BUDDHISMO HINAYANA (हीनयान)
Le quattro nobili verità
ARYA – SATYA
PRIMA VERITA’
L’esistenza è disagio o dolore (Duh – kha[1])
Occorre essere consapevoli del disagio:
la nascita è dolore
la vecchiaia è dolore
l’infermità è dolore
la morte è dolore
l’unione con ciò che è caro (samara – yoga) è dolore
la separazione da ciò che è caro (vipra – yoga) è dolore
il non ottenere ciò che si desidera è dolore
i cinque aggregati (skhanda) che rappresentano la base dell’attaccamento all’esistenza
sono dolore (samskara duhkha)[2].
II NOBILE VERITA’
L’origine del dolore dukkhasamudaya
La
causa delle diverse forme di duhkha è
la sete (trsna) che trascina
l’individuo nella ricerca della propria gratificazione, facendogli perseguire
scopi egoistici. La sete (trsna) non
appagata frustra l’individuo. Essa è un’urgenza vitale che trascina con cieco dinamismo
in continui spostamenti in cerca di
“gratificazioni or qui or là” (tatra tatrabhinandinr) La Trsna è una sete insaziabile che si
traduce:
- in
desiderio/brama kama/tanha (brama per il godimento degli
oggetti)
- esistenza bhava: ovvero l’autoperpetuarsi dell’individuo e del suo esperire con il
ciclo delle rinascite (brama per l‘esistenza);
- cupio
dissolvi vibhana (brama per la non esistenza,
desiderio di chi è soggetto a gravi sofferenze)
III NOBILE VERITA’
La verità della cessazione del dolore dukkhanirodha
Se la trsna è la causa del duhkha occorre bloccarla attraverso:
-
rinuncia (tyaga)
-
completa estromissione (pratini sarga)
-
scioglimento/lasciar cadere (mukti)
- non
dimora negli oggetti (analaya)
IV NOBILE VERITA'
È l’iter attraverso cui si blocca il disagio (duhkha
–nirodha –gamini – pratipad)
Attraverso l’ottuplice sentiero è possibile liberarsi dalla
sete
L’ottuplice sentiero (Arya stangi kamarga)
I tappa:
la veduta appropriata (samyag drsti)
Occorre
guardare la realtà in modo appropriato attraverso la riflessione sulle 4 nobili
verità, superando le vedute (drsti)
erronee che producono attaccamento e quindi duhkha.
Quando
si consegue la veduta appropriata (drsti
– prapta) ma si muore prima di
essersi liberati dalle attitudini mentali negative, si è comunque arrivati allo
stato di srota – panna ovvero si è
giunti nella corrente del dharma che
lo porterà a raggiungere il nirvana, pur dovendo rinascere sette volte.
II tappa:
la decisione appropriata (samya ksamkalpa)
E’ la
ferma risoluzione di abbandonare il ciclo delle rinascite attraverso il voto
solenne di astenersi in futuro da:
-
avidità desiderio lobha[3]
-
malevolenza dvesa[4]
-
offuscamento intellettuale/ignoranza moha[5]
-
arrecare nocumento ad alcun essere
Lo srota panna che è giunto a porre in
essere in modo soddisfacente rinascerà una sola volta prima di attingere il
Nirvana.
III tappa:
La parola appropriata: samyag vac
Occorre:
-
astenersi dal dire il falso per il vantaggio proprio o altrui;
-
astenersi dal seminare discordia;
-
astenersi dal rivolgersi ad altri in tono aggressivo o scortese;
-
astenersi dall’intrattenersi in argomenti insulsi o futili.
IV tappa:
l’azione appropriata: samiakkarman
- non
compiere uccisione o violenza (ahimsa
- occorre altresì astenersi ad essere mandanti di un omicidio, istigare al
suicidio, procurare aborto)
- non
prendere o non appropriarsi di ciò che non è dato o donato;
-
astenersi da illecite forme di appagamento sessuale, guardando alle donne non
qualificate per il rapporto come madri, sorelle e figlie.
Per i
laici (upasaka[6])
è stato dettato il “Tesoro della condotta” (Siladhana):
-
divieto di menzogna[7];
-
divieto uso alcool o droghe capaci di intaccare l’attenzione;
- non
mangiare in eccesso o fuori dai pasti;
- non
indulgere a danza, musica, e spettacoli né presenziarvi;
-
evitare l’uso di ornamenti, unguenti e morbidi giacigli e comodità in genere
Le
regole per i laici si trovano anche dettate nel Dhammika-sutta[8]
ed è chiamato at tangi ka - uposatha[9] (ordinanza) l’ottuplice astinenza.
