nella estrema fine tra poco alla mia vecchiaia, 


dal momento che la sorte ed il tuo fervido coraggio ti strappa a me contrario, 


i cui languidi occhi non ancora sono sazi della cara figura del figlio,


non io gioioso ti manderò con cuore festante, 


né ti permetterò di portare le insegne della buona fortuna, 


ma prima esprimerò col cuore i molti lamenti, 


sporcando la canizie di terra e di polvere versata, 


poi appenderò all'errante albero le vele grezze, 


come dirà i nostri lutti ed i fuochi della nostra mente 


la vela oscurata da ruggine iberica. 


Edward Southall (1861-1944), pittore inglese legato al movimento dei "Arts and Craft" ,"Arianna a Nasso" 1925


Che se te lo concederà l'abitatrice della sacra Itone, 


che annuì a difendere la nostra stirpe e le sedi di Eretteo, 


che tu cosparga la destra del sangue del toro,


allora farai sì che ti valgano questi ordini fatti per te in un cuore memore, 


né alcun tempo cancelli; appena gli occhi vedranno le nostre colline, 


le antenne depongano la veste funesta, le funi attorcigliate alzino candide vele, 


perché quanto prima vedendo sappia con lieto cuore le gioie, 


quando il tempo felice ti farà reduce." 


Questi ordini abbandonarono Teseo che prima li teneva 


con mente costante come le nubi cacciate dal soffio dei venti (abbandonarono) 


l'aerea cima del nevoso monte. 


Giorgio De Chirico Arianna 1913


Ma il padre, come cercava l'orizzonte dalla cima della rocca, 


consumando gli ansiosi occhi in continui pianti,


appena osservò le tele della vela grezza, 


si buttò a precipizio dall'alto degli scogli, 


credendo Teseo perduto da crudele destino.


Così il fiero Teseo entrato nei tetti della casa con la funesta morte paterna, 


quel lutto che aveva arrecato alla Minoide con cuore immemore, 


tale lui stesso lo ricevette. 


Ella mesta guardando la nave allontanarsi, 


ferita meditava in cuore molteplici affanni.









Tiziano Arianna e Bacco, 1520-23 National Gallery Londra




Ma da un'altra parte il florido Iacco volteggiava con una schiera di Satiri 


e coi nisigeni Sileni, cercando te, 


Arianna, e spinto dal tuo amore. 


esse allora veloci qua e là furoreggiavano 


con cuore impazzito gridando "Euhoe", piegando le teste "Euhoe". 


Parte di esse squassavano i tirsi dalla punta coperta, 


parte agitavano membra d'un giovenco dilaniato, 


parte si cingevano di attorcigliati serpenti, 


parte celebravano segrete orgie nei cavi cesti, 


orgie che invano desiderano sentire i profani; 


altre battevano i timpani con le lunghe palme, 


o ottenevano dal bronzo lavorato sottili tintinnii; 





a molte i corni soffiavano rochi rimbombi e barbari flauti stridevano di terribile canti.









Sir John Lavery, 1886



dalle Heroides di Ovidio


Arianna a Teseo


La donna che tu, malvagio Teseo, hai abbandonato alle belve vive ancora, e tu vorresti accettare questo fatto con indifferenza? Ho trovato ogni specie di fiera meno spietata di te: non avrei potuto essere affidata a nessuno peggio che a te! Ciò che leggi, Teseo, te lo invio proprio da quella spiaggia da dove le vele hanno portato via la tua nave, senza di me; su questo lido il sonno mi ha perfidamente ingannata e anche tu lo hai fatto, che hai insidiato il mio sonno con una azione malvagia. Era l'ora in cui la terra inizia ad essere coperta da un strato di brina, come di vetro e gli uccelli, al riparo delle fronde, emettono il loro canto lamentoso; non ancora del tutto sveglia, illanguidita dal sonno, sollevandomi appena mossi le mani per toccare Teseo: non c'era nessuno! 



Wyatt Eaton, 1888 Smithsonians Art Museum


Ritraggo le mani e riprovo una seconda volta, e muovo le braccia per tutto il letto: non c'era nessuno. La paura scacciò il sonno; in preda al terrore mi alzo ed il mio corpo si precipita fuori dal letto vuoto. Subito il mio petto risuonò, percosso dalle mani; mi strappai i capelli così com'erano, ingarbugliati dal sonno. C'era la luna; scruto se vedo qualcosa oltre alla spiaggia; ma i miei occhi non riescono a scorgere nulla oltre alla spiaggia. Corro disordinatamente ora qua e ora là, in ogni direzione. La sabbia fonda ostacola il mio passo di fanciulla. Intanto mentre gridavo per tutta la spiaggia "Teseo!", le rocce dalle loro cavità mi rimandavano indietro il tuo nome e quante volte ti chiamavo, altrettante il luogo stesso chiamava; anche il luogo voleva recare aiuto a me sventurata. C'era un monte; sulla sua cima si vedono cespugli isolati; di lì si protende uno scoglio corroso dalle onde fragorose. Vi salgo; la volontà mi dava la forza; e così misuro con lo sguardo per ampio tratto la profonda distesa del mare. Di lì - anche i venti infatti furono crudeli con me - vidi delle vele tese dal soffio impetuoso di Noto. 