V tappa:
i mezzi di sussistenza appropriati (samyag
ajiva)
-
divieto di esercitare commerci nocivi
-
divieto di usura;
-
divieto di predizione del futuro
-
divieto di illusionismo e altre attività basate sull’inganno;
VI tappa:
sforzo appropriato (samyag vyayama)
-
evitare l’insorgere di vizi non sorti;
-
abbandonare vizi già sorti;
-
propiziare il sorgere di virtù non ancora sorte;
-
coltivare quelle già sorte;
VII tappa:
attenzione appropriata (samyak smrti)
L’asceta
deve soffermarsi con lucido distacco su:
-
eventi corporei;
-
sensazioni passive;
-
eventi mentali[10];
-
caratteristiche delle entità in genere (i dharma
laksana: impermanenza, assenza di atman
e di duhkha, e vacuità)
Ciò si
realizza attraverso 4 stadi meditativi (dhyana)
di coscienza. Prima di procedere alla meditazione occorre lottare contro i
cinque fattori d’impedimento (i nirvarana)
che distraggono l’attenzione. I nirvarana
sono:
- il desiderio/fantasticheria (Kama chandas) orientato verso le 5 forme
di piacere sensoriale (tale nirvarana
è paragonato al debito che tormenta il debitore);
-
la malevolenza (vyappada) verso
oggetti e persone;
-
la pigrizia/torpore che imprigiona il meditante;
- l’eccitazione (uddhatva)
, il senso di colpa (auddhatya),
l’orgoglio (mana);
- il dubbio verso il Buddha ed il suo Dharma, dei suoi discepoli e della prassi dettata dalla loro
autorità.
Sconfitti
i nirvarana si può penetrare negli stati
meditativi:
I stadio (dhyana): il mediatante vi
penetra con una iniziale concentrazione di saluto/omaggio verso un oggetto
prescelto concreto o astratto (vitakra):
Si esercita sull’oggetto un’attenzione che è tuttavia accompagnata da associazioni verbali e disturbata da un
intenso andirivieni mentale (vicara).
In tale fase il meditante combattendo e superando i nirvarana prova la c.d. priti
ovvero il diletto per il concentrarsi su un oggetto. Il meditante prova
anche la sukha (“il bel agio”)
derivante dalla calma e dalla lucidità della concentrazione”
II stadio (dhyana): Il nobile silenzio. Vi si accede attraverso
l’interruzione del vitakra (la
concentrazione su un oggetto concreto) e del vicara (l’andirivieni mentale). Tale interruzione si realizza con
la considerazione che tali processi presentano difetti intrinseci. Restano
ferme la priti e la sukha derivanti dalla concentrazione, ma
si aggiunge l’incentramento dell’attenzione
su un solo punto la Ekagrata e si avverte una crescente
intima serenità (adhiatma samprasadana)
derivante dalla fiducia nel successo della pratica.
III stadio (dhyana): vi si accede rinunciando alla priti (il diletto per il concentrarsi) ritenuto ormai imperfetto.
Restano:
- il sukha
(il bel agio) derivante ora dalla upeksa
(sguardo distaccato) e dall’attenzione/memoria (smrti)
- la ekagrata (incentramento dell’attenzione
su di un solo punto).
Si
aggiunge il samprajnana vale a dire
la “perfetta consapevolezza dell’oggetto”,
ormai strappato alle griglie del pensiero e linguaggio e finalmente esperito
nella sua nuda peculiarità.
IV stadio (dhyana): vi si accede
rinunciando al sukha (bel agio ) ormai associato alla duhkha. Occorre fare cadere ogni rilassamento mentale (collegato al
sukha detto saumanasya) ed ogni tensione mentale (daurmanasya) e superare il flusso di stati di coscienza eterogenei
e discontinui che costituiscono il sottofondo della psiche. Ciò è possibile
solo attraverso un prolungato atto di presa di coscienza (che ha ancora come
contenuto l’oggetto meditato) che porta da solo allo sbocciare del quarto dhyana. Nel quarto dhyana restano:
-
upeksa (sguardo distaccato)
- smrti
(memoria/attenzione)
- ekagrata (incentramento dell’attenzione
su di un solo punto)
Si
aggiunge la parisuddhi (senso di
purezza tutto intorno descritto come la sensazione che si prova dall’essere
completamente avviluppati sa una pezza di tessuto candido senza la benché
minima macchia).
Uscita
dal IV Dhyana la mente è capace di attenzione lucida ed è insieme perfettamente
distaccata. Attraverso la ripetuta immersione del quarto dhyana la mente può
giungere alle sei forme di super conoscenza le abhijna.
I abhijna: è l’accesso alle 8 facoltà paranormali (siddhil):
1)
bi – poli – locazione
2)
l’invisibilità;
3)
il passaggio attraverso i muri
4) lo sprofondare nella terra e l’emergerne come se si
trattasse di acqua
5)
il camminare sull’acqua;
6)
la levitazione;
7) l’estendere il proprio corpo sino a toccare il sole e la
luna
8) il trasferimento istantaneo in altri luoghi
sino al mondo di brahama
II abhijna: conferisce la chiaroaudizione costituita dall’orecchio
divino (divyasrotas) che permette di
udire simultaneamente o isolatamente i suoni o le parole vicini e lontani di
tutti gli esseri, dei inclusi.
III abhijna:permette l’accesso agli altrui pensieri;
IV abhijna: dona l’accesso ai ricordi delle vite precedenti,
V abhijna: dona la chiaroveggenza l’occhio divino (divyacaksus)
VI abhijna: è la comprensione liberatrice (Bodhi): è la conoscenza del disseccamento/esaurimento degli asrava (asravaksayajnana).
VIII tappa: concentrazione appropriata (samyak-samadhi)[11].
Raggiunto
l’ultimo stadio della meditazione l’individuo si è reso conto dei difetti
inerenti il supporto esteriore della meditazione. A questo punto il meditante
può raggiungere le quattro samapatti
che sono delle ulteriori forme di meditazione basate sull’ulteriore astrazione
e distacco dall’esperire anche nelle forme più elevate. Ciascuna samapatti
(incontro/completamento della coscienza/conoscenza) permette di cogliere
quattro corrispondenti stadi (ayatana)
della sfera priva di forme (arupyadhatu).
I
Samapatti (stadio dell’infinità dello
spazio)
Il
meditante deve mettere tra parentesi la coscienza della forma visibile/materiale
(rupasamjna) e al contempo non badare
alla sua molteplicità (nanatva).
Resta così nell’orizzonte della coscienza solo la sostanza sottile
indifferenziata dello spazio (akasa)
occupato dal supporto-oggetto della meditazione che viene percepito come
infinito (ananta). Viene così attinto
lo stadio dell’infinità dello spazio (Akasa
–nantya -yatana).
II Samapatti (stadio dell’infinità della
consapevolezza)
Presa
coscienza anche dell’imperfezione dello spazio ora occupato dall’oggetto il
meditante fa astrazione anche dall’Akasa
(la sostanza sottile indifferenziata dello spazio) ed esercita una attenzione
indivisa solo sulla propria conoscenza riflessa ad esso corrispondente (vjnana) che comunque rimane una forma
estremamente rarefatta di akasa. E’
questo lo stadio dell’Infinità della
consapevolezza (vijnana–nantya –yatana).
III Samapatti (stadio del non v’è alcunché)
Anche
questa infinità spaziale legata come è alla esteriorità, è riconosciuta come un
difetto. Ciò spinge il meditante a prescindere dalla stessa consapevolezza infinita ricorrendo ad
opportuni espedienti come il rappresentarsene l’attuale assenza (abhava), ovvero il riassorbirla nella
vacuità (sunyata) mentalmente evocata
al suo posto o ancora lo scartarla come una “forma a parte” (vivik – takara).
Sorpassata
la consapevolezza si accede ad una attenzione ormai priva i oggetto: lo “stato
del non v’è alcunché” (akim – canya – yatana).
IV Samapatti (stadio né al tutto esperienza
né inesperienza)
Ma
anche questo nulla è comunque investito da una forma di esperienza riflessa. Occorre che il
sapere di essere consapevole di alcunché venga anch’esso meno. Ciò si ottiene
sprofondando l’oggetto nulla nuda quiete, in cui l’attenzione dimora solo allo
stato seminale, senza più cogliere contenuti di sorta. Questo è lo stadio definito con una doppia negazione “né
al tutto esperienza né inesperienza” (naiva
- sam – ynana - samy – nayatana), il culmine della pratica.
Il
Nirvana
Per raggiungere il nirvana è
necessario distruggere completamente gli asrava
evento che si accompagna alla
comprensione delle quattro nobili verità. In tale caso si ha la vimoksa o vimukti ossia la completa liberazione dal ciclo delle rinascite.
Il nirvana è letteralmente “l’assenza di vento” che accresce il
fuoco dei desideri. Il fuoco dei desideri è spento dal soffio
impetuoso del vento purificatore (vatavega).