John Atkinson Grimshaw 1888

O le vidi o erano tali che credetti di averle viste; rimasi più gelida del ghiaccio e semisvenuta. Ma il dolore non mi permette di rimanere a lungo inerte, mi ridesta, mi ridesta e chiamo Teseo ad altissima voce "Dove scappi?", grido. "Torna indietro, Teseo scellerato! Volgi la nave! Non è al completo!". Così gridavo. Quanto mancava alla voce, lo compensavo col rumore dei colpi al petto; e i colpi si mescolavano alle mie parole. Agitando le mani feci ampi segni perché, se tu non potevi udirmi, mi potessi almeno vedere; applicai poi ad un lungo bastone un candido velo, per richiamare l'attenzione di chi certamente si era dimenticato di me. Ma ormai ti eri sottratto alla mia vista. Allora finalmente piansi: prima le mie morbide guance erano irrigidite per il dolore. Che cosa avrebbero dovuto fare i miei occhi se non piangere sulla mia sorte, dopo aver perso di vista le tue vele? Vagai solitaria con i capelli sciolti come una baccante invasata dal dio ogigio, oppure sedetti come di ghiaccio su di una roccia, guardando fisso il mare e, seduta sulla pietra, anch'io rimasi impietrita. Spesso ritorno al letto che ci aveva accolti entrambi e che non ci avrebbe più offerto accoglienza e tocco - è quello che posso, ora che tu mi manchi - le tue impronte e le coperte che avevano ricevuto il calore del tuo corpo. Piombo sul letto inzuppato dalle lacrime versate e grido: "In due ti abbiamo occupato, facci tornare due! Siamo giunti qui in due, perché non siamo in due ad andarcene? Letto traditore, dov'è la parte più importante di noi due?". 





Pittore di Arianna. Particolare dello stamno con la scena di Teseo che abbandona Arianna (Museum of Fine Arts, Boston)


Cosa fare? Dove andare da sola? L'isola è selvaggia, non vedo segni dell'attività di uomini, né del lavoro di buoi. Il mare circonda la terra da ogni lato; da nessuna parte un marinaio, nessuna nave prossima a passare per queste rotte insidiose. Mettiamo che mi vengano dati compagni e venti e una nave: perché dovrei seguirli? La terra di mio padre mi nega l'accesso. E se io avessi la fortuna di solcare su di una nave il mare tranquillo ed Eolo moderasse i venti, resterò sempre un'esule. Non riuscirò più a vederti, o Creta, costellata da cento città, terra conosciuta da Giove bambino. Mio padre, infatti, e la terra governata con giustizia da mio padre, nomi a me cari sono stati traditi dal mio gesto, quando ti diedi il filo che guidasse i tuoi passi, perché tu, vincitore, non trovassi la morte nel tortuoso palazzo. 


Jean-Baptiste Regnault (1754-1829), Museo delle Belle Arti di Rouen


Allora mi dicevi: "Giuro su questi stessi pericoli, che sarai mia finché entrambi vivremo". Viviamo, e non sono tua, Teseo, se solo è viva una donna, sepolta dall'inganno di un traditore. 



Nicolò Bambini (1651-1736)

Avresti dovuto uccidere anche me, malvagio, con la clava con la quale uccidesti mio fratello! La promessa che mi avevi fatto sarebbe stata sciolta dalla mia morte. Ora io mi raffiguro non soltanto ciò che dovrò soffrire, ma tutto quello che può soffrire una donna abbandonata. Mi si affollano alla mente mille immagini di morte, e la morte è pena minore dell'attesa della morte. Immagino che fra poco arriveranno di qua o di là i lupi a straziarmi le viscere con denti voraci. Questa terra nutre forse anche fulvi leoni? Chi sa mai che quest'isola ... anche tigri feroci? E si dice che il mare getti sulla riva enormi foche. Chi può impedire alle spade di trafiggermi il fianco? Soltanto non mi accada di essere legata come prigioniera da una dura catena e di dover filare con mano di schiava grandi quantità di lana; io ho Minosse come padre, come madre la figlia di Febo e, cosa che ricordo più di tutto, fui legata a te da una promessa. Se guardo il mare, la terra, e la distesa della spiaggia, molti pericoli minaccia la terra, molti il mare. Mi restava il cielo; temo le apparizioni degli dèi; mi sento abbandonata come preda e cibo per le belve voraci. Se degli uomini abitano qui e coltivano la terra, non mi fido di loro; ho imparato sulla mia pelle a temere gli uomini stranieri. Oh se Androgeo fosse ancora in vita, e tu, terra di Cecrope, non avessi espiato le tue azioni scellerate con la morte dei tuoi figli; la tua mano, Teseo, levatasi in alto non avesse ucciso con la clava nodosa l'essere in parte uomo ed in parte toro; e io non ti avessi consegnato il filo che ti indicasse la via del ritorno, quel filo via via raccolto dalle tue mani, che lo tiravano a sé! Non mi meraviglio proprio se la vittoria sta dalla tua parte ed il mostro, abbattuto, coprì la terra di Creta. Un cuore di ferro non poteva essere trafitto dalle sue corna; anche se non ti riparavi, il tuo petto era al sicuro. Tu lì portavi la selce, lì portavi l'acciaio, lì hai Teseo, che vince in durezza le selci. Sonno crudele, perché mi hai tenuta nell'incoscienza? Ma, una volta per tutte, doveva calare su di me il sonno eterno. Anche voi venti crudeli e troppo accondiscendenti e voi soffi pronti a farmi piangere; mano spietata che hai ucciso me e mio fratello e fedeltà, parola vuota, promessa a colei che la chiedeva; il sonno, il vento e la fedeltà congiurarono contro di me: tre cause hanno tradito una sola fanciulla. Così, in punto di morte, non vedrò le lacrime di mia madre né ci sarà chi chiuda con le dita i miei occhi, la mia anima infelice se ne andrà nell'aria verso un mondo sconosciuto e nessuna mano amica cospargerà di unguenti le mie membra esanimi. Gli uccelli marini si poseranno sulle mie ossa insepolte: questa è la sepoltura degna dei miei meriti. Entrerai nel porto di Cecrope, e quando, accolto dalla patria, sarai là in alto onorato dal tuo popolo e racconterai compiutamente l'uccisione del toro-uomo, del palazzo di pietra, attraversato da corridoi insidiosi, racconta anche di me, abbandonata in una terra deserta: io non devo essere sottratta ai tuoi titoli di gloria! Tuo padre non è Egeo, e tu non sei nato da Etra, figlia di Pitteo; ti hanno generato rocce e flutti. Oh, se gli dèi avessero consentito che tu mi scorgessi dall'alto della nave, il mio aspetto dolente ti avrebbe commosso. Guardami bene anche ora, non con gli occhi, ma con l'immaginazione, con cui puoi, mentre me ne sto attaccata ad uno scoglio, battuto dal moto delle onde; guarda i capelli sciolti, segno di dolore, e la tunica appesantita dalle lacrime, come da pioggia! Il mio corpo trema, come le spighe battute dai venti del nord, ed i caratteri, tracciati dalla mia mano tremante, sono incerti. Io non ti supplico in nome dei miei benefici, perché hanno ottenuto un cattivo risultato; nessuna gratitudine mi sia dovuta per il mio operato, ma neppure una punizione. Se non sono io la causa della tua salvezza, non c'è tuttavia ragione perché tu sia per me causa di morte. Queste mani stanche di percuotere il mio petto colmo di mestizia, io, infelice, protendo verso di te al di là del vasto mare; ti mostro, affranta, questi capelli che mi sono rimasti; ti prego, per queste mie lacrime dovute alle tue azioni: volgi la tua nave, Teseo, e torna indietro al mutare del vento; se io sarò morta prima, tu, almeno, raccoglierai le mie ossa.









Arianna abbandonata in Nasso 1510-1515 (Museo di Avignone) 

Da l'Odissea Canto XI vv. 420-425 

"Fedra comparve ancor, Procri, ed Arianna
Che l’amante Teséo rapì da Creta,
E al suol fecondo della sacra Atene
Condur volea. Vane speranze! In Nasso,
Cui cinge un vasto mar, fu da Diana,
Per l’indizio di Bacco, aggiunta, e morta".


Maestro dei Cassoni Campana





Ariadne auf Naxos - 1913 - Lovis Corinth

Da Esiodo, Teogonia



Dioniso, l'iddio Chiomadoro, la bionda Arianna,

la figlia di Minosse prescelse sua florida sposa:

lei da vecchiaia immune poi rese e da morte il Cronide






Maurice Denis - 1907 -
State Museum of New Western Art, Moscow


Dalla Biblioteca di Pseudo Apollodoro:

Libro terzo

…Minosse restò a Creta, dettò le leggi per iscritto, e sposò Pasifae, la figlia diElios e di Perseide. Asclepiade invece sostiene che sua sposa fu Crete, figlia di Asterio. E gli nacquero quattro figli maschi - Catreo, Deucalione, Glauco e Androgeo - e quattro femmine - Acalle, Senodice, Arianna e Fedra. Dalla Ninfa Paria gli nacquero Eurimedonte, Nefalione, Crise e Filolao; da Dessitea, infine, ebbe il figlio Eussantio. Frattanto Asterio era morto senza lasciare discendenti; Minosse si propose come re, ma il trono gli veniva negato. Egli sosteneva che gli Dèi stessi gli avevano affidato il regno, e per provarlo dichiarò che avrebbe avuto da loro tutto ciò di cui li avesse pregati. Così, fece un rito sacro a Poseidone, e pregò che dalle onde del mare apparisse un toro, promettendo che l'avrebbe subito offerto in sacrificio. Ed ecco che Poseidone gli invia un bellissimo toro: Minosse ebbe il regno, ma tenne quel toro fra le sue mandrie, sacrificandone un altro. Ottenuto il dominio sul mare, Minosse si impadronì ben presto di quasi tutte le isole. Poseidone, infuriato perché Minosse non gli aveva sacrificato il toro, lo rese selvaggio, e fece in modo che Pasifae si accendesse di desiderio per questo toro. La donna dunque, innamorata del toro, trovò un alleato in Dedalo, l'architetto, che era stato bandito da Atene per un omicidio. Egli costruì una vacca di legno montata su ruote, con l'interno cavo e ricoperta da una pelle bovina; la collocò nel prato dove il toro era solito pascolare, e Pasifae vi entrò dentro. Quando il toro le si avvicinò, la montò, come fosse una mucca vera. Così la donna partorì Asterio, chiamato Minotauro: e aveva la testa di un toro e il corpo di un uomo. Minosse, seguendo l'indicazione di alcuni oracoli, lo tenne chiuso nel labirinto, una costruzione progettata da Dedalo, che con i suoi meandri aggrovigliati impediva di trovare l'uscita. Del Minotauro, di Androgeo, di Fedra e di Arianna parleremo in seguito, quando racconteremo la storia di Teseo. …..

…. Egeo ritornò ad Atene e celebrò i giochi delle feste Panatenaiche: Androgeo, il figlio di Minosse, risultò sempre vincitore su tutti i partecipanti. Egeo allora lo mandò a catturare il toro di Maratona, ma il giovane restò ucciso. C'è però chi racconta che Androgeo si recò a Tebe per prendere parte ai giochi in onore di Laio, e i suoi avversari, per invidia, gli tesero un agguato e lo uccisero. Quando gli fu portata la notizia della morte del figlio, Minosse stava compiendo un sacrificio in onore delle Cariti, a Paro; si strappò la ghirlanda dalla testa, cacciò i suonatori di flauto, e terminò comunque il sacrificio: per questo anche adesso a Paro il sacrificio alle Cariti viene celebrato senza flauti e senza fiori. Quando, poco più tardi, Minosse ebbe il controllo del mare, con una flotta fece guerra ad Atene; e prese la città di Megara, che era governata da Niso, figlio di Pandione: e uccise Megareo, figlio di Ippomene, che era venuto da Onchesto in aiuto di Niso. Anche Niso morì, per il tradimento di sua figlia. In mezzo alla testa, Niso aveva una ciocca purpurea, e un oracolo aveva rivelato che, se gli fosse stata tagliata, il re sarebbe morto. Sua figlia Scilla si innamorò di Minosse e tagliò la ciocca a suo padre. Ma quando Minosse si fu impadronito della città, legò per i piedi la fanciulla alla prua della nave e la affogò. La guerra ormai si protraeva, e Minosse non riusciva a prendere Atene. Allora pregò Zeus di dargli vendetta sugli Ateniesi. E la città fu devastata dalla carestia e da una pestilenza. Per prima cosa gli Ateniesi, in ossequio a un antico oracolo, sgozzarono sulla tomba del ciclope Geresto le figlie di Giacinto Anteide, Egleide, Litea e Ortea (il padre, Giacinto, era venuto da Sparta, e si era stabilito in Atene). Ma non servì a niente; allora chiesero un altro oracolo per sapere come liberarsi dalla calamità. E il Dio rispose che dovevano pagare il loro debito a Minosse, nella forma che questi avesse imposto. Allora inviarono dei messaggeri a Minosse per chiedergli cosa volesse per ritenersi vendicato. E il re ordinò di mandare sette fanciulli e sette fanciulle, senza armi, in pasto al Minotauro. Il Minotauro era rinchiuso in un labirinto, dove, per chiunque entrasse, era poi impossibile uscire: tanti erano gli intricati meandri che chiudevano la via d'uscita, rendendola introvabile. L'aveva progettato Dedalo, figlio di Eupalamo (a sua volta figlio di Metione) e Alcippe. Dedalo era un grandissimo architetto, e fu lui il primo a inventare l'arte figurata. Era stato bandito da Atene per aver buttato giù dall'acropoli Talo, il figlio di sua sorella Perdice. Talo era suo allievo, ma Dedalo temeva che il suo innato talento superasse quello del maestro: il ragazzo, infatti, un giorno aveva trovato una mascella di serpente, e aveva capito che con quella si poteva tagliare il legno, inventando così la sega. Il cadavere di Talo fu scoperto; Dedalo fu processato nell'Areopago, venne condannato e fuggi alla corte di Minosse. Qui, frattanto, Pasifae si era innamorata del toro di Poseidone; Dedalo le offrì complicità e costruì la vacca di legno. Poi progettò il labirinto, proprio quello dove gli Ateniesi ogni anno dovevano inviare sette fanciulli e sette fanciulle in pasto al Minotauro.

Etra partorì il figlio di Egeo, Teseo. E quando fu cresciuto, il ragazzo spostò la pietra e prese la spada e i sandali, poi partì a piedi per Atene. E lungo il cammino liberò la strada dai malfattori che ne avevano il controllo. Per primo uccise Perifete, a Epidauro. Questi, figlio di Efesto e Anticlea, era chiamato Corunete, per via della mazza (korune) di ferro che portava sempre con sé, essendo zoppo, e con la quale uccideva i passanti. Teseo gliela sottrasse, e la usò sempre. Per secondo uccise Sini, figlio di Polipemone e Silea, la figlia di Corinto. Sini era chiamato Pitiocante - " quello che curva i pini " - per una ragione ben precisa. Dalla sua postazione sull'istmo di Corinto, Sini costringeva i viandanti a piegare i pini e a tenerli fermi: ma questi non ne avevano la forza, e il pino, nel raddrizzarsi, li lanciava lontano, facendoli morire di una morte spaventosa. Ma Teseo fece subire a Sini la stessa sorte.

Dall’epitome

…Teseo fu poi estratto a sorte fra i giovani che dovevano far parte del tributo a Minosse (era quella la terza volta): ma qualcuno dice che fu lui a offrirsi spontaneamente. La nave montava vele nere, ed Egeo raccomandò a suo figlio di issare vele bianche nel caso fosse tornato sano e salvo. Quando Teseo giunse a Creta, Arianna, figlia di Minosse, si innamorò di lui, e gli promise che lo avrebbe aiutato, dietro promessa di essere portata ad Atene come sua sposa. Teseo lo giurò, e Arianna costrinse Dedalo a rivelarle l'uscita del labirinto. Ancora per suggerimento di Dedalo, diede a Teseo un filo grazie al quale sarebbe potuto uscire: Teseo lo legò alla porta e, tirandoselo dietro, entrò. Scovato il Minotauro proprio nella parte più interna del labirinto, lo uccise a pugni, poi, riavvolgendo il filo, tornò indietro e uscì. Nella notte arrivò a Nasso, insieme ad Arianna e ai ragazzi salvati. Ma qui Dioniso fu preso d'amore per Arianna e la rapì; la portò a Lemno e si unì a lei. Da loro nacquero Toante, Stafilo, Enopione e Pepareto. Addolorato per la sorte di Arianna, Teseo ripartì, ma si dimenticò di issare le vele bianche. Egeo, dall'alto dell'acropoli, vide da lontano fiottare sulla nave le vele nere e pensò che suo figlio fosse morto: allora si gettò giù e morì…..



Sebastiano Ricci - 1713/1715 - Royal Academy of Arts


Da "I Fasti" di Ovidio Libro Terzo

8 Marzo Ancilia moventur 



Di seguito, al calare della notte vedrai la Corona di Arianna: fu fatta dea per colpa di Teseo, l’ingrato al quale aveva dato il filo da svolgere. Lei aveva subito rimediato, scambiando lo sposo spergiuro con Bacco e, felice dell’amore che le era toccato, diceva: “Perché piango, sciocca? il traditore mi ha fatto un regalo.” Intanto, vinti gli indiani dai lunghi capelli, carico di ricchezze, tornava dall’Oriente Libero: tra le fanciulle prigioniere gli piaceva, anche troppo, la figlia del re, di una bellezza fuori dal comune. Piangeva la sposa innamorata e, capelli al vento, andando su e giù lungo la riva della baia, pronunziava queste parole: “Mare, ascolta ancora una volta i soliti lamenti! sabbia, accogli ancora una volta le mie lacrime! Mi ricordo che andavo dicendo: ‘Teseo, bugiardo e traditore.’, e quello se ne è andato; Bacco mi fa lo stesso torto, e anche ora andrò gridando: ‘Nessuna donna si fidi più di un uomo!’ Il nome è diverso, ma la storia è la stessa. Se almeno il mio destino si fosse concluso la prima volta, a quest’ora, ormai, non sarei più nulla! Perché mi hai salvato, Libero, se dovevo morire su una spiaggia deserta? Avrei potuto soffrire tutto in una volta. Bacco volubile, più volubile delle foglie che ti cingono le tempie, Bacco, che ho conosciuto soltanto per piangere, tu hai osato mettere alla prova un amore così ben riuscito e portarmi sotto gli occhi un’amante? dove è la fedeltà che mi hai promesso? dove i tanti giuramenti? povera me, quante volte ripeterò queste parole? Tu davi la colpa a Teseo, lo accusavi di essere un bugiardo ma, proprio con il tuo metro, la colpa tua è anche peggiore. Però, che nessuno sappia niente di questo, che il mio dolore bruci in silenzio, che non si pensi che io merito di essere ingannata così tante volte! In particolare vorrei che fosse tenuto nascosto a Teseo, perché non provi la felicità di averti complice nei suoi misfatti. Mi sembra di capire: un’amante dalla pelle chiara è meglio di me che sono scura, e magari fossero del suo colore le mie nemiche! D’altra parte, che importa? con i suoi difetti, lei ti piace ancora di più. Cosa stai facendo? la abbracci! e ti sporchi! Mantieni la parola, Bacco, non preferire altri amori a quello di tua moglie; io sono abituata ad amare il mio uomo per sempre. Le corna di un toro possente attirarono mia madre Pasifae, le tue attirarono me; a me fanno i complimenti, lei si deve vergognare. Non soffro per il fatto di amare e tu non hai sofferto, Bacco, dichiarandomi il tuo amore ardente. Non puoi meravigliarti, se questo amore mi brucia: tra le fiamme tu sei nato – si dice – e dalle fiamme ti strappò la mano di tuo padre. Io sono quella alla quale tu promettevi sempre il cielo; e adesso, al posto del cielo, che bei regali mi fai!” Aveva finito, ma Libero che, per caso, da un po’ le era alle spalle, stava ascoltando i suoi lamenti; la prende tra le braccia, con i baci le asciuga le lacrime e dice: “Andiamo insieme verso l’alto dei cieli. Sei stata unita a me nell’amore e sarai unita a me nel nome, nella tua nuova veste ti chiamerai Libera. Farò in modo che ti resti vicino un ricordo della corona che Vulcano regalò a Venere e Venere a te.” Detto fatto, trasforma le nove gemme in stelle, e ora la Corona d’oro brilla con le sue nove luci.




Willem Strijcker (1657) Teseo e Arianna Royal Palace Amsterdam




Da Le Vite Parallele - Teseo e Romolo di Plutarco 



la Morte di Arianna

Egli narra che Teseo spinto da una tempesta sulle coste di Cipro mentre aveva con se Arianna, la fece scendere a terra da sola e mentre egli tentava di riparare i guasti della nave, fu spinto nuovamente lontano da terra in alto mare.

Le donne del paese accolsero Arianna e standole intorno la confortavano mentre lei era in preda allo scoraggiamento per essere rimasta da sola.

E le portarono delle lettere contraffatte fingendole che le avesse scritte Teseo. L'assistettero durante il travaglio del parto e l'aiutarono, ma prima di partorire Lei morì e la seppellirono.

Tornato Teseo ne rimase profondamente addolorato e diede del denaro agli abitanti dando loro disposizione di sacrificare in onore di Arianna, e innalzò a lei due piccole statue, una d'argento, ed una di bronzo.





Jean Baptiste Greuze Arianna (1725-1805) The Wallace Collection Londra


Jean Baptiste Greuze Arianna 2 (1725-1805) San Paolo Brasile



Tiepolo - 1745 Bacco e Arianna




Teseo sul Minotauro, Canova, 1781-1783, Victoria and Albert Museum, Londra




Da "Le nozze di Cadmo e Armonia" di Roberto Calasso

«Poiché a Creta usa che anche le donne assistano ai giochi, Arianna, presente, rimase attonita dinanzi all'apparizione di Teseo e ammirò la sua bravura, quando uno dopo l'altro superò tutti gli avversari». Mentre Arianna fissa lo sguardo sullo Straniero, Creta finisce. Prima di essere tradita, Arianna ha voluto tradire la sua isola. Dioniso la corteggia, poi l'accusa, poi la uccide, poi la ritrova, poi la muta nella corona del cielo settentrionale: Corona borealis.

Ma questo è un Dioniso già diverso da quello che l'infanzia di Arianna aveva conosciuto. Non si chiamava neppure Dioniso, allora.  Era il Toro: il Toro totale, che cala dal cielo come Zeus, emerge dalle acque come Poseidone, pascola sotto i platani di Gortina. Avvolgeva tutto, era nel miele e nel sangue delle offerte, era nelle corna agili che delimitavano gli altari, nei bucrani dipinti lungo le pareti del palazzo. Ragazzi con bracciali, perizoma e capelli ondulati lo afferravano per le corna in corsa. Da sempre, il Toro seguiva Arianna, l'accompagnava, la guatava.

Ora il Toro si allontana e si avvicina l'eroe ateniese. Sembrano nemici, ma si avvicendano con scioltezza. La scena è già preparata. Non più storie mostruose, ma storie sordide aspettano Arianna. Non più il palazzo infantile e regale, ma i portici e la piazza, dove uomini astuti e duri scelgono la prima occasione per colpirsi alle spalle, dove la parola, che nell'isola serviva a fare i conti delle scorte nei magazzini, diventa sovrana, vibrante e
riverita. Arianna non avrebbe visto tutto questo: si fermò a metà del cammino, su un'altra isola, aspra e rocciosa. Si addormentò perché sparissero quel dio e quell'uomo che per loro natura devono soltanto apparire e scomparire….

Teseo abbandona Arianna non per una qualche ragione, o per un'altra donna, ma perché Arianna esce dalla sua memoria, in un momento che è tutti i momenti. Quando Teseo si distrae, qualcuno è perduto. Arianna ha aiutato lo Straniero a uccidere il fratellastro  dalla testa di toro, ha abbandonato la reggia dei suoi, è pronta a lavare i piedi di Teseo ad Atene, come una serva. Ma Teseo non si ricorda, pensa già ad altro. E il luogo dove Arianna rimane diventa, una volta per sempre, il paesaggio dell'amore abbandonato. Teseo non è crudele perché abbandona Arianna. La sua crudeltà si confonderebbe allora con quella di tanti. Teseo è crudele perché abbandona Arianna nell'isola di Nasso. Non più la casa dove si è nati, non certo la casa dove si sperava di essere accolti, e neppure un paese intermedio. E' una spiaggia, battuta da onde fragorose, un luogo astratto dove si muovono soltanto le alghe. E' l'isola che nessuno abita, il luogo dell'ossessione circolare, da cui non vi è uscita.

Tutto ostenta la morte. Questo è un luogo dell'anima. Dal corpo di Arianna abbandonata cadono le vesti a una a una. Ed è una scena di lutto. Fissa come una statua di Baccante, appena risvegliata, la figlia di Minosse guarda in lontananza verso l'eterno assente, là dove è già scomparsa la veloce nave di Teseo, e la sua mente oscilla fra alti flutti. Cade dai capelli biondi il nastro leggero che li tratteneva, il petto viene lasciato scoperto dal mantello, i seni bianchi non sono più sorretti dalla fascia. Una dopo l'altra si ritrovano sparse ai suoi piedi le vesti con cui era partita per sempre. Le onde ci giocano fra le alghe e la sabbia.

Mentre Arianna fissava, nuda, la vuota lontananza, e pensava che avrebbe voluto essere ad Atene, sposa di Teseo, e preparargli il letto dove neppure sarebbe entrata, e accudire un'altra che invece in quel letto sarebbe entrata, e offrire a Teseo una bacinella d'acqua dove lavarsi le mani dopo il banchetto, mentre Arianna enumerava nella mente tutte le più minute dimostrazioni di servitù che avrebbe voluto offrire all'amante svanito, un pensiero nuovo la sfiorò: forse un'altra donna aveva avuto sentimenti simili ai suoi, la sua dedizione e abiezione non erano uniche, come all'inizio le era
piaciuto dirsi. E chi era quest'altra? La regina, l'onnisplendente, la svergognata, sua madre, Pasifae. In fondo anche lei, rinchiusa dentro una giovenca di legno con le ruote, goffo e ingombrante giocattolo colorato, aveva accettato di fare da serva a un qualsiasi mandriano. Aveva chinato il collo perché lo aggiogassero, aveva balbettato parole d'amore a un ottuso toro che brucava l'erba. Nascosta nel buio soffocante e nell'odore del legno, la disturbava lo zufolo del mandriano perché un solo suono aspirava a udire: quello del toro bianco mugghiante.

Poi venne ad Arianna un altro pensiero, conseguenza del primo: se
lei, Arianna, non faceva che ripetere la passione della madre Pasifae, se lei era Pasifae, allora Teseo era il toro. Ma Teseo aveva ucciso il toro suo fratello, e proprio con l'aiuto di lei, Arianna. Aveva allora aiutato Teseo a uccidersi? O le uniche uccise, in questa storia, erano sempre loro, Pasifae impiccata e Arianna stessa, che si apprestava a impiccarsi, e sua sorella Fedra, che un giorno si sarebbe impiccata? I tori, invece, e i loro uccisori, sembrano darsi perennemente il cambio, quasi che per loro uccidere ed essere uccisi fosse un'alternanza come spogliarsi e rivestirsi. Il toro non conosceva la morte perpendicolare e ultima, sottratta alla terra, dell'impiccata.

Quando la prua di smalto blu della nave ateniese giunse a Creta,
quando Teseo fermò il sovrano Minosse che metteva le mani, come
sempre, su una delle fanciulle ateniesi, quando Teseo
vinse nei giochi l'odioso e imponente generale Toro, che usava sbaragliare tutti, Arianna cominciò a pensare che forse quello straniero irrispettoso sarebbe stato capace di spezzare il cerchio taurino che imprigionava la sua famiglia. Allora tradì il toro divino, che l'aveva abbagliata in una grotta, tradì il fratello toro, tradì la madre pazza del toro, tradì il padre che aveva evitato di sacrificare il toro bianco apparso dal mare e lo aveva messo a pascolare, perché era troppo bello per essere ucciso. Alla fine di
questi tradimenti, si ritrovò su una spiaggia deserta, abbandonata da Teseo. Ma al toro non era riuscita a sfuggire.

Quando Dioniso apparve, falso e seducente, troppo puntuale e troppo gioioso, Arianna sentì che in qualche modo Dioniso e Teseo non erano rivali, ma complici. Nel clamore dei flauti e dei tamburelli, Dioniso soffocò quei pensieri. Arianna fu abbagliata dalla gloria divina che Dioniso le offriva. E dedicò un invisibile ghigno a Teseo, che quella gloria aveva suscitato proprio con la sua perfidia. Percepiva l'astuzia della storia: se Teseo non fosse stato spergiuro (ma aveva giurato per Atena, ricordò con una fitta, e Atena spregia le nozze), Dioniso non l'avrebbe innalzata a sé. Inutile piangere come una ragazza di campagna, quando si ha accanto un dio. Ma Dioniso non sta accanto a nessuno. Un dio non è mai presenza costante. E Dioniso già ripartiva con il suo corteo clamoroso, verso l'India. Arianna era di nuovo sola.

Quando il dio riapparve, carico di tesori e di schiavi, Arianna osservò il trionfo e colse lo sguardo amoroso che Dioniso gettava a una giovane indiana, figlia di re, confusa fra le sue prede
orientali. Un giorno, Arianna si trovò di nuovo a piangere su una
spiaggia, con i capelli sciolti al vento. Nella sua leggerezza
soverchiante, Dioniso l'aveva salvata dalla colpa di un uomo per
ripetere poco dopo la stessa colpa, quindi aggravandola,
esaltandola. Quella concubina indiana contaminava il loro letto.

Arianna piangeva e subiva un pensiero martellante: che Teseo mai lo sappia! Ma quale ingenuità... Non era ormai chiaro che Dioniso e Teseo erano falsi nemici? In quelle due opposte figure si ripeteva
uno stesso uomo che continuava a tradirla, mentre lei continuava a
lasciarsi abbandonare. «Mi sono abituata ad amare per sempre un
uomo». Quella capacità di amare per sempre era una condanna, le
impediva ogni speranza di sfuggire al suo cerchio, alla sua corona  fulgente.

La storia di Arianna è intrecciata tutta in una corona. «Arriva
mon cousin» pensò la giovane principessa di Cnosso quando le dissero che Dioniso era sbarcato nell'isola. Non aveva ancora mai visto quel suo parente - bellissimo, dicevano -, che era nato dal rogo della madre. Dioniso, quando le apparve, non volle fermarsi nel palazzo. La strinse al polso e la condusse in una delle tante grotte di Creta. E lì il buio era stato ferito da una corona abbagliante. Oro come fuoco e gemme indiane. Dioniso offrì la corona ad Arianna in dono per quelle loro prime nozze. La corona, segno di ciò che è perfetto, «araldo del silenzio propizio», era stata una seduzione avvolgente. Ma «sedurre» vuol dire «distruggere», secondo la lingua greca: phtheìrein. La corona è la perfezione dell'inganno, è l'inganno che si richiude su se stesso, è quella perfezione che include in sé l'inganno.

Quando Arianna fissò lo sguardo sulla bellezza di Teseo, non era
già più una fanciulla che gioca con le sorelle nel palazzo di Cnosso. Era sposa di un dio, anche se nessuno sapeva delle nozze. Unico testimone era stata quella corona lucente. Ma anche Teseo emerse dal palazzo sottomarino del padre Poseidone tenendo  in mano una corona fatta di piccoli fiori di melo stillanti, che irraggiavano luce. La donò ad Arianna, come Dioniso le aveva donato la sua corona. E al tempo stesso era stata Arianna a donare la corona di Dioniso a Teseo. Da una parte Teseo ripeteva un gesto del dio, dall'altra Arianna tradiva il dio perché lo Straniero potesse
uccidere il Minotauro, che al dio toro apparteneva. Teseo si inoltrò
nei corridoi oscuri del labirinto guidato dalla luce della corona
fulgente. Sotto quella luce scintillò la sua spada prima di immergersi nel corpo del giovane dalla testa di toro. Dunque Arianna esaltava l'inganno: tradiva lo sposo divino e inoltre offriva il suo dono nuziale all'uomo che stava prendendo il suo posto.

Ma l'inganno non era già all'origine, già nel dono del dio? Arianna
è ingannata nel momento in cui inganna: crede che Teseo sia  opposto al dio, vede in lui l'uomo che la porterà ad Atene, sua sposa, fuori dal cerchio del toro. A Nasso, quando riapparve, Dioniso brandiva una corona raggiante. Arianna la guardava e pensava alle altre corone che erano state per lei l'origine di tutti gli inganni. Ora sapeva che quella corona era sempre stata la stessa. Ora la storia era davvero finita, e prigioniera di quella corona raggiante Arianna sarebbe rimasta solitaria nel cielo: Corona borealis. Nelle storie cretesi, all'inizio c'è un toro, alla fine c'è un
toro. All'inizio Minosse evoca dalle acque il toro bianco di
Poseidone, promettendo di sacrificarlo al dio, se apparirà. Il toro appare e Minosse non tiene la sua promessa. Quel toro è troppo bello, non vuole ucciderlo, lo vuole come sua proprietà. Sarà quello il toro per il quale svilupperà una passione funesta la moglie di Minosse, Pasifae. Alla fine, Teseo cattura il toro di Maratona, che è ancora una volta il toro cretese emerso dal mare. Dopo gli amori con Pasifae, il toro era diventato selvaggio, e Minosse aveva chiamato Eracle per catturarlo. L'eroe lo aveva preso e portato sul continente. Per lungo tempo, il toro aveva vagato nel Peloponneso, prima di giungere in  Attica. E lì nessuno era riuscito a vincerlo, neppure Androgeo, figlio di Minosse, che pure vinceva tutti gli Ateniesi nei giochi. Lo vince Teseo, a Maratona. E lo offre a suo padre Egeo, che lo sacrifica ad Apollo. Tutto ciò che sta fra quell'inizio e quella fine, il destino di Arianna, è compreso nella dislocazione di un sacrificio: da Poseidone ad Apollo, da Creta ad Atene. Questo passaggio è costellato di vittime. Le mute vittime del sacrificio appartengono al rito. Ma il mito rivendica a sé le altre vittime, quelle che cadono attorno al luogo del sacrificio, limatura di ferro nel campo magnetico. Dal sacrificio, insieme al sangue, sgorgano le storie. Così affiorano i personaggi della tragedia. Nelle storie cretesi, sono Pasifae, il Minotauro, Arianna, Fedra, Minosse, Ippolito, Egeo stesso. Teseo dimentica di ammainare le vele nere, al ritorno da Creta, ed Egeo si uccide gettandosi dall'acropoli. Era un'ultima chiosa alla dislocazione sacrificale.

«Alcuni abitanti di Nasso, infine, danno una loro versione particolare dei fatti, secondo cui sarebbero esistiti due Minossi e due Arianne, una sposa a Dioniso in Nasso e madre di Stafilo e suo fratello; l'altra, successiva, rapita e abbandonata da Teseo, e venuta a Nasso con una nutrice di nome Corcina, della quale mostrano ancora la tomba. A questa Arianna, morta anch'essa sull'isola, non furono tributati onori pari alla prima: le feste dell'una si svolgono infatti fra giochi e   piaceri, mentre per l'altra non si fanno che sacrifici mescolati di lutto e tristezza».

Il destino di Arianna è doppio sin dall'inizio, e i riti a Nasso ne celebravano la doppiezza, senza mitigarla in una vicenda di morte e resurrezione. Colei che è la «sposa» di Dioniso, l'unica prescelta nel corteo delle donne che lo circondano, quella a cui il dio donerà persino il suo nome, chiamandola Libera, è anche la donna che Dioniso fa uccidere. Il dio si rivolse ad Artemis, sempre pronta a tendere l'arco. Le chiese di trafiggere Arianna con una freccia. Volle anche essere testimone dell'assassinio. Poi il tempo eufemizza tutto. Sulle pareti di Pompei rimase un'immagine di nozze celesti.

Le figure del mito vivono molte vite e molte morti, a differenza dei personaggi del romanzo, vincolati ogni volta a un solo gesto. Ma
in ciascuna di queste vite e di queste morti sono compresenti tutte
le altre, e risuonano. Possiamo dire di aver varcato la soglia del
mito soltanto quando avvertiamo un'improvvisa coerenza fra
incompatibili. Abbandonata a Nasso, Arianna fu trafitta da una
freccia di Artemis, per ordine di Dioniso, testimone immobile;
ovvero, Arianna si impiccò a Nasso, dopo essere stata abbandonata da Teseo; ovvero, incinta di Teseo e naufragata a Cipro, vi morì nelle doglie; ovvero, Arianna fu raggiunta a Nasso da Dioniso con il suo corteo e con lui celebrò nozze divine prima di ascendere al cielo, dove tuttora la vediamo fra le costellazioni settentrionali; ovvero, Arianna fu raggiunta da Dioniso a Nasso e da allora lo seguì nelle sue imprese, come un'amante e come un soldato: quando Dioniso attaccò Perseo nella terra di Argo, Arianna lo seguiva, armata, fra le schiere delle folli Baccanti, finché Perseo scosse nell'aria dinanzi a lei  il volto micidiale di Medusa e Arianna fu pietrificata. Rimase una pietra in un campo. Nessuna donna, nessuna dea ebbe tante morti come Arianna. Quella pietra nell'Argolide, quella costellazione nel cielo, quell'impiccata, quella morta di parto, quella fanciulla dal seno trafitto: tutto questo è Arianna.




Il trionfo di Bacco e Arianna, Annibale Carracci, 11597-1601, Palazzo Farnese



Nessun commento:

Posta un commento