Ecco come è descritto:
“Come una volta
estinta per la potenza del vento la fiamma è andata a casa, né è più
nominabile/descrivibile, così il silenzioso una volta liberato da tutto, nome e
forma, va a casa né più è nominabile”
L’andare
a casa non è semplice scomparsa. È il ritorno ad uno stato sottile, latente. Si
richiamano i paralleli indù del dio Agni che ritorna allo stato latente inteso
come ritorno alla vulva (la yoni)
rappresentata dalle bacchette da sfregare per generare il fuoco e quindi per
riattualizzarlo. La mente (citta) è
ridotta all’immobile stato e quieto stato seminale. E’ la fiamma che
ristà in assenza di vento/aria.
“V’è oh bhiksu quell’ayatana
ove non sono
Né terra né acqua
Né igneo fulgore né vento
Né stadio dell’infinità dello spazio, né
stadio dell’infinità della consapevolezza
Né stadio del non v’è alcunché, né stadio ove
non si dà né al tutto esperienza né inesperienza
Né questo mondo né l’altro mondo
Né la coppia di Luna e sole.
Questo io oh Bhiksu
Né invero venuta dico, né andata
Nè perdurare né venir meno né venir in essere
Non fondato, non messo in moto
Senza inizio invero è quello.
Esso solo è la fine del dunkha
V’è o bhiksu
Un non nato, non venuto in essere non fatto
non composto.
Ove non vi fosse Quello oh Bhiksu, ove non vi
fossero un non nato, non venuto in essere , non fatto, non composto, invero da
questo nato venuto in essere, fatto, composto non vi sarebbe uscita.”
[1] Duh Kha
: Dus: asse che gira male; Kha (cavo posto al centro della ruota. Asse
che gira male entro il cavo posto al centro della ruota. VIPA RINAMA DUHKHA: Ogni piacere o cosa per quanto positivo è viziato dalla consapevolezza del suo degenerarsi e disfarsi nell’attimo stesso in cui si fruisce. Ne discende che l’affermazione “la morte è disagio” si riferisce anche alla “morte continua dell’attimo” detta ksani – kamarana , ogni cosa è transitoria.
[2] Si tratta del disagio immanente alla stessa struttura composita dell’essere che spinge l’uomo a identificarsi con gli elementi oggetto della percezione.
“Allora, Bahiya, tu devi esercitarti: in ciò che vedi ci deve essere solo ciò che da te è stato visto, in ciò che odi solo ciò che è stato da te udito, in ciò che pensi solo ciò che è stato pensato, in ciò che conosci solo ciò che è stato conosciuto”
La percezione è suddivisa in cinque serie di fenomeni o aggregati (skhanda) e tali aggregati costituiscono altresì la transuente personalità umana sulla terra:
- I aggregato: rupa skhanda: la forma. E’ l’aggregato delle forme visibili.
Abbraccia il corpo con i suoi cinque sensi
e i loro rispettivi oggetti;
-
II aggregato: vedana skhanda:
sensazione. E’l’aggregato delle sensazioni: comprende i cinque impulsi
sensoriali passivi prodotti dal contatto
tra i sensi e gli oggetti;
-
III aggregato: samijna skhanda:
ideazione. E’ l’aggregato delle coscienze sensoriali: ogni coscienza sensoriale
coglie il carattere specifico della sensazione corrispondente.
-
IV aggregato: samskara skhanda:
tendenze innate. E’ l’aggregato delle latenze, ovvero dei residui delle nascite
precedenti che determinano l’insieme delle tendenze innate nella presente
esistenza dell’individuo;
-
V aggregato: vijnana skhanda: stato
di coscienza. E’ l’aggregato delle conoscenze che combina le cinque coscienze
riflesse risultante dai cinque processi sensoriali, con l’aggiunta di quello
mentale (il manovijnana) che funge da
sensorium comune coordinante gli
altri
[3] Ivuttaka, I capitolo: n. 1
“Qualunque
sia la brama per cui si desidera
gli
esseri vanno alla perdizione.
Questa
brama una volta rettamente conosciuta (samyag ajnaya)
Rigettano
coloro che hanno l’intima visione
Una
volta che l’abbiano respinta non ritornano più in questo mondo”
[4] Ivuttaka, I capitolo n. 2
“Qualunque
sia l’avversione per cui si sono corrotti
gli
esseri vanno alla perdizione.
Questa
avversione una volta rettamente conosciuta (samyag ajnaya)
Rigettano
coloro che hanno l’intima visione
Una
volta che l’abbiano respinta non ritornano più in questo mondo”
[5] Ivuttaka, I capitolo n. 3
“Qualunque
sia l’offuscamento per cui sono ottusi
gli
esseri vanno alla perdizione.
Questo
offuscamento una volta rettamente
conosciuto (samyag ajnaya)
Rigettano
coloro che hanno l’intima visione
Una
volta che l’abbiano respinto non ritornano più in questo mondo”
[6] I laici padri di famiglia sono detti anche Savana (in Pali) Sravaka (in sanscrito):
auditore laico.
[7] Itivuttaka, Cap. III n. 5 par. 25
“Monaci, io dico che non vi può essere
cattiva azione che non possa venir compita dall’uomo, dall’essere umano che
abbia trasgredito una sola cosa. E qual’è questa cosa? O monaci questa cosa è
proferire coscientemente delle menzogne.
Da chi ha
trasgredito in una sola cosa ,
dall’essere
vivente che ha detto la menzogna
che non ha
riguardo per l’altro mondo
non v’è peccato
che non si possa compiere”
[8] Sempre per i laici:
Suttanipata, cap. II Culavagga, par.
14 Dhammika-sutta
18 “Vi narro anche
come un capo di casa deve operare
Come un savana deve agire restando un buon
discepolo
Poiché il perfetto
Dramma del Bhikkhu non può essere assolto
Da chi è afferrato
dall’occupazione (mondana)
Non uccida gli
esseri viventi, né lo f accia uccidere
E nemmeno approvi
che alcuni uccidano altri
Essendosi frenato
dal danneggiare tutte le creature
Sia quelle che son
forti sia quelle che tremano nel mondo
Indi si astenga il
savana dal prendere qualunque cosa in qualunque luogo
Che no gli sia
data allorché sappia che ad altri appartiene
Né faccia che
altri prenda né approvi che costoro se ne impossessino
E si tenga lontano
da tutto ciò che non è dato
Si astenga il
saggio da vita non casta
Come si evita un
mucchio di carboni ardenti
Se non è capace di
essere casto
Non trasgredisca
il dramma con la moglie di altri
Andato che sia
nell’aula di giustizia o all’assemblea
Non parli di
alcuno proferendo menzogna
Né faccia parlare
né coloro che così parlano approvi
Eviti egli ogni
sorta di menzogna
Non abbia uso a
bevande inebrianti
Il signore di casa
che approvi il dhamma
Non faccia
ubriacare gli altri né approvi coloro che sono ebbri
Poiché sa che
tutto finisce in follia
Nell’ebbrezza gli
stolti commettono i peccati
Ed altra gente
fanno pure uscire di senno
Eviti egli questa
sede di peccato
Questa follia
gradita solo agli stolti.
Non uccida essere vivente non prenda ciò che non gli è dato
Non dica menzogne non beva bevande inebrianti
Eviti incontri non casti
E non mangi di notte cibo fuori tempo
Non si orni di collane né usi profumi
Si giaccia su un giaciglio steso per terra
Questa chiamano
l’ottuplice astinenza (attangika-uposatha)
Proclamata dal
Buddha che ha sormontato il male.
Quindi avendo
osservato l’astinenza
Nei giorni 14°,
15° e 8° del mese lunare
Ed avendo
mantenuta con mente devota il completo
patihariya-pakka
Consistente in
otto parti tutto completo.
Il mattino, dopo
avere osservato l’astinenza
Un saggio uomo
dalla mente devota
Rallegrando
l’assemblea dei bhikkhu con cibi e bevande
Compia la
distribuzione secondo le possibilità sue
Rettamente egli
mantenga la madre ed il padre
Ed eserciti un
commercio onorevole
Il signore di casa
che bene attento osservi questa disciplina
Andrà presso gli
dei noti come Sayampabha (da sé risplendenti)
[9] In sanscrito upavasatha
[10] Itivuttaka, capitolo II n. 6 par.16:
“Monaci per il monaco che è ancora discepolo
che non è giunto alla padronanza della mente che però aspira alla pace suprema
libera da ogni vincolo (in pali anuttaram
Yogakkhemam) e che in quella si dimora, avendo fatto di questo un elemento
proprio di sé, io non vedo alcun altro fattore così giovevole quanto il
praticare una costante reale attenzione ai moti della mente (Yoniso mansikaro). Monaci il monaco che
presta tale costante reale attenzione alla mente abbandona ciò che non è
giovevole e permette a ciò che è giovevole di svilupparsi.
La reale
attenzione della mente
E’ l’elemento per
il monaco che apprende
Rispetto al quale
non vi è altro più utile
Per conquistare la
sublime meta.
Il monaco che si
adoperi seriamente
Consegue l’annichilirsi del dolore”
[11] La samadhi è un
termine mutuato dallo yoga e designa letteralmente il “com-porsi”
dell’attenzione accentrata in direzione di chi parla a partire da una periferia
lontana, dove essa vagava dispersa